Ottobre 29th, 2024 Riccardo Fucile
IL REPORT DEL CENTRO STUDI ITINERARI PREVIDENZIALI E CIDA: “SIAMO DAVANTI A UN PAESE SBILANCIATO IN CUI FINANZIARE FORME DI WELFARE È SEMPRE PIÙ COMPLICATO. E LA MANOVRA COLPISCE CHI CONTRIBUISCE DI PIÙ. SI TRASMETTE COSÌ UN MESSAGGIO ALLARMANTE: IN ITALIA CONVIENE EVADERE E OCCULTARE”
Il gettito Irpef nel 2023 è aumentato del 6,3% rispetto all’anno precedente, anche se meno del
Pil nominale. Ma il problema è che, malgrado il miglioramento di crescita e occupazione, il 45,16% degli italiani non ha redditi e di conseguenza vive a carico di qualcuno. Su 42 milioni di dichiaranti, poi, il 75,57% dell’intera Irpef è pagato da circa 10 milioni di milioni di contribuenti, mentre i restanti 32 ne pagano solo il 24,43%. I dati emergono dall’ultimo Osservatorio sulla spesa pubblica e sulle entrate di Itinerari previdenziali e Cida.
“Emerge che il 40% della popolazione italiana si carica oltre il 90% delle tasse e il restante paga circa l’8% dell’Irpef. E’ un Paese un po’ sbilanciato dove finanziare forme di welfare è sempre più complicato”, rileva il presidente di Itinerari previdenziali, Alberto Brambilla.
Una situazione che, con la riforma fiscale, non potrà che peggiorare: “La nuova manovra, con tagli ai massimali delle detrazioni a partire dai 75.000 euro di fatto, rappresenta – secondo l’analisi di itinerari previdenziali “un aumento di tassazione per chi contribuisce di più”. “Si trasmette così un messaggio allarmante: che in Italia non conviene eccellere, produrre o innovare. Conviene, invece, evadere e occultare”, osserva Brambilla.
Se i contribuenti che sostengono il Paese tendono a diminuire, al contrario la spesa per assistenza aumenta in misura esponenziale, e quindi diventa un carico sempre meno sopportabile. In 10 anni la spesa per il welfare è aumentata del 30% «a causa di una vertiginosa spesa in assistenza, pari a +126%».
Il sistema Italia, in definitiva, si regge sulle spalle di un ceto medio sempre più sparuto
(da La Repubblica)
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Ottobre 29th, 2024 Riccardo Fucile
SI CHIEDE ALL’ALTA CORTE QUALI NORME VADANO RISPETTATE E SI CRITICA LA DEFINIZIONE DI “PAESE SICURO” CHE INCIDE SUI CPR IN ALBANIA
Il Tribunale di Bologna ha chiesto alla Corte di giustizia dell’Unione europea di stabilire se deve essere disapplicato il decreto legge del 21 ottobre con cui il governo Meloni ha definito la lista dei Paesi che ritiene «sicuri» per rimpatriarvi i migranti espulsi dall’Italia.
Secondo i giudici bolognesi infatti i criteri usati dal governo nella designazione di Paese «sicuro» contrastano con il diritto europeo.
Il decreto serviva a rendere operativo l’accordo con l’Albania sulle procedure accelerate per il rimpatrio dei migranti irregolari, su cui si incentrano le politiche per l’immigrazione volute dalla premier Giorgia Meloni, risolvendo alcuni problemi giuridici posti dalla precedente lista dei Paesi sicuri fatta dal governo italiano.
Cosa dice il decreto del governo Meloni
Il Consiglio dei ministri infatti ha approvato il decreto in tutta fretta dopo che il 18 ottobre il Tribunale di Roma non ha convalidato il fermo per i primi 12 migranti sbarcati in Albania, che quindi erano stati riportati in Italia. Definendo sicuri 19 Paesi, il decreto mira a rendere possibile il trasferimento in Albania dei migranti che provengono da quei Paesi (se le loro richieste di asilo vengono respinte) in attesa che siano completate le procedure accelerate di espulsione previste dall’accordo con Tirana.
Da dove nascono i dubbi del tribunale
Il modo in cui il governo ha scelto di definire sicuri i 19 Paesi in questione però contrasta con le normative europee attualmente in vigore (anche se lo rimarranno solo fino al 2026) e il Tribunale di Bologna si è rivolto ai giudici della Ue chiedendogli di esplicitare quali regole debbano prevalere: se quelle italiane o quelle europee.
