Settembre 8th, 2024 Riccardo Fucile
MARIA ROSARIA AVEVA IRONIZZATO: “CURRICULUM ADATTO…”
Il ciclone Boccia ha travolto anche la successione al Maxxi dopo la nomina del suo presidente, Alessandro Giuli a nuovo ministro della Cultura. Prima una indiscrezione su Dagospia, poi voci sempre più insistenti: Raffaella Docimo, nominata in Consiglio da Gennaro Sangiuliano, docente di Odontoiatria pediatrica a Tor Vergata, amica di vecchia data dell’ex ministro della Cultura, ex candidata (non eletta) per Fdi alle elezioni europee nel collegio Italia Meridionale e come consigliera anziana destinata a traghettare il Maxxi negli affari urgenti, intende declinare l’incarico facendo un passo indietro.
Nome legato a Boccia-Sangiuliano
Non ci sono conferme ma nemmeno smentite dal Maxxi ma la voce è molto credibile. Docimo ha trovato, in molte ricostruzioni giornalistiche, il suo nome strettamente legato alla vicenda Boccia-Sangiuliano. Sarebbe stata proprio lei a presentarli a Napoli durante una iniziativa elettorale per la sua elezione. Docimo e Sangiuliano si conoscono dai tempi del liceo a Napoli, hanno condiviso molte esperienze politiche giovanili nella destra. Ma ora questo accostamento alla vicenda politico-sentimentale tra Rosaria Boccia e Gennaro Sangiuliano deve averle provocato più di un imbarazzo. Boccia aveva già ironizzato su Instagram: «Questo curriculum mi sembra adatto alla carica…» Docimo ha così deciso di rinunciare a un incarico prestigioso, anche se a tempo, per evidenti motivi di opportunità (avendo anche un incarico universitario).
E così la guida del Maxxi, in un momento delicatissimo, passerà alla giornalista Maria Bruni, anche lei membro del Consiglio della Fondazione, attualmente capo ufficio stampa dell’Ordine degli architetti di Roma e provincia, in passato assessore alla Cultura del comune di Frascati.
L’urgenza della successione
E’ comunque evidente che ora, tra le tante pratiche che attendono il nuovo ministro Alessandro Giuli, la nomina di un nuovo presidente della Fondazione non appare più un fatto rituale ma assume un carattere di massima urgenza. Parliamo dell’unico Museo nazionale delle arti del XXI secolo e, sia per motivi economici che legati alla programmazione artistica, è impensabile immaginare un potere vacante a lungo termine. Toccherà presto a Giuli nominare il proprio successore, uomo o donna che sia.
(da il Corriere della Sera)
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Settembre 8th, 2024 Riccardo Fucile
“DIFFUSE INFORMAZIONI STRUMENTALI E NON CORRISPONDENTI AL VERO”… BOCCIA AVEVA SOSTENUTO CHE LA VENEZI E’ CONSULENTE DEL MINISTRO SANGIULIANO “RETRIBUITA CON 20/30.000 EURO” E CHE PER ESIBIRSI AL G7 “PERCEPIRA’ UN COMPENSO”… E’ VERO OPPURE NO? SU QUESTO NON RISPONDE?
«Confermo che ho dato incarico ai miei legali per valutare ogni azione a tutela della mia reputazione professionale in ordine alla diffusione di informazioni strumentali e non corrispondenti al vero». Così Beatrice Venezi, direttrice d’orchestra e consigliera del ministero della Cultura, in merito al suo coinvolgimento nell’affaire Sangiuliano-Boccia e, in particolare, alle accuse di conflitto di interessi sollevate a suo carico dall’imprenditrice di Pompei nell’intervista a In Onda su La7. «Lei è consigliera per la musica ed è anche ben retribuita, con 20/30mila euro. Il 19 si esibirà per il G7 della Cultura e il ministero le riconosce un cachet», aveva detto durante l’intervista tv.
