Febbraio 1st, 2025 Riccardo Fucile
LA SITUAZIONE PIÙ ALLARMANTE È AL SUD, CON UNA RIDUZIONE DEL 14,7%, MENTRE IL NORD HA OTTENUTO UN BUON RISULTATO, GRAZIE ANCHE ALLA PRESENZA DEGLI STRANIERI E ALLA MIGRAZIONE DEI GIOVANI DALLE REGIONI MERIDIONALI
Il numero dei giovani presenti in Italia è crollato: negli ultimi dieci anni, la popolazione nella fascia di età tra i 15 e i 34 anni è diminuita di quasi 750mila unità, pari al -5,8%. Nel 2014 avevamo poco più di 12,8 milioni di giovani; nel 2024 ci troviamo con meno di 12,1 milioni.
La contrazione ha colpito il Centro (-4,9%) e, in particolare, il Mezzogiorno, con una riduzione allarmante del -14,7%, toccando punte negative del -25,4% nella provincia del Sud Sardegna, del -23,4% a Oristano e del -21,5% a Isernia. L’elaborazione è dell’Ufficio studi della Cgia di Mestre (Venezia) Al Nord, invece, il saldo di quasi tutte le regioni è preceduto dal segno più. Le previsioni, tuttavia, non sono affatto rassicuranti, e la denatalità continuerà a fare sentire i suoi effetti negativi in tutto il Paese.
La crisi demografica interessa comunque anche una buona parte dei paesi dell’Unione Europea, ma in Italia assume proporzioni molto più preoccupanti rispetto ai nostri principali concorrenti commerciali. Tra il 2014 e il 2023, infatti, mentre la Spagna ha visto un -2,8%, altri hanno registrato tendenze opposte: la Francia +0,1%, la Germania +1,7% e i Paesi Bassi addirittura +10,4%. La media nell’Area Euro si attesta sul -1,9%. Dei 747.672 giovani in meno registrati nell’ultimo decennio, 730.756 sono riconducibili al Mezzogiorno e 119.157 si riferiscono al Centro.
Il Nord invece ha ottenuto un buon risultato, in parte ascrivibile alla presenza degli stranieri e alla migrazione dei giovani dal Sud: nel decennio la popolazione giovanile è aumentata di 46.821 unità nel Nordest e di 55.420 nel Nordovest. Delle 107 province monitorate solo 26 hanno registrato un saldo positivo. Spiccano, in particolar modo, i risultati ottenuti a Gorizia (+9,7%), Trieste (+9,8%), Milano (+10,1%) e Bologna (+11,5%).
In aggiunta alla diminuzione numerica, l’Italia presenta altri indicatori negativi sui giovani: il tasso di occupazione, il livello di istruzione tra i più bassi d’Europa e l’abbandono scolastico, problematica significativa soprattutto nelle regioni meridionali, criticità che potrebbero avere ripercussioni gravi sul mondo imprenditoriale. Per la Cgia “il disallineamento tra domanda e offerta di lavoro è sempre più evidente e richiede scelte politiche urgenti; investendo, in particolare, molte più risorse nella scuola, nell’università e, soprattutto, nella formazione professionale”.
L’Ufficio studi Cgia ha infine effettuato un confronto tra i nati vivi del 1943 e quelli del 2023, e nel pieno della seconda guerra mondiale, le nascite in Italia furono 882.105, più del doppio rispetto alle circa 380mila registrate nel 2023.
“Se nel 1943 – nota l’associazione – l’Italia aveva quasi 14,5 milioni di abitanti in meno rispetto ad oggi, ma registrava al contempo 500mila nascite in più, non possiamo continuare a sostenere che la denatalità degli ultimi anni sia esclusivamente attribuibile alla mancanza di servizi per l’infanzia e all’insufficienza degli aiuti pubblici alle giovani famiglie. Certo, questi aspetti sono rilevanti, ma è altrettanto vero che 80 anni fa, con il Paese in guerra, le condizioni di vita e le prospettive future erano decisamente peggiori rispetto a quelle attuali”.
(da agenzie)
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Febbraio 1st, 2025 Riccardo Fucile
IL COLMO? L’EMITTENTE ACCUSA L’ITALIA DI CENSURARE LA LIBERTÀ DI ESPRESSIONE (PER LA SERIE: IL BUE CHE DICE CORNUTO ALL’ASINO) E DI “RUSSOFOBIA”… COME È POSSIBILE CHE LA GIORNALISTA DI UNA TV MESSA AL BANDO DALLA UE SIA RIUSCITA A INTERVISTARE GLI ATTIVISTI FILORUSSI E A TRASMETTERE IL SERVIZIO SENZA CHE NESSUNO LE DICESSE NULLA? CHI SONO I COMPLICI?