Secondo il diritto dell’Unione europea le norme nazionali sull’immigrazione devono sempre rispondere al diritto della Ue e quindi il conflitto con il decreto del governo Meloni (che era stato oggetto di una intensa interlocuzione tra gli uffici giuridici di Palazzo Chigi e quelli della presidenza della Repubblica) era inevitabile. Il rinvio del Tribunale di Bologna alla Corte di Giustizia Ue lo rende solo palese.
Il concetto di sicurezza «parziale»
Il rinvio riguarda il caso di un cittadino del Bangladesh, uno dei 19 Paesi sicuri secondo il decreto del governo Meloni. Il Tribunale di Roma il 18 ottobre aveva spiegato che il Bangladesh e altri Paesi non potevano essere ritenuti sicuri sulla base «dei principi, vincolanti per i giudici nazionali e per l’amministrazione, enunciati dalla recente pronuncia della Corte europea» del 4 ottobre. Sentenza che aveva bocciato la definizione di «Paesi d’origine sicuri» utilizzata dall’Italia perché basata su un concetto di sicurezza «parziale». Ovvero sull’idea che Paesi come Bangladesh, Egitto o Tunisia sono sicuri per la maggioranza della popolazione, mentre sono pericolosi solo per minoranze vulnerabili come gli oppositori politici o la comunità Lgbtqi+. Per la Corte Ue del Lussemburgo, però, non è ammissibile escludere categorie di persone da questa definizione: un Paese o è sicuro per tutti o non lo è per nessuno.
Al contrario il governo, come ha spiegato Gianluca Mercuri, sostiene che la sentenza della Corte di giustizia Ue non può essere considerata vincolante, perché sarebbe (secondo le parole del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano) «estremamente complessa, difficilmente trasferibile a ciò che accade in via ordinaria nei flussi migratori» e perché il Parlamento europeo ha già approvato un nuovo Regolamento che entrerà in vigore nel 2026 e modifica il concetto di Paese sicuro introducendo il concetto di «sicurezza parziale».
Poco importa al governo se — come ha scritto la nostra corrispondente da Bruxelles Francesca Basso — «finché il nuovo Patto non entra in vigore resta valida la direttiva del 2013» a cui si rifà la sentenza del 4 ottobre della Corte europea.
Il tribunale di Bologna fa riferimento a questo conflitto e nel chiedere alla Corte di giustizia Ue di pronunciarsi non solo condivide la valutazione del Tribunale di Roma ma sostiene che il decreto debba essere disapplicato perché non può esistere una sicurezza solo parziale.
Il paradosso: «La Germania nazista era un Paese sicuro?»
«Il sistema della protezione internazionale è, per sua natura, sistema giuridico di garanzia per le minoranze esposte a rischi provenienti da agenti persecutori» scrivono i giudici di Bologna. «Salvo casi eccezionali (lo sono stati, forse, i casi limite della Romania durante il regime di Ceausescu o della Cambogia di Pol Pot), la persecuzione è sempre esercitata da una maggioranza contro alcune minoranze, a volte molto ridotte. Si potrebbe dire, paradossalmente, che la Germania sotto il regime nazista era un paese estremamente sicuro per la stragrande maggioranza della popolazione tedesca: fatti salvi gli ebrei, gli omosessuali, gli oppositori politici, le persone di etnia rom ed altri gruppi minoritari, oltre 60 milioni di tedeschi vantavano una condizione di sicurezza invidiabile.
Lo stesso può dirsi dell’Italia sotto il regime fascista. Se si dovesse ritenere sicuro un Paese quando la sicurezza è garantita alla generalità della popolazione, la nozione giuridica di Paese di origine sicuro si potrebbe applicare a pressoché tutti i Paesi del mondo, e sarebbe, dunque, una nozione priva di qualsiasi consistenza giuridica» concludono i giudici.
I magistrati ricordano inoltre che già «il Conseil d’État francese ha ritenuto illegittime le designazioni del Senegal e del Ghana, perché vi è persecuzione delle persone lgbtqia+» e che anche «la Corte Suprema inglese ha dichiarato illegittima la designazione della Giamaica in ragione della persecuzione delle persone lgbtqia+».