Venezi, figlia di un ex dirigente di Forza Nuova, sarebbe entrata nell’orbita del ministero della Giustizia dal presidente del Senato Ignazio La Russa, che ne è un estimatore. Il suo nome è circolato ache come possibile sovrintendete di un paio di teatri lirici di prima grandezza, come il Massimo di Palermo e la Fenice di Venezia. Dovrebbe dirigere il concerto al G7 della Cultura, previsto a Pompei dal 19 al 21 settembre. Ma il dossier dell’evento è proprio in queste ore nelle mani del nuovo ministro della Cultura Alessandro Giuli
(da La Stampa)
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Settembre 8th, 2024 Riccardo Fucile
“RICAVI E PROVENTI DIVERSI” SCENDONO DA 3 MILIONI E 950 MILA EURO A 2 MILIONI E 487 MILA EURO. LE SPONSORIZZAZIONI CROLLANO DEL 44%
A leggere il bilancio del Maxxi vien da pensare che al ministro Alessandro Giuli si attaglierebbe bene l’auto-definizione di Giorgio Albertazzi: un “perdente di successo”. Giuli approda alla guida del Ministero della Cultura dopo una sola importante esperienza di gestione: quella di presidente della Fondazione Maxxi. Il bilancio del 2023 è stato approvato il 4 giugno scorso e non brilla per l’andamento dei conti.
Ora Giuli sale di livello e passa a dirigere il Ministero che, con i suoi contributi di 13 milioni di euro circa ogni anno, tiene in vita la Fondazione e di fatto la controlla. Nominato presidente della Fondazione Maxxi a novembre 2022 dal Ministro della cultura Gennaro Sangiuliano, Giuli ha preso possesso a dicembre.
Sembra che al Maxxi, come alla Rai, Giuli abbia confermato il suo disinteresse per i risultati di pubblico. Le sue trasmissioni su Rai2 erano celebri per i contenuti eccentrici, alti e talvolta temerari (una seconda serata Rai dedicata alle dea del melograno o della spiga non si vedrà più, e non è detto sia un peccato) ma anche per gli ascolti bassi.
Anche alla direzione del museo romano i numeri lo bocciano.
Sotto la sua guida nel 2023 i proventi da biglietteria crollano del 30 per cento da 2 milioni e 586 mila euro del 2022 a 1 milione e 972 mila euro del 2023. I “ricavi e proventi diversi” calano da 3 milioni e 950 mila euro a 2 milioni e 487 mila euro. Le sponsorizzazioni crollano del 44 per cento.
Il segretario generale Francesco Spano – confermato da Giuli – nella sua relazione spiega che la contrazione dei proventi è stata “mitigata” dalla crescita dei contributi da gestione commerciale degli spazi (+28 per cento) e dalle attività di formazione (+180 %).
La Fondazione guidata da Giuli, coerentemente con la postura atlantica dell’amica Giorgia, non si è tirata indietro quando è stato chiesto il supporto alla ricostruzione della città di Odessa. Con un processo di selezione pubblica curato da una società internazionale è stata scelto a metà 2023 il nuovo direttore artistico Francesco Stocchi. I costi del personale sono saliti per effetto di 8 assunzioni a tempo indeterminato “atto conclusivo sebbene non dovuto di una procedura già incardinata dalla precedente amministrazione”, sottolinea il Maxxi Così salari e stipendi sono saliti da 1 milione e 699 mila euro del 2022 a 2 milioni e 197 mila euro del 2023.
Il compenso di Giuli, pari a 147 mila euro lordi, nei fatti è stato inferiore a quello di Giovanna Melandri che aveva una base ma poi aumentava grazie ai bonus legati all’andamento della gestione. Nonostante l’andamento negativo dei conti la Fondazione Maxxi alla fine ha chiuso con un utile di 6 mila e 700 euro. Come è possibile? In parte c’entra la riduzione dei costi ma soprattutto l’aumento dei contributi di gestione che salgono da 13 milioni e 144 mila a 13 milioni e 767 mila euro. Il Ministero dei Beni Culturali guidato da Sangiuliano ha fatto la parte del leone. A parte i 600 mila euro di contributo di Enel, il resto viene tutto da quattro capitoli di spesa del Mic.
La Fondazione nel prossimo anno fruirà dei fondi del Pnrr. Già gli è stato assegnato un finanziamento di 2 milioni e 456 mila euro per attuare il progetto Maxxi per tutti.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Settembre 8th, 2024 Riccardo Fucile
NEL MIRINO LE NOMINE AMICALI FATTE DA SANGIULIANO NELLE ULTIME ORE PRIMA DI USCIRE DAL MINISTERO E GLI APPALTI AL G7 CULTURA
“Il ministro Giuli venga rapidamente in parlamento per esporre le linee programmatiche dell’azione del ministero della cultura. L’azione amministrativa non può subire interruzioni, non c’è tempo da perdere. In quella occasione, Giuli dovrà anche chiarire il contenuto di alcuni decreti firmati in fretta e furia dal suo predecessore poco prima di rassegnare le dimissioni da ministro. Atti sospetti, un ennesimo schiaffo al regolare iter istituzionali da parte di Sangiuliano, su cui è fondamentale avere chiarimenti di merito.