«La libertà di parola e la russofobia sono oggetto di proteste a Bologna». Servizio in
prima serata, tg nazionale, milioni di telespettatori incollati alle tv. A trasmettere però non è una televisione italiana ma Rossiya 1, il primo canale russo.
Uno degli «organi di disinformazione» — come li definisce il Consiglio europeo — messi a bando dalla Ue. Una tv a cui sarebbe «vietato», quindi, confezionare e trasmettere servizi televisivi dal territorio italiano. Eppure il 18 gennaio in piazza della Mercanzia, a intervistare gli attivisti riuniti dal Coordinamento No NATO Emilia-Romagna in difesa di Villa Paradiso — il centro sociale con posizioni filorusse sfrattato dall’amministrazione Lepore — c’è un’inviata della prima tv russa.
A sollevare il caso è stata ieri la vicepresidente del Parlamento europeo, Pina Picierno. «Si tratta di una palese violazione delle sanzioni — scrive l’eurodeputata dem su X — di cui mi occuperò personalmente segnalando a tutte le autorità competenti, e insieme una chiara azione di disinformazione agita su territorio italiano e un tentativo di intimidazione, l’ennesimo, alla mia persona».
Sul primo canale russo, intanto, lo sfratto di Villa Paradiso ha assunto le dimensioni di un caso internazionale. «Per la libertà di parola e contro la russofobia si protesta oggi a Bologna. Decine di italiani sono usciti in strada dopo la chiusura del centro sociale Villa Paradiso. Il Comune ha sgomberato gli affittuari con il pretesto di cambio di destinazione d’uso dell’edificio. Per la verità — dice la giornalista di Rossiya 1 — subito dopo la proiezione di un film documentario sugli eventi in Ucraina».
Nel mirino del servizio della tv russa, ovviamente, c’è anche Matteo Lepore: «Nella lotta per la libertà di parola, il sindaco di Bologna ha deciso di passare ai rimedi estremi — dice la giornalista — avendo deciso di liberare la città dalle fonti di informazione alternative e da quei posti in cui esse possono essere ricevute». La chiusura è lapidaria: «Ormai in Italia l’unico posto in cui trovare fonti di informazione alternativa sono i social network».
Come sia riuscita la giornalista di una tv messa a bando a intervistare gli attivisti filorussi di Bologna e trasmettere il servizio in tempo per l’edizione della sera, senza che nessuno le dicesse nulla, è quello che la vicepresidente del Parlamento Ue è determinata a capire. In arrivo ci sono un esposto alla Procura di Roma e uno all’Agcom.
(da agenzie)
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Febbraio 1st, 2025 Riccardo Fucile
NEL CORSO DEGLI ANNI, I DUE HANNO INSTAURATO UN RAPPORTO DI AMICIZIA E A UN CERTO PUNTO IL DOTTORE HA ACQUISTATO UN TERRENO PER PERMETTERE ALL’AMICO DI REALIZZARE IL SOGNO DI COSTRUIRE UNA FATTORIA… DAHOUD HA DECISO DI FARE DI PIU’: ACCOGLIERE BAMBINI CHE VIVEVANO IN STRADA
Un incontro casuale davanti all’ospedale di Chiari, nel Bresciano, si è trasformato in una straordinaria storia di amicizia e solidarietà. Francesco Martino, urologo originario di Catanzaro, e Dahoud, un giovane senegalese con la passione per la terra e gli animali, si sono incrociati per anni fuori dal nosocomio.
Dahoud ha chiesto l’elemosina nel parcheggio della struttura dove il dottor Martino ha lavorato dal 1988 al 2022. Giorno dopo giorno, i due hanno instaurato un rapporto che è andato oltre le apparenze.
La svolta dopo il lockdown
La pandemia, scrive il Giornale di Brescia che racconta la storia dei due, ha segnato un punto di svolta. Durante il lockdown, Dahoud non ha potuto continuare a chiedere l’elemosina, ma l’urologo non lo ha dimenticato.
Gli ha dato una tessera prepagata e l’ha ricaricata periodicamente per aiutarlo a superare quel momento difficile. Quando le restrizioni si sono allentate, e Martino gli ha fatto una domanda semplice, ma decisiva: “Qual è il sogno della tua vita?”. Dahoud non ha esitato: “Tornare in Senegal e aprire un allevamento di pulcini. Sono animali che si moltiplicano facilmente e possono garantire un sostentamento stabile”.