Per questo chiedono alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea di chiarire «se la presenza di forme persecutorie o di esposizione a danno grave concernenti un unico gruppo sociale di difficile identificazione — quali ad esempio le persone lgbtiqa+, le minoranze etniche o religiose, le donne esposte a violenza di genere o a tratta ecc… – escluda detta designazione» (come Paese sicuro) e se «il dovere per il giudice di disapplicare l’atto di designazione permanga anche nel caso in cui detta designazione venga operata con disposizioni di rango primario, quale la legge ordinaria».
(da Il Corriere della Sera)
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Ottobre 29th, 2024 Riccardo Fucile
HA SENSO CONTINUARE A CONSIDERARE CONTE UN ALLEATO AFFIDABILE?
Subito dopo la vittoria il neo eletto governatore della Liguria Marco Bucci ha utilizzato
un’immagine molto colorita per dare addosso agli avversari: “Fossi in Orlando, prenderei tutti i miei amici e gli farei un mazzo così”. Perché è innegabile che sulla sconfitta della coalizione di centrosinistra abbiano pesato le vicende del M5s, e le tensioni tra Grillo e Conte delle ultime settimane, sfociate nella rottura definitiva, dopo l’annuncio da parte del presidente pentastallato dello stop del rinnovo del contratto di consulenza da 300mila euro all’ex comico. Diversi analisti hanno parlato di “crollo” del M5s in Liguria, ma è stato qualcosa di più. Quello che è successo tra Grillo e Conte negli ultimi giorni sembra più un’azione studiata di autolesionismo.
Il Pd è primo partito in Regione, e può certo rallegrarsi per il 28,4%, un dato in crescita rispetto alle europee, quando aveva preso il 26,3%. Sicuramente c’è stato un effetto trascinamento di Orlando, visto che alla percentuale di consensi a livello regionale del Pd va aggiunto anche il 7% circa delle sue liste civiche, un’area che raccoglie oltre il 35% dei voti, praticamente un terzo del consenso degli elettori.
A Genova città addirittura il Pd arriva al 29,71%, a cui si aggiunge poco più dell’8% delle civiche di Orlando, per un consenso complessivo di circa il 38%.
Ma come ha ammesso la stessa segretaria Schlein, questi voti da soli non bastano, “scontiamo anche le difficoltà degli altri”. La leader dem le definisce “difficoltà”, ma è un eufemismo. Perché di certo il M5s, che porta a casa solo il 4,6%, ha dimezzato i propri voti rispetto alle elezioni europee di giugno (10,2%). Un dato che ovviamente non è spiegabile solo con la scarsa affluenza, al 46%.
Giuseppe Conte subito dopo il voto ha rivendicato la scelta di mettere un veto sull’ingresso di Renzi e Italia viva nel cosiddetto campo largo, perché, è il ragionamento, non si può fare solo una questione di numeri: “Lascino da parte le calcolatrici: ipotizzare fantasiose alleanze con Renzi e i suoi epigoni avrebbe solo fatto perdere ancor più voti al M5s e quindi alla coalizione”.
Certo l’assemblea costituente, il progetto di rilancio che Conte ha messo in campo, si svolgerà solo a fine novembre, e il percorso è ancora in itinere. Ma le ultime mosse dell’ex premier sembravano tutte studiate per affossare il centrosinistra, più che per contribuire al suo successo, a partire proprio da quel no ai renziani, fino alle dichiarazioni nel libro di Vespa in uscita a fine mese (‘Hitler e Mussolini. L’idillio fatale che sconvolse il mondo’). Affermare, alla vigilia del voto in Liguria, che “Beppe Grillo è responsabile di una controcomunicazione”, non ha fatto altro che disorientare l’elettorato grillino, che alla fine le urne le ha disertate.
La decisione di tagliare ufficialmente il contratto da 300mila euro all’anno al Garante, poco prima delle elezioni nella Regione in cui Grillo è di casa, non è stata ovviamente senza conseguenze, e l’ex comico non è stato a guardare.
Il fondatore del Movimento non solo ha fatto sapere di non essersi recato al seggio, ma il giorno prima del voto, in un video, ha contestato apertamente la candidatura di Orlando, non esitando a definirla “catapultata dall’alto”: “Queste elezioni che stanno avvenendo in Liguria e in Emilia-Romagna, ma i candidati che appoggiano questo movimento progressista di sinistra… Così, ma chi li ha votati? C’è stata una votazione dal basso? Questa sarebbe la democrazia dal basso? No, sono stati catapultati dall’alto, messi lì, i soliti giochi della vecchia politica”. Un attacco durissimo, che non poteva non avere ripercussioni sul voto in Liguria.