Per quali ragioni, l’ex ministro Sangiuliano ha firmato prima di dimettersi diverse nomine fondamentali per l’assegnazione dei fondi cinema? A chi erano state promesse quelle nomine?”. Così in una nota i componenti democratici della Commissione e Cultura della Camera.
“Il nuovo ministro – proseguono – dovrà anche chiarire gli appalti dell’organizzazione del G7 cultura visto la gestione poco trasparente di tutti gli aspetti logistici e organizzativi che vedono coinvolti anche alcuni consiglieri del gabinetto del Mic. Un aspetto politico non può restare sotto silenzio – concludono i democratici – quando si tratta di emanare misure che servono ai lavoratori come il codice dello spettacolo il governo ha sempre rinviato, quando invece si è trattato di occupare postazioni sono stati fatti blitz e strappi istituzionali”.
(da agenzie)
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Settembre 8th, 2024 Riccardo Fucile
INSIEME A BUTTAFUOCO E A SANGIULIANO FORMA LA “TRIADE” CULTURALE DELLA DESTRA DI VENDETTA
Alessandro Giuli, il nostro nuovo ministro addetto all’egemonia culturale basata sulla competenza, è dinoccolato, come la sua storia: fascista, postfascista, neopagano, romanista. Veste color panna montata e anche la produce: “Invece di politicizzare la cultura dobbiamo culturalizzare la politica”. Indossa panciotto, cravatta, fermacravatta. Un anello per dito, una pietra per anello. A cornice degli occhi cerulei, gli arreda le guance una coppia di scopettoni che un tempo venivano chiamati “favoriti”: sono il suo personale omaggio ai secoli passati, quando li usavano i marescialli asburgici a caccia di medaglie, e da noi il conte padano Alessandro Manzoni, devoto della Provvidenza.
Quando parla tiene il sorriso in folle. Ogni tanto dà gas e insieme con gli occhi guizzanti, dice cose tipo: “Mi sento un progressista conservatore. Sono a sinistra della destra”. O addirittura: “Ma sì, sono un vecchio camerata che oggi ammira Gramsci”. Quando cede alla confidenza notturna e in tv suona il flauto del dio Pan, si dichiara “estimatore del paganesimo” dei folletti e addirittura “delle radici precristiane”. Non per nulla porta tatuata sul petto un’aquila. E sul braccio lo scettro di Spoleto, che è roba di antichi scavi funerari umbri, con tori in calore.
Giuli è romano. Famiglia di piccola borghesia, padre camerata, madre democristiana. Nascendo nel 1975, gli anni di Piombo li trascorre all’asilo. Tuttavia a 16 anni va a destra della destra di Pino Rauti. Fonda la banda di Meridiano Zero, che sono fascistelli dediti a molestare gli immigrati e i collettivi studenteschi della Pantera. Frequenta le sezioni missine di Colle Oppio e Garbatella, dove conosce la biondina che dirige Azione studentesca, tale Giorgia Meloni, di cui tutti ammirano la giovinezza e l’ostinazione.
Giuli è pigro, fa il militante a singhiozzo. Si ravvede dal Meridiano, o almeno lo dice: “Dobbiamo superare la logica neofascista che comunque abbiamo rappresentato e di questo siamo fieri”. Si iscrive a Filosofia, legge Evola. Fa gli esami, ma non la tesi. Per sbarcare il lunario scrive per Libero. Bazzica la casa editrice Settimo sigillo che pattina tra antisemitismo, esoterismo, massoneria e nichilismo un guazzabuglio culturale che infine si scioglie nella chiarezza della biografia di Hitler.
Quando incontra Giuliano Ferrara se ne invaghisce, “mi ha assunto dopo un colloquio di tre secondi”, dirà vantandosene. Dentro al Foglio fa carriera. Ma quando il capo sceglie come suo successore Claudio Cerasa, Giuli si abbottona il panciotto e se ne va.