Francesco Martino ha deciso di trasformare quel desiderio in realtà.
Non solo ha acquistato il terreno per la fattoria del giovane, ma ha anche contribuito a costruire un allevamento che oggi ospita migliaia di pulcini, capre, conigli e diverse piante da frutto. Dahoud ha accolto cinque bambini che vivevano per strada, li ha iscritti a scuola e oggi offre loro una nuova possibilità di vita.
La loro storia potrebbe presto arrivare sul grande schermo grazie al regista Luca Rabotti, che sta lavorando a un progetto cinematografico per raccontare questa amicizia speciale. Racconta Martino. “Quando sono andato a trovarlo, ho visto quanto fosse felice. Gli ho detto che è ora di trovare una fidanzata, ma lui ha risposto che vuole dedicarsi al lavoro per almeno due anni”.
(da agenzie)
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Febbraio 1st, 2025 Riccardo Fucile
I CITTADINI SONO COSÌ TANTO ALLA CANNA DEL GAS CHE NON RIESCONO A SOPRAVVIVERE CHIEDENDO PRESTITI SOLO ALLE BANCHE (CHE NON SEMPRE LI CONCEDONO) E SI RIVOLGONO ALLA CRIMINALITÀ
Ogni punto di inflazione porta con sé 100.000 nuovi casi di sovraindebitamento. In
Italia oltre 2 milioni di famiglie sono a rischio usura. Lo ricorda la Scialuppa Crt – Fondazione Antiusura che propone di istituire il 31 gennaio la Giornata nazionale del debito consapevole.
“Alla Scialuppa – spiega il presidente Ernesto Ramojno – ci troviamo di fronte quotidianamente a famiglie e persone che non riescono più a sostenere i prestiti contratti e si trovano seriamente a rischio usura. Il nostro Osservatorio evidenzia un quadro preoccupante: molte famiglie, per scarsa conoscenza o per decisioni impulsive, contraggono debiti che poi non riescono a gestire.
Al di là degli istituti bancari e delle società serie, che applicano criteri rigorosi basati sulla capacità di indebitamento, c’è una galassia di realtà, dalle zone grigie della legalità fino a veri e propri usurai, che non si curano della reale situazione economica dei clienti, sfruttandone anzi le difficoltà.
E questi casi spesso sfuggono a ogni analisi. Per questa ragione, vogliamo istituire la Giornata del Debito Consapevole” “La lotta all’usura ha diversi alleati: la diffusione di una cultura del risparmio, la consapevolezza dei rischi legati al sovraindebitamento, la collaborazione sinergica delle realtà che operano sul territorio per contrastare le diverse forme di povertà.
La Scialuppa Crt è un esempio di come la Fondazione abbia tradotto la propria missione in azioni concrete a favore delle fasce più fragili della società, offrendo da oltre 25 anni non solo un aiuto economico, ma anche un sostegno umano e morale.
La Fondazione continuerà a lavorare per rafforzare questa preziosa rete di aiuto e sviluppare nuovi strumenti di sostegno e inclusione” afferma Anna Maria Poggi, presidente della Fondazione Crt. La Scialuppa ha assistito in questi anni più di 18 mila casi, con più di 47 milioni di finanziamenti bancari concessi assistiti da garanzia gratuita.
(da agenzie)
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Febbraio 1st, 2025 Riccardo Fucile
L’OPPOSIZIONE ATTACCA LA DEPORTAZIONE CON SOLDI PUBBLICI MENTRE A CHIESA CHIEDE DI USARE QUEI DENARI PER L’ACCOGLIENZA ORGANIZZATA
Tanto per cambiare, Giorgia Meloni non ha preso bene la decisione dei giudici di Roma sui 43 detenuti nei Cpr in Albania. La bocciatura della permanenza con rinvio alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea viene accolta con «grande stupore» a Palazzo Chigi. «Non ci fermeremo», assicurano dalla presidenza del Consiglio. E la premier si cala l’elmetto sulla testa e scende in trincea contro le presunte «toghe rosse» di berlusconiana memoria. Ma intanto c’è chi fa notare che quella in atto a Gjader e Shengjin è una «deportazione effettuata con soldi pubblici». E che il miliardo utilizzato per i centri «si poteva usare per l’accoglienza».