La domanda ora sorge spontanea: da che parte sta Conte? Dalla parte del campo progressista, o dalla parte di sé stesso?
Rema nella stessa direzione degli alleati, in chiave anti-Meloni, o cerca piuttosto di erodere il consenso del Pd?
E la domanda se la dovrà porre il Pd, anche in vista delle prossime elezioni in Umbria ed Emilia Romagna, che si terranno tra 20 giorni, il 17 e 18 novembre: Schlein deve domandarsi se Conte sia davvero un compagno di strada affidabile, al netto delle divisioni interne e del processo di rinnovamento (o di evaporazione per citare Grillo) che ha iniziato. E deve chiedersi se davvero sia utile rinunciare a quel 2% di Italia viva, per non spostare gli equilibri del partito troppo al centro. Il tema delle alleanze è il vero nodo da sciogliere in questo autunno elettorale.
(da Fanpage)
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Ottobre 29th, 2024 Riccardo Fucile
RENZI: “COLPA DEI VETI SU ITALIA VIVA”… CONTE: “CON LUI SI PERDE”… ORLANDO: “CAMPO LARGO DEVE ESSERE STRUTTURALE, NON CHE OGNI VOLTA SI DEVE DISQUISIRE”.. ELLY SCHLEIN: “IO NON HO MAI SPESO UN MINUTO PER POLEMIZZARE CON GLI ALTRI OPPOSITORI, I NOSTRI AVVERSARI SONO I SOVRANISTI E VOGLIO BATTERLI”
«Questo risultato ci deve fare riflettere, deve fare riflettere il centrosinistra nazionale ma ci deve anche incoraggiare alla battaglia che non è finita e che intendo portare avanti».
Sono le prime parole pubbliche di Andrea Orlando dopo che è maturata la sconfitta in Liguria. La vittoria di misura di Marco Bucci è stata subito riconosciuta, col fair play che aveva segnato pure la campagna elettorale. Ma ciò non significa che non lasci l’amaro in bocca.
«Sapevamo di dovere contrastare un sistema di potere forte e arroccato ma le forze del centrosinistra hanno collaborato bene – ragiona Orlando – anche se abbiamo pagato qualche problema di troppo del campo largo». Riferimento evidente alle tensioni registratesi nel corso della campagna elettorale tra Italia Viva e Movimento cinque stelle: il partito di Matteo Renzi ha spinto per entrare in coalizione, anche per dimostrare la sua nuova direzione politica, i grillini sono andati in fibrillazione e hanno messo il voto. E ora c’è chi fa i conti e dice apertamente che inserendo a pieno titolo Italia Viva nel blocco pro-Orlando forse l’ex ministro Pd ce l’avrebbe fatta
Renzi-Conte, volano gli stracci
È durissimo in serata lo stesso Matteo Renzi: «Oggi ha perso soprattutto chi concepisce la politica come uno scontro personale, come un insieme di antipatie e vendetta», scrive l’ex premier su X. «Ha perso chi mette i veti. Ha perso chi non si preoccupa di vincere ma vuole solo escludere e odiare. Ha perso Giuseppe Conte, certo, e tutti quelli che con lui hanno alzato veti contro Italia Viva». Perché? Basta guardare i numeri dell’elezione, nota Renzi. «Solo le mie preferenze personali delle Europee sarebbero bastate a cambiare l’esito della sfida, solo quelle. Aver messo un veto sulla comunità di Italia Viva ha portato il centrosinistra alla sconfitta. Senza il centro non si vince: lo ha dimostrato la Basilicata qualche mese fa, lo conferma la Liguria oggi. Vedremo se qualcuno vorrà far tesoro di questa lezione». Altrettanto velenosa la replica del leader pentastellato: «Non ci turbano le uscite di chi questi minuti prova a ridurre la politica a una fredda questione di numeri», manda a dire a Renzi Giuseppe Conte. «Lascino da parte le calcolatrici: ipotizzare fantasiose alleanze con Renzi e i suoi epigoni avrebbe solo fatto perdere ancor più voti al M5S e quindi alla coalizione, a chi voleva dare una scossa a tutta la Liguria».