Cerca fortuna in Rai, dove gode di così tanto credito professionale da inanellare una serie di trasmissioni senza capo né coda, tipo “Seconda linea”, “L’Argonauta”, “Povera Patria” e altre sciocchezze qualche volta chiuse in anticipo. Sarebbe ancora lì, in carico permanente alla Rai colonizzata, se la sua amica Giorgia non avesse pescato le tre ciliegie elettorali, sbancando la sinistra litigiosa.
Giuli, – insieme con Pietrangelo Buttafuoco e il povero Gennaro Sangiuliano – forma la triade culturale della destra di governo e di vendetta. A Pietrangelo, che sa di letteratura e Islam, tocca chissà perché la Biennale di Venezia. Gennaro diventa “o’ ministro”, a sentir lui per diretta discendenza dantesca. A Alessandro che “non distingue la cornice dal quadro” (copy Dagospia) tocca la presidenza del Maxxi, che sarebbe il maggiore museo nazionale per l’Arte contemporanea.
Ci entra per la prima volta facendosi spiegare da pazienti collaboratrici la differenza tra il figurativo e l’astratto; tra il “Bevitore” di Teomondo Scrofalo e un monocromo di Schifano.
Sui giornali ci finisce una sola volta, giugno 2023, quando credendosi spregiudicato invita Vittorio Sgarbi e Morgan, impegnandoli in un dibattito che subito scivola su quello che hanno di più caro, la prostata. Sgarbi ci mette un attimo a entrare in argomento: “Il cazzo è un organo di conoscenza, cioè di penetrazione. Dunque serve a capire. Ma dopo i 60 anni ci tocca avere a che fare con questa troia di merda della prostata”. Va avanti così per mezzora. Morgan e il pubblico ridono beati. Giuli frigge sulla sedia, si gratta i favoriti, capisce e non capisce, salvo che il putiferio scoppiato nella notte, lo obbliga a scrivere una scivolosa lettera di scuse ai lavoratori e alle lavoratrici del Maxxi “per il disagio suscitato dal turpiloquio”. Promettendo che “per il sessismo non c’è diritto di cittadinanza nel discorso pubblico e in particolare nei luoghi della cultura”.
Da lì in poi i luoghi della cultura, Giuli li frequenta tutti, convegni, presentazioni di libri, talk show. Dove sfoggia citazioni preferibilmente di filosofi ante domini, tipo Socrate, Platone, Anassimandro. Ma non disdegnando i più recenti Battiato e Battisti. Gli piace dire cose sorprendenti: “Il Mediterraneo è un mare che unisce, non separa”. E poi: “Dobbiamo ragionare in termini euroafricani, allargare il nostro sguardo attraverso la cultura, il linguaggio universale dell’arte”. E ancora: “Il Ponte sullo Stretto è una necessità immateriale oltre che materiale, perché è un corridoio culturale con il Nord Africa, la nostra koinè d’origine”.
In quanto alla politica si è perfettamente aggiornato. Fino a un paio di anni fa ammirava “Putin il patriota” e “Trump, il comandante in capo”. Se la intendeva con l’anti-satanista Steve Bannon. Sfilava a Atreju abbracciato a tutto lo stato maggiore dei Fratelli d’Italia e pure dei cognati, visto l’incarico della sorella, portavoce prima di Lollobrigida poi di Arianna, anche lei assunta per merito.
Ora s’è fatto sempre più moderato. O almeno lo dice: “Considerato che la sinistra ha perso la capacità di capire e di rappresentarsi, serve una destra moderata che interpreti il presente”. Che sappia “intendere la cultura come base di civiltà. E sto citando Spengler”. Che sappia curare “il grande malanno delle nostre classi dirigenti, affette dall’ipertrofia del desiderio acquisitivo”, che sarebbe quello di fare soldi con lo scopo di fare soldi, ma senza “un punto di approdo”. Per Giuli il punto di approdo è la caducità del corpo e “il tempo transeunte” perché “siamo tutti di passaggio. E sto citando Eraclito”.