L’ira funesta
L’ira funesta di Palazzo Chigi la raccontano il Corriere della Sera e La Stampa. Il sottosegretario Giovanbattista Fazzolari ha consegnato al partito il mandato di attaccare la Corte d’appello per «non aver rispettato la decisione della Cassazione». In virtù della quale competerebbe al governo individuare i «Paesi sicuri». Anche se proprio quella sentenza in realtà dice anche che poi al giudice spetta la decisione finale sul singolo caso. Quello dei magistrati della Corte d’Appello di Roma, che proprio la maggioranza ha deciso di investire con una modifica di legge, è una sorta di «atteggiamento di resistenza». Quasi un sabotaggio. Con l’obiettivo di polarizzare l’opinione pubblica. «Supereremo anche questo ostacolo», si fa sapere dalle parti della maggioranza.
Deportazione con soldi pubblici
Intanto Chiara Braga, capogruppo Pd alla Camera, in visita ai centri in Albania dice a Repubblica che la sentenza di Roma «è la dimostrazione che il governo ha fallito». Il centro di Gjader, spiega l’onorevole, «è una struttura faraonica, ha l’aspetto di un centro di detenzione controllato dalla polizia in maniera sproporzionata rispetto al numero dei migranti. Davanti agli occhi della nostra delegazione si è palesato questo evidente spreco di risorse pubbliche. Pertanto, a nostro giudizio, si configura il rischio di un danno erariale».
Mentre la decisione dei giudici «è il fallimento totale del modo in cui il governo sta gestendo il fenomeno dell’immigrazione, uno spreco di risorse pubbliche che si scontra con il diritto».
Il modello Albania
Braga dice che «sarebbe il caso di rendersi conto che non esiste un modello Albania. È una follia, stanno esponendo questo governo a figure imbarazzanti per il modo in cui stanno gestendo questo fenomeno, mossi solo da un intento di propaganda». E ancora: «Vogliono continuare a far parlare di immigrazione per distogliere l’attenzione dai temi economici e sociali. Ma forse è un problema che non vogliono nemmeno risolvere perché, mentre parlano per giorni del complotto dei giudici, le persone non riescono a curarsi, le bollette aumentano e la produzione industriale è ferma». E infine: «Di certo il governo dovrebbe prendere atto che l’idea di esternalizzare il controllo dei flussi migratori non sta in piedi».
Un’operazione costosissima
Monsignor Perego, presidente della Fondazione Migrantes e della commissione migrazioni della Cei, dice invece a La Stampa che «siamo di fronte a un’operazione costosissima, con un grande dispendio di denaro pubblico, quasi un miliardo, che poteva essere usato per migliorare l’accoglienza e l’integrazione dei richiedenti asilo in Italia. Un tema che ci vede al 16° posto in Europa. E poi c’è la questione non secondaria dei diritti». Secondo il vescovo «lo Stato deve accogliere chi arriva ed esaminare le domande d’asilo sul proprio territorio. La procedura accelerata, invece, per definizione comprime il tempo e i diritti. Nell’ultimo viaggio, inoltre, mancando il personale di Oim per lo screening, ci sono state meno garanzie per minori e vulnerabili. Così l’operazione Albania dimostra l’incapacità di onorare l’articolo 10 della Costituzione, che impegna a tutelare chi fugge da situazioni di guerra e violenza».
I paesi sicuri
Infine, spiega Perego, «anche se in un Paese non ci sono guerre ci possono essere persecuzioni di tipo religioso o politico o altro, che mettono a rischio le persone. L’Italia considera sicuri 19 Paesi, altre nazioni come la Germania ne considerano 9. Questo significa che c’è molta discrezionalità. E lo sappiamo bene, guardiamo l’Egitto e cosa succede lì, a partire dal caso Regeni».
(da Open)
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Febbraio 1st, 2025 Riccardo Fucile
L’UNDERDOG ROMANA CONTRO L’OVERDOG MILANESE
Daniela Santanchè e Giorgia Meloni. Non ci si azzardi a pensare: Eva contro Eva.
Entrambe respingono quel tipo di modello, entrambe si pensano al contrario, personaggi con gli attributi, ruoli da articolare al maschile. Il Presidente del Consiglio. Il Ministro del Turismo. Per settimane tutte e due hanno alimentato l’idea che un incontro a due avrebbe sciolto in viril tenzone il problema delle dimissioni dell’una per levare dall’imbarazzo l’altra. Ora pare di capire che era solo tattica e che la prova di forza sarà combattuta altrimenti, in una sfida a distanza fatta di messaggi scritti con l’inchiostro simpatico. Cacciami, se ne sei capace. Resisti pure, tanto sei comunque finita.