Lezioni da destra
A ciascuno i suoi calcoli e le sue valutazioni. Nel mezzo del fuoco incrociato, di certo, è rimasto Andrea Orlando. Che da politico navigato già ragiona sulle lezioni. «Il tema fondamentale al di la dei singoli errori che ci possono essere stati è che il centrosinistra si deve dare un assetto coalizionale stabile. Perché non è possibile determinare il format di volta in volta».
Il confronto con le dinamiche di funzionamento del centrodestra, da questo punto di vista, è impietoso. «Non avere un assetto stabile dà un vantaggio enorme a una coalizione che è in grado di essere pronta dopo una telefonata della sua leader», quella guidata da Giorgia Meloni appunto. «Noi non siamo cosi disciplinati e non vogliamo nemmeno diventarlo perché credo che la discussione e il pluralismo siano una ricchezza. Però a volte troppa ricchezza può fare un danno», conclude non senza amarezza Orlando.
Schlein e l’appello a deporre le armi
Chi prova a guardare oltre, adesso, è Elly Schlein. Questa l’analisi a caldo del risultato ligure secondo la leader dem: «Il Pd ha dato il massimo. Siamo consapevoli che non bastiamo. Scontiamo le difficoltà degli altri e speriamo che questo risultato faccia riflettere tutte le forze alternative alla destra, come fa riflettere noi, che non abbiamo speso un minuto in polemiche o competizioni con le altre opposizioni. Perché il nostro avversario è questa destra che vogliamo battere». Da domani si riparte con la costruzione del campo largo. Ma con pesanti macerie sul campo.
(da agenzie)
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Ottobre 29th, 2024 Riccardo Fucile
IL PREMIER UNGHERESE, PRESIDENTE DI TURNO DELL’UE, È VOLATO A TBILISI PER FESTEGGIARE LA VITTORIA DEL PARTITO FILO-RUSSO “SOGNO GEORGIANO”, ACCUSATO DI BROGLI DA PARTE DELL’OPPOSIZIONE. E L’UNIONE EUROPEA, TANTO PER CAMBIARE, S’È SPACCATA
Un tentativo c’è stato. Boicottare il Consiglio europeo della prossima settimana a Budapest. Le
parole e il viaggio del premier ungherese Viktor Orbán a Tbilisi per festeggiare la vittoria del partito putiniano di Sogno Georgiano hanno scosso le istituzioni europee provocando un effetto che negli ultimi mesi si rinnova quasi sistematicamente: spaccare l’Unione in due. E la Commissione von der Leyen che evita di acuire lo scontro
Oggi, soprattutto da Parigi, verrà compiuto un altro tentativo di dare un segnale netto all’Ungheria. La divisione ieri è stata però plastica con la dichiarazione congiunta di tredici Paesi dell’Unione, la metà dei membri, firmata dai ministri degli Affari Europei di Germania, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Irlanda, Lituania, Paesi Bassi, Lussemburgo, Polonia, Portogallo e Svezia.
Un’iniziativa per denunciare le «violazioni durante la campagna elettorale e il giorno delle elezioni». E per stigmatizzare «la visita prematura del primo ministro ungherese Viktor Orbán in Georgia». Si tratta di un gruppo di Stati in larga parte con governi “europeisti” e qualche sovranista, come quello olandese. Tra i firmatari manca l’Italia che non si è certo spellata le mani contro l’iniziativa magiara.
Resta il fatto che la missione di Orbán ha spiazzato e irritato. Tanto che l’Alto rappresentante Ue, Josep Borrell, ha subito puntualizzato che il premier di Budapest è volato a Tbilisi a titolo personale e non in rappresentanza dell’Ue, di cui è pure presidente di turno.
Le stesse critiche erano state espresse a luglio, quando Orbán volò a Mosca da Putin e negli Usa per incontrare Donald Trump. «Non c’è una sola ragione – ha avvertito von der Leyen – per cui Putin dovrebbe avere voce in capitolo nel futuro dei giovani ucraini, moldavi o georgiani. Hanno il diritto di vedere che le irregolarità elettorali vengano indagate in modo rapido, trasparente e indipendente».
Tutti sono convinti che «la Russia abbia cercato di influenzare le elezioni » con una «disinformazione senza precedenti e con una dura retorica anti-Ue». Ma nessun passo concreto ulteriore da parte della Commissione, almeno per il momento. Anche la Nato ha denunciato «le condizioni diseguali in cui si sono svolte le elezioni».