Il suo passaggio transeunte – dopo il matrimonio e due figli – è la corona di ministro. All’ultimo incontro pubblico con Sangiuliano ha detto: “Chi è di destra dovrebbe avere a cuore la cosa pubblica come una cosa sacra”. Chissà se in queste ore a Jenny Delon, cascato con lacrime tra le ceneri di Pompei, stanno fischiando le orecchie.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Settembre 8th, 2024 Riccardo Fucile
DOPO ANNI DI BORDATE, A UN MESE DAL RADUNO DI PONTIDA MANCA ANCORA LA DATA DEL CONGRESSO DELLA LEGA E NELLE CHAT IL CLIMA È INCANDESCENTE CONTRO IL SEGRETARIO – SALVINI SI È RESO CONTO CHE IL GENERALE CHE LUI HA VOLUTO CANDIDARE È INCONTROLLABILE E CHIEDE AIUTO AL FONDATORE
“È la pace di Gemonio? Non c’è mai stata nessuna guerra». Dopo aver telefonato a Umberto Bossi per rassicurarsi delle sue condizioni in seguito alla falsa notizia della sua morte, alle 19.30 di ieri Matteo Salvini ha suonato il campanello della villetta di Gemonio per incontrarlo di persona. Il faccia a faccia, a cui erano presenti anche il secondogenito di Bossi, Renzo, e la moglie Manuela Marrone, è durato oltre un’ora.
“È andata benissimo. L’ho trovato in forma» dice il segretario della Lega e ministro dei Trasporti all’uscita. «Abbiamo parlato di autonomia, di pensioni da tutelare, di lavoro, di tasse, di giustizia, di Lombardia, di come sta il governo, di come sta la Lega» elenca ai cronisti. Ma anche, come aggiunge poi una nota, di economia, infrastrutture, guerra e politica energetica.
Negli ultimi due anni, a dire il vero, è stato un crescendo di bordate da parte di quello che i vecchi leghisti chiamano ancora “il Capo”, al suo successore: dopo le politiche del 2022 la fondazione del Comitato Nord per rimettere al centro la questione settentrionale (con comizio ribelle in una domenica invernale di pioggia al castello di Giovenzano), poi il quarantesimo compleanno della “Lega autonomista lombarda” dell’aprile scorso festeggiato da separati in casa (Salvini e i ministri sotto la storica sede di Varese, Bossi circondato da fedelissimi e giornalisti nel giardino di Gemonio a suggerire che il partito aveva bisogno di un nuovo leader), infine l’annuncio fatto da Paolo Grimoldi a urne aperte (mai smentito) che alle Europee il Senatur avrebbe votato per il candidato indipendente di Forza Italia Marco Reguzzoni.
Tutto dimenticato? Probabilmente no, ma quella di ieri, se non è un rappacificazione, è perlomeno una tregua. Ma soprattutto è un segnale che dopo l’elezione del generale Roberto Vannacci all’Europarlamento, che ha permesso alla Lega e al suo segretario di uscire ridimensionati ma non sconfitti dalle Europee di giugno, in vista del congresso federale Salvini medita di dare una sterzata alla linea politica del partito.
Per farlo, però, non può fare a meno del fondatore. Sarà un caso, ma alla domanda se abbiano parlato anche del generale, Salvini fuori da casa Bossi preferisce glissare e correre alla festa della Lega nella vicina Besozzo. Molti leghisti, in queste ore, sperano che si vada nella direzione di un ritorno al federalismo delle origini. A cominciare da una vera battaglia contro tutto e contro tutti sull’autonomia.
Sia perché Vannacci sembra intenzionato a occupare la destra dello spettro politico, sia perché i movimenti neo-autonomisti, pur essendo piccoli e divisi, cominciano a sgranocchiare consenso. Alle prossime regionali, ad esempio, potrebbero presentarsi un po’ovunque: in Liguria con “Grande Liguria” degli ex leghisti Giacomo Chiappori e Roberto Bernardelli, ma anche con il “Partito Popolare del Nord” dell’ex Guardasigilli Roberto Castelli (che è pronto a raccogliere le firme anche in Emilia Romagna), in Umbria con il “Movimento Umbria Autonoma” dell’ex segretario regionale del Carroccio Francesco Miroballo.
A chiedere un cambio di passo, poi, sono quadri e amministratori della Lega, che guardano con preoccupazione il costante calo dei consensi e della partecipazione popolare alla vita del partito. Dopo il voto europeo Salvini annunciò che i congressi si sarebbero tenuti entro l’autunno e oggi, a un mese dal raduno di Pontida e senza ancora una data fissata, dentro le chat il clima è ormai incandescente.
Avranno parlato anche del congresso Bossi e Salvini? L’unica certezza, per ora, è che il segretario ha promesso al fondatore di tenerlo costantemente aggiornato. E di tornare a incontrarlo presto insieme ai ministri, a partire da Roberto Calderoli. La “non guerra” di Gemonio è appena iniziata.