Oggi avrebbero dovuto incrociarsi in una sede importante, la Direzione nazionale di Fratelli d’Italia, l’organo politico che riunisce i duecento decisori del partito, ma il Presidente ha fatto sapere che difficilmente ci sarà. Il Ministro invece non perderà l’occasione di sfilare a testa altissima tra quelli appena bollati dal suo chissenefrega, cioè i vecchi amici che in pubblico le hanno rifiutato solidarietà e in privato si scambiano da giorni malignità sul suo conto. Esserci è un altro modo di rincarare la dose («io non faccio nessun passo indietro», come ha detto tre giorni fa a Dubai, nell’altro mancato incontro con Meloni) ma anche di ridere sotto i baffi dei mugugni dei colleghi. Tra dieci giorni, quando in Parlamento si discuterà la mozione di sfiducia individuale presentata dal Movimento 5 stelle, ognuno di loro sarà costretto a parlare e a votare in suo favore. Che fantastica rivincita!
Dall’altra parte Giorgia Meloni forse per la prima volta si scontra con il lato oscuro di quel tipo di carisma che lei stessa esercita e del quale è diventata campionessa. Il rifiuto di ogni tipo di autocritica, la reazione esagerata, il percepirsi ingiudicabile in virtù del consenso e del ruolo. È la modalità delle leadership moderne – Donald Trump ce ne sta offrendo in questi giorni un esempio quintessenziale – che passano con disinvoltura sopra ogni consuetudine del fair play democratico e piegano ogni regola a misura di se stessi. Funziona finché gli altri riconoscono l’esistenza di un interesse generale che sovrasta quello personale, cioè il dovere di non inceppare il meccanismo del potere: se bisogna dimettersi, ci si dimette. Ma che succede quando quel canone minimo viene disconosciuto?
Per il centrodestra la resistenza di Santanchè è una situazione alquanto nuova. Persino in epoche definite cesariste come quella di Silvio Berlusconi, ministri molto potenti come Claudio Scajola accettarono per ben due volte il passo indietro e lo fecero senza troppe discussioni, in nome dell’obbedienza al capo e della prevalenza dell’utilità collettiva su quella individuale. Anche nella attuale gestione meloniana, così spesso accusata di eccessive protezioni familiste, Gennaro Sangiuliano, Vittorio Sgarbi e Augusta Montaruli hanno pagato senza fiatare il prezzo di posizioni difficilmente difendibili, e altri pur senza andarsene hanno accettato di farsi piccini, quasi invisibili, vedi Francesco Lollobrigida che dopo l’affaire del treno fermato a Ciampino ha rinunciato al ruolo di frontman della battaglia governativa della destra. Santanché interrompe la tradizione. Si percepisce altrimenti: non una groupie sacrificabile ma una personalità equivalente a Meloni, e se la premier può alzare un putiferio per una «comunicazione di iscrizione» perché lei non dovrebbe fare altrettanto, perché dovrebbe arrendersi ai giudici che le vogliono male?
Così il caso è diventato un silenzioso duello tra due personalità forti e due culture politiche divergenti ma accomunate dalla stessa idea reginesca di potere: chi china il capo è perduto. L’underdog romana, con le sue origini popolari e il suo percorso da politica pura e l’overdog milanese, signora di un potere costruito per via mondana. I fatti sembrano indicare che sarà comunque la seconda a doversi arrendere perché lei stessa ha ammesso che in maggio, se l’inchiesta sulla truffa all’Inps coi fondi Covid approderà ai rinvii a giudizio (come è probabile), arriverà l’ora delle decisioni irrevocabili. Ma vai a vedere. Pure per l’indagine sul falso in bilancio era stata indicato lo stesso tipo di scadenza, promettendo un sollecito passo indietro in caso di processo. Però quando ha suonato il gong, Santanchè ha detto «sono innocente e non lascio”». Può ripeterlo a oltranza, e quanto al resto: chissenefrega.
(da La Stampa)
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Febbraio 1st, 2025 Riccardo Fucile
COSA DOBBIAMO ASPETTARCI?
E adesso? Cosa dobbiamo aspettarci, di fronte al terzo no stavolta pronunciato dalla Corte d’Appello di Roma, sul trattenimento dei 43 profughi deportati nei lager d’Albania? Giorgia Meloni, con l’elmetto ormai calato sulla testa, manderà le sue camicie nere a manganellare le toghe bolsceviche che tramano contro di lei? Se stiamo agli ultimi esagitati proclami della Sorella d’Italia, tutto è possibile.