(da agenzie)
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Ottobre 29th, 2024 Riccardo Fucile
CONTE DELUSO E GRILLO NON VOTA
Lo spoglio è un crescendo di preoccupazione. Silenzi, dubbi, timori si rincorrono per ore nel Movimento. Il dato che emerge dalle urne vede i 5 Stelle sotto l’asticella del 5% in Liguria. Rispetto a cinque anni fa, il M5S segna un passo indietro (era al 7,8%). «Non ci nascondiamo dietro un dito: un risultato deludente, al di sotto delle aspettative.
Una responsabilità che ci conferma l’assoluta necessità di rifondare il Movimento», commenta Giuseppe Conte. Il leader rivendica, nonostante la sconfitta, il no a Italia viva: «Ipotizzare fantasiose alleanze con Renzi e i suoi epigoni avrebbe solo fatto perdere ancor più voti al M5S e quindi alla coalizione, a chi voleva dare una scossa a tutta la Liguria». Ma il ko per il Movimento ha un doppio livello di lettura e, come confessa un esponente di lungo corso, «rischia di lasciare il segno».
Anzitutto, c’è un dato numerico. Che va oltre le percentuali. Il Movimento nove anni fa era capace di raccogliere da solo 120 mila preferenze, nel 2020 erano 48 mila. Ma anche in epoca contiana i dati sono stati lusinghieri. Alle Politiche, solo due anni fa, il Movimento in Liguria ottenne 93 mila preferenze. Lo scorso giugno i voti erano stati 63 mila. Ora i Cinque Stelle sono fermi a quasi 25 mila: in sostanza sono stati persi quasi 70 mila voti in due anni, 40 mila nel giro di una stagione.
“Questo è uno choc», dice uno stellato. Internamente si addita lo scontro tra Giuseppe Conte e Beppe Grillo. La base di sicuro è spiazzata. Il garante ha fatto sentire la sua voce parlando di «bassa democrazia» proprio per l’accordo in Liguria (ed Emilia-Romagna) e c’è chi sostiene che la presa di posizione abbia avuto un peso.
Le divisioni interne hanno giocato un ruolo non secondario: secondo voci non confermate alcuni gruppi locali avrebbero disertato i seggi in polemica con la gestione attuale. Di sicuro, la sconfitta ha anche un risvolto politico non indifferente. Il Movimento è la quarta forza della coalizione, Avs ha preso circa 9 mila voti in più ma il M5S è stato sorpassato anche dal listino di Orlando.
(da Corriere della Sera)
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Ottobre 29th, 2024 Riccardo Fucile
CONTE SAREBBE DIVENTATO UN PERFIDO FELINO CHE HA ISOLATO E FATTO FUORI IL “PADRE NOBILE” DEL MOVIMENTO (CHE NON E’ ANDATO A VOTARE)
“Si muore più traditi dalle pecore, che sbranati dal lupo”. All’indomani del voto in Liguria e,
soprattutto, mentre si infiamma lo scontro al vertice del Movimento 5 Stelle, Beppe Grillo pubblica questo post nelle ‘storie’ temporanee di Whatsapp. Una citazione attribuita a un “autore sconosciuto” e accompagnata dalla foto di un lupo.
Impossibile all’interno del M5S non cogliere un riferimento del garante alla guerra con Giuseppe Conte: il presidente del Movimento ha annunciato nelle anticipazioni del libro di Bruno Vespa che non rinnoverà il contratto di consulenza di Grillo da 300mila euro; il co-fondatore del M5S ha replicato con un video social per rivendicare “il diritto a estinguere il Movimento”.
(da agenzie)
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Ottobre 29th, 2024 Riccardo Fucile
L’IDEA DI LANCIARE UN PARTITO AMBIENTALISTA SUL MODELLO DEI “GRUNEN” TEDESCHI E GLI SCAZZI CON BETTINI-CONTE NELLA PARTITA SULL’ANCI
“A preoccuparmi è la composizione, la consistenza e la competitività della coalizione di centrosinistra, di cui parlo da mesi”. Lo rivela il sindaco di Milano Giuseppe Sala dopo il voto in Liguria dove ha vinto il centrodestra. “È un fatto politico rilevante e richiede una riflessione e una soluzione – aggiunge – Il M5S, sotto il 5%, conferma che soprattutto al Nord non ci si può certo appiattire su un movimento che sta cercando un’identità e un principio di sopravvivenza”.