(da La Stampa)
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Settembre 8th, 2024 Riccardo Fucile
“LO RISPETTO MA LA RICETTA DI 15 ANNI FA NON FUNZIONA PIU'”. LA SCISSIONE SAREBBE UNA CONTRADDIZIONE”
Dopo Beppe Grillo, ora tocca di nuovo a Giuseppe Conte. Interviene alla festa de ‘Il Fatto quotidiano’ e detta le sue condizioni: “Dopo queste uscite con Grillo non ci siamo più sentiti, non mi ha più chiamato. Vedremo avanti, ma non è una questione Grillo-Conte, è una questione Grillo-comunità. Non accetterò mai di vivere in una comunità in cui c’è un soggetto sopraelevato rispetto alla comunità stessa. Se passa questo principio e non vedo come possa passare io non potrei esserci”, dice il leader del Movimento. L’ultimo attacco del garante c’è stato pochi giorni fa, quando Grillo ha preparato i militanti al bivio che presto si troveranno davanti: “A ottobre dovrete scegliere, Conte non sta rinnovando il M5s ma lo sta abbattendo”. In altre parole: giù le mani dai 5Stelle.
Aria di scissione? “È una prospettiva a cui noi non abbiamo mai pensato, neppure immaginata e che mi sorprenderebbe tanto. Sarebbe la massima contraddizione, quella più radicale del M5S”, risponde Conte. Che parla del rapporto con Grillo: “Non è stato mai idilliaco dite voi, ma io ho sempre rispettato e continuo a rispettare il suo ruolo di fondatore del M5S. Nessuno deve mai trascurare questa grande realizzazione, il Movimento è partito dal nulla per rispondere a dei bisogni dei cittadini. Il tema è che ora dobbiamo interpretare non i bisogni di 15-20 anni fa ma quelli di oggi, capire come interpretare la società di domani. Se fosse possibile applicare la stessa ricetta evidentemente non ci sarei stato neppure io. C’è una ricetta che non funziona più. Il modo migliore per rispettare i principi del Movimento è attualizzarli con una assemblea costituente. Adesso i partecipanti voteranno quali sono le priorità – le parole di Conte intervenendo alla festa de ‘Il Fatto quotidiano’ – Del processo costituente ne abbiamo parlato da subito con Grillo. Il simbolo è già cambiato più volte nella storia del Movimento, da ultimo abbiamo messo la parola pace. Il doppio mandato? Quando io non c’ero è stato introdotto il mandato zero. Simbolo e regola del doppio mandato sono già cambiati, poi magari il simbolo non cambia io sono molto affezionato alle 5 stelle”. E ancora. “Non sono qui a fare il leguleio se ne occuperanno gli avvocato. Io sono qui a fare il leader di una comunità politica. Per quanto riguarda le questione legali non torno a fare l’avvocato, ci sono gli avvocati. C’è l’impegno di Grillo a non opporsi sul simbolo e credo che Grillo da garante lo rispetterà”, aggiunge ancora Conte.
(da agenzie)
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Settembre 8th, 2024 Riccardo Fucile
PROFESSORI SEDICENTI LIBERALI, MAGARI CON TRASCORSI MAOISTI, SCOPRIVANO CHE FAZZOLARI ERA MEGLIO DI DRAGHI. BEATRICE VENEZI ERA PIÙ BRAVA DI MUTI… IL CONFORMISMO NON AIUTA I GOVERNI, PERCHÉ COMUNICA UN SENSO DI IMPUNITÀ
Non mi piace accanirmi sulle persone in difficoltà. Questa storia non sarà stata soltanto dolorosa e ridicola ma anche utile, se chiuderà il biennio del conformismo. Perché il problema non è Sangiuliano, e non è neanche il governo Meloni; siamo noi italiani.
Mai, negli ultimi cinquant’anni, ricordo un periodo di conformismo come quello che (forse) si chiude con questa vicenda. Craxi era l’uomo più potente d’Italia, ed era odiatissimo e osteggiatissimo. La Dc aveva il 40%, ma un po’ tutti, non solo Forattini e Il Male, si facevano beffe della Dc.
Berlusconi incontrò un’opposizione fortissima: se capi di aziende controllate dallo Stato fossero saliti sul palco della festa di Forza Italia con la maglietta del partito, il giorno dopo ci sarebbero stati girotondi, manifestazioni del popolo viola, esposti alla magistratura.