Già il farlocco «avviso di garanzia» sul caso Almasri l’aveva «mandata ai matti», parole sue. Ora l’ennesimo schiaffo, incassato proprio su uno dei suoi campi di battaglia preferiti, la lotta ai migranti clandestini da sbolognare in outsourcing all’amico Edi Rama. A
d Atreju l’aveva urlato più volte, con gli occhi fuori dalle orbite, di fronte alle sue milizie in estasi: «L’operazione Albania fun-zio-ne-rà!». E invece non funziona. Non funziona più niente, in questa Italia del giorno della marmotta. Siamo tutti prigionieri involontari di una falsa “guerra dei trent’anni” che la politica combatte contro la giustizia, fingendo di esserne vittima.
Meloni che accusa i magistrati di voler governare il Paese è il Berlusconi reincarnato che tacciava le procure rosse di eversione. La Sorella d’Italia che dice «i giudici non possono decidere tutto perché nessuno li ha eletti» suona la stessa musica del Cavaliere che inveiva contro la magistratura «cancro da estirpare» perché «concepisce il proprio ruolo in termini di egemonia rispetto a una politica che esprime la volontà popolare».
Dal Caimano di Arcore all’Underdog della Garbatella, la musica è la stessa: una toga per nemico. Il paradosso è che la resa dei conti finale con il potere giudiziario la consuma adesso proprio una nipotina del Msi di Almirante, intriso di giustizialismo legalitario e securitario. E che a portare avanti le presunte “riforme dell’ordinamento giudiziario” — le stesse pensate da Licio Gelli, per rimetterlo sotto il tacco dell’esecutivo — sia proprio una ragazza entrata in politica per rabbia di fronte al corpo straziato di Borsellino in Via D’Amelio.
Così è, se vi pare. Dal 1994 in poi questa è la destra, non più solo italiana. The Donald, nel delirante comizio dell’Inauguration Day, fa lo stesso: «La bilancia della nostra giustizia sarà riequilibrata, la violenta e ingiusta trasposizione dell’amministrazione giudiziaria in un’arma contro la politica finirà». La miscela esplosiva e seduttiva tra populismo e autoritarismo abbatte decenni di cultura costituzionale e di misura istituzionale, lasciando campo libero ai nuovi unti del Signore: il popolo ci ha votato, dunque siamo legibus soluti. Tutti gli altri poteri dello Stato sono sott’ordinati, proprio perché non eletti e dunque privi di legittimità popolare.
Nessun organo “terzo” ci può controllare, inquisire, condannare: le urne ci conferiscono immunità di diritto e/o impunità di fatto. Berlusconi provò a proteggersi dai processi con gli scudi del lodo Schifani, del lodo Alfano e di una dozzina di leggi ad personam. Meloni si accontenta per ora dell’abolizione dell’abuso d’ufficio, dello smantellamento del traffico d’influenze, del bavaglio sulle ordinanze di custodia cautelare, della separazione delle carriere. Ma il prossimo passaggio sarà l’abolizione dell’obbligatorietà dell’azione penale. «Ce lo chiedono gli italiani», giurerà la presidente del Consiglio.
La ragione che la spinge a cavalcare con gioia tanto feroce l’onda dell’odio contro le toghe rosse è chiara. Nel merito c’è da coprire con una menzogna di Stato l’ignominia del rilascio/rimpatrio del criminale libico Almasri. Nemmeno nell’era del disumano cattivismo sul quale investono i patrioti si può spiegare agli italiani che rimandiamo a casa un assassino perché è garante dei nostri patti scellerati con la Libia su migranti e petrolio.
Non si riesce a dire l’indicibile, anche a costo di rinnegare il diritto umanitario, lo Statuto di Roma e la Corte penale internazionale. L’ipocrisia non ha limite, la vergogna forse sì (con buona pace di Bruno Vespa, sedicente cane da guardia dei vecchi potenti e ormai cagnolino da salotto di quelli nuovi).