“Ma ciò che palesemente è deficitario nel centrosinistra è la forza centrale, quella moderata, pragmatica, capace di riforme, europeista, una nuova componente liberal, che al momento ha una rappresentanza non definita – spiega ancora -. È la lezione di questa tornata, ma in fondo è la lezione di questi ultimi anni”. Secondo il sindaco di Milano, questo voto dimostra come “c’è una questione nord”.
“È un dato oggettivo e bisogna avere il coraggio di sottolinearlo, al di là delle critiche che si possono sollevare, anche all’interno dell’area di centrosinistra, che è poi la mia parte politica di appartenenza – prosegue -. E, sia subito chiaro, non stiamo parlando della difesa degli interessi del Nord, la questione non va superficialmente liquidata in questo modo. Anzi. Perché se nella parte più industrializzata del Paese non si propongono prospettive e politiche di produzione, la si perde. E poi diventa più difficile lavorare tutti assieme per un grande piano di produttività per le zone meno industrializzate d’Italia”. Il Pd a guida Elly Schlein si è affermato come primo partito e Sala parla di “grande risultato, doppia Fratelli d’Italia mentre Forza Italia – conclude – non cresce secondo l’onda che qualcuno si attendeva”
(da agenzie)
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Ottobre 29th, 2024 Riccardo Fucile
“NON È POSSIBILE BUTTARLA COME AL SOLITO IN CACIARA GRIDANDO ALL’EVERSIONE, AL COMPLOTTO E ALLE TEORIE PIÙ FANTASMAGORICHE. QUI È NECESSARIO PRENDERE COSCIENZA: IL PROBLEMA È CHE IL 90 PER CENTO DELLE BANCHE DATI PUBBLICHE DI QUESTO PAESE SONO INSICURE”
“Basito” non dalla cronaca di questi giorni, ma “sono stupito che ci si stupisca”. E’ quanto dice,
in una intervista a La Repubblica, Franco Gabrielli, ex capo della Polizia e già direttore dell’Aisi, intervenendo sull’inchiesta di Milano riguardo ai dossieraggi.
“Com’è possibile che nel 2024, in un tempo in cui le informazioni sono milioni e facili da reperire, qualcuno pensi che non esista un mercato?
Nel deep e dark web da sempre c’è un mercimonio: si vendono e si comprano informazioni per danneggiare o ricattare avversari. I dossieraggi fanno parte della nostra storia – sottolinea Gabrielli – Questa indagine di Milano, d’altronde, assomiglia molto a quella di 18 anni fa sull’affaire Telecom dove, vorrei ricordare, è stato posto anche un segreto di Stato”.
Secondo Gabrielli “non è possibile buttarla come al solito in caciara gridando all’eversione, al complotto e alle teorie più fantasmagoriche. Qui è necessario prendere coscienza: il problema è che, come diceva il ministro Vittorio Colao, il 90 per cento delle banche dati pubbliche di questo Paese sono insicure.
Il fatto che ci mette davanti l’indagine della procura di Milano non è certo lo spione di turno. Ma lo stato di salute delle nostre infrastrutture. È un dato di fatto che ci sono delle persone che delinquono, e direi che su questo non c’è da sorprendersi. Il dibattito non può esaurirsi qui. Dobbiamo chiederci: cosa si sta facendo perché ciò non avvenga?”. Ed “io credo siano necessari investimenti importanti. Ma prima di tutto c’è un dato culturale: bisogna capire che la sicurezza costa. Inasprire le pene, creare nuovi reati, non costa invece niente.
Ma non serve a nulla, se non a intercettare un dividendo di consenso immediato. Mettere mano alla sicurezza delle infrastrutture, controllarle, sanzionarle è molto più dispendioso”.
Dall’inchiesta di Milano emerge anche la difficoltà dei controlli su ditte esterne che si occupano della manutenzione delle reti. “In questo Paese – afferma Gabrielli – manca purtroppo il concetto di infrastruttura critica che deve essere di esclusiva competenza pubblica. Perché quelle banche dati custodiscono i nostri dati sanitari, finanziari, economici, di giustizia, la nostra libertà. Guardate, quello che ha scoperto la procura di Milano è gravissimo. Ma temo sia ancora molto poco”.
(da ilfattoquotidiano.it)
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