In questi anni ne abbiamo sentite di ogni. Professori sedicenti liberali, magari con trascorsi maoisti, scoprivano che Mussolini era in realtà un grande statista. Non solo. Fazzolari era meglio di Draghi. Beatrice Venezi era più brava di Muti (e se qualche orchestrale esprimeva perplessità veniva sospeso senza retribuzione).
A fare una domanda sgradita ci si sentiva rispondere «qui non si parla di politica»; è successo pure a Cernobbio, se inevitabilmente si chiede a Giorgia Meloni del caso Boccia questa richiesta viene zittita da qualcuno che grida «bastaaaa!!!». Se poi alla Scala un signore grida «viva l’Italia antifascista», interviene la Digos.
Il conformismo non va confuso con il consenso. La Meloni ha ancora consenso, ha sfiorato il 30% meno di tre mesi fa, Elly Schlein non appare per il momento un’alternativa credibile, la situazione internazionale sembra persino in miglioramento per la presidente del Consiglio, i leader che non la amano sono in difficoltà: Macron dopo aver invocato l’unione sacra contro i lepenisti affida il nuovo governo alla loro benevolenza; Scholz rischia di fare la fine di Sangiuliano.
Tuttavia il conformismo non aiuta i governi, perché comunica un senso di impunità, ti fa pensare di avere il Paese ai tuoi piedi, ti induce a vedere nelle critiche — legittime e inevitabili in democrazia — l’ombra della manovra e del complotto: «Taci, il nemico ti ascolta». Invece no. Non si tace; si parla di politica; e in democrazia non ci sono nemici, ci sono avversari, e ci sono osservatori liberi di non giudicare una cosa giusta o sbagliata a seconda di chi la dice.
(da Il Corriere della Sera
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Settembre 8th, 2024 Riccardo Fucile
È LA TERZA VOLTA CHE UNO DEI FRATELLI TENTA DI SCAPPARE DALL’ISTITUTO
Due detenuti, fratelli, sono evasi dal carcere Beccaria di Milano. Lo ha annunciato il segretario lombardo del Sappe Alfonso Greco spiegando che “erano nel gruppo avanzato e sono gli stessi che si sono resi promotori delle rivolte scorse e mai trasferiti nonostante i comportamenti pregressi”. “Uno dei fratelli – ha aggiunto – è la terza volta che tenta di evadere”. “Sono mesi che il SAPPE chiede di prendere posizione a livello ministeriale a tutela di chi in carcere lavora in prima linea, ossia le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria”.
“Uno dei due – ha sottolineato Gennarino De Fazio segretario generale Uilpa Polizia Penitenziaria – era già fuggito nel giugno scorso e rintracciato nel giro di qualche giorno. Non c’è pace evidentemente nelle carceri del Paese, che si guardi al circuito per minori, in cui permangono detenuti fino al 25esimo anno d’età, o a quello per adulti. E quanto accade, ovviamente, non è frutto del caso, ma ha responsabilità precise da ricercarsi nel pressapochismo politico e amministrativo che imperversa ormai da troppi anni”.
“I due evasi sono già ricercati dalla Polizia penitenziaria e dalle altre forze dell’ordine ed è del tutto probabile che, nel giro di poche ore o al massimo qualche giorno, vengano ripresi o, addirittura, si riconsegnino – ha proseguito -. Ma ciò non cancellerà le falle del sistema che, per esempio, tiene 18enni negli adulti a bruciare vivi e 25enni nei minori con i 14enni. Un paradosso incomprensibile”.
“Da molto, troppo tempo – secondo il segretario generale del Sappe Donato Capece – arrivano segnali preoccupanti dall’universo penitenziario minorile: Palermo, Catania, Acireale, Beccaria, Torino, Treviso, Bologna, Casal del Marmo a Roma, Nisida, Bologna, Airola… abbiamo registrato e continuiamo a registrare, con preoccupante frequenza e cadenza, il ripetersi di gravi eventi critici negli istituti penitenziari per minori d’Italia”.
E in questa situazione con 15 mila detenuti in più dei posti disponibili e 18 mila agenti di polizia penitenziaria in meno di quanto servirebbe “non bastano più gli annunci e i proclami, servono – ha concluso De Fazio – interventi incisivi e immediati o la catastrofe sarà sempre più pesante”.
(da agenzie)
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