Serve una contro-narrazione, e qui veniamo al metodo. Mentire al Paese, dichiarandosi colpita da un «avviso di garanzia» farlocco. Ritirare fuori dagli armadi lo scheletro del Cavaliere, mascariato dal pool di Milano al G8 di Napoli. Far rivivere i soliti fantasmi, il “golpe giudiziario”, i giudici comunisti che vogliono abbattere il quartier generale. Delegittimarli agli occhi dell’opinione pubblica. Calunniare l’avvocato Li Gotti come difensore dei mafiosi e vicino a Prodi (mentre viene dal partito di Di Pietro). Infangare il procuratore Lo Voi come un giudice quasi fallito, amico della sinistra (mentre è iscritto alla corrente di destra) e soprattutto accecato dalla sete di vendetta contro il governo, perché nel febbraio 2023 il sottosegretario Mantovano gli ha tolto la vantaggiosa sinecura dei voli di Stato.
E qui la menzogna di Stato diventa abiezione. Far apparire i magistrati non solo come pericolosi sovvertitori dell’ordine costituito, ma anche come accidiosi approfittatori del privilegio di “casta”. Somministrare la pillola avvelenata contro il pm attraverso i volenterosi carnefici dell’informazione di regime, acquartierati al Tg1 e nei giornali-cognati. Senza spiegare che i voli di Stato non erano un “favore”, ma un’ovvia misura di sicurezza che tutti i governi hanno sempre concesso ai magistrati più esposti al fuoco delle cosche (Lo Voi, appunto, ma anche Nicola Gratteri e Nino Di Matteo). E senza dire che questo governo ha tolto il volo di Stato ai suoi servitori, che rischiano la vita ogni giorno, ma l’ha concesso al torturatore libico Almasri.
Per quanto disgustoso, c’è un pensiero dietro a questo metodo. Bombardare di nuovo le procure serve a coprire il silenzio assordante della coalizione su tutto il resto. Di qui a fine legislatura, la Sorella d’Italia non ha più niente da offrire al Paese, se non la lunga lista degli auto-complotti di cui si sente vittima (ormai siamo a quota quindici tra caso Striano e caso Sangiuliano, fuorionda su Giambruno e finte inchieste su Arianna, fino ad arrivare ai tribunali che bloccano l’operazione Albania).
Non c’è un euro in cassa e la nave Italia si è fermata, tra la crescita zero e occupazione in retromarcia a novembre e dicembre, produzione industriale a picco da 22 mesi e cassa integrazione in salita del 30%. Servono nemici, da costruire e da trasformare in capro espiatorio. Che poi questa strategia della tensione preluda alla mossa più estrema — far saltare il banco e puntare a elezioni anticipate, per stravincere e ottenere i pieni poteri — è improbabile ma non impossibile.
Ma intanto il fragoroso salto nel cerchio di fuoco è utile a intercettare e ingrassare un risentimento che si ritiene sempre più diffuso tra gli italiani. A quanto pare i Fratelli e gli arditi meloniani hanno esultato nel constatare il clamoroso successo sui social del videomessaggio con il quale Giorgia ha annunciato urbi et orbi «l’avviso di garanzia» e riciclato il trito grido di battaglia «non sono ricattabile». Si narra che su X, Instagram e Facebook i 4/5 dei commenti siano stati di incondizionato sostegno alla premier. A maggior ragione l’imperativo categorico per onorevoli camerati e squadristi digitali è adesso “bastonare i magistrati!”, detestati anche dal popolo.
Così, proprio nei giorni in cui ricorre il decimo anno di Sergio Mattarella al Quirinale, le destre celebrano il funerale del costituzionalismo e preparano l’estrema unzione alla democrazia parlamentare (sostituita dalla dittatura dei follower). Scommessa ad altissimo rischio, anche per una leader ancora in luna di miele con il suo elettorato.
È vero che la magistratura ha perso quota, tra le istituzioni di cui gli italiani hanno ancora fiducia. Secondo Ilvo Diamanti il 54% dei cittadini giudica le toghe “troppo politicizzate”. Anche Nando Pagnoncelli certifica un calo di fiducia per la magistratura, scesa al 45%. Ma tutti gli istituti (compresi Istat, Censis ed Eurisko) condividono due punti fermi. Al primo posto per credibilità c’è sempre la presidenza della Repubblica, tra il 56 e il 68% dei consensi. All’ultimo posto ci sono sempre i partiti, inchiodati tra il 4 e il 17%. De te fabula narratur, cara Giorgia. Le toghe saranno pure screditate. Ma da quale pulpito predica, questa politica senza gloria e senza onore?
(da repubblica.it)
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Febbraio 1st, 2025 Riccardo Fucile
I SOVRANISTI VOGLIONO MANOVRARE I FILI DELLE NOMINE DEI GIUDICI, LE SENTENZE E PURE LE INDAGINI: E’ IL MODELLO ORBAN
Quando qualche sciagurato giornalista si è permesso di scrivere che la separazione delle
carriere fosse solo un tassello di una riforma che ha come fine ultimo il controllo politico della magistratura, più precisamente delle Procure e dei pm, i benpensanti erano inorriditi. “Come potete pensare una cosa del genere?”, ripetevano in coro nei loro angustiati editoriali.
Ora che a dirlo è il capogruppo al Senato del partito della presidente del Consiglio, Lucio Malan – al netto del solito, maldestro tentativo di marcia indietro dopo una giornata di polemiche – scalderanno le penne per dirci che si tratta di una considerazione personale, si spremeranno per tranquillizzarci che no, non accadrà niente di simile.
Il cosiddetto caso Almasri non è diverso dal solito. La maggioranza di governo raccoglie i rifiuti dalla cronaca per farne strumentalizzazione politica. Accade dal primo Consiglio dei ministri, quando Giorgia Meloni esibì tronfia un decreto anti-rave perché dei raduni si parlava nei bar, sui giornali e nelle trasmissioni televisive.
In questa occasione, però, l’iscrizione nel registro degli indagati di Meloni è un boccone ancora più goloso. Permette, in un colpo solo, di colpire la presunta magistratura politicizzata, come ai bei tempi del Cavaliere decaduto Berlusconi, e di simulare l’impellenza di una riforma che metta un freno ai giudici.
Essendo abilissimi ad interpretare a proprio vantaggio le norme italiane e il diritto internazionale, ma molto meno a scrivere le leggi, hanno trovato la soluzione finale: manovrare i fili dei giudici nelle sentenze e ora anche nelle indagini. Non serviva essere Cassandra.
(da lanotiziagiornale.it)
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Febbraio 1st, 2025 Riccardo Fucile
IL DOSSIER DI FDI ACCUSA LA CORTE AIA, LINCIA LO VOI E TIRA IN BALLO PERSINO CONTE… UNA SERIE DI PALLE SPAZIALI
Un complotto del “globo terracqueo”, per dirla con Giorgia Meloni. Stavolta però l’obiettivo non sono i trafficanti di migranti, ma chi quei trafficanti cerca di perseguirli, cioè i magistrati. Italiani ma anche internazionali, compreso il procuratore generale della Corte Penale Internazionale.
Il nuovo assalto al procuratore di Roma Francesco Lo Voi, reo semplicemente di indagare sulla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, due ministri e il sottosegretario Alfredo Mantovano, arriva di prima mattina nella chat di deputati e senatori di Fratelli d’Italia.
Un documento prodotto dall’ufficio studi di Fratelli d’Italia guidato dal deputato Francesco Filini e supervisionato dal potente sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giovanbattista Fazzolari. Il dossier sembra innocuo: “Il giallo sugli errori del caso Almasri”, è il titolo. Si presenta, insomma, come una ricostruzione, in base alla propaganda di governo, delle 72 ore che hanno portato prima all’arresto, poi alla liberazione e infine al rimpatrio con volo di Stato del torturatore libico.
In realtà non c’è solo questo. Nel documento, che Il Fatto ha potuto leggere, ci sono due paragrafi in cui il governo teorizza un complotto giudiziario da parte di due protagonisti della vicenda: il procuratore generale della Corte Penale Internazionale che il 18 gennaio ha spiccato il mandato di cattura nei confronti di Almasri e soprattutto il capo della Procura di Roma Lo Voi, accusato di essere vicino all’ex premier e oggi leader del M5S Giuseppe Conte, che secondo FdI avrebbe voluto nominarlo alla Corte Penale Internazionale.
La prima parte del documento si sofferma, ancora, sul presunto complotto della Corte Penale Internazionale che, secondo la propaganda di governo, avrebbe spiccato il mandato di cattura solo quando Almasri stava arrivando in Italia permettendogli di “scorrazzare” libero per l’Europa (in Regno Unito, Belgio e Germania) nelle settimane precedenti: “Per quale motivo la Cpi ha accelerato la richiesta di arresto di Almasri soltanto quando il cittadino libico ha lasciato la Germania per giungere in Italia?”, si legge. E ancora: “Perché nella versione del mandato di arresto precedente a quella del 24 gennaio è stata omessa la circostanza del voto contrario all’arresto della giudice messicana Maria del Socorro Flores Liera e le relative considerazioni?”.
Inoltre, i meloniani prendono di mira il pg della Corte Penale Internazionale, l’avvocato britannico Karim Ahmad Khan, accusato di aver difeso alcuni “sanguinari dittatori” come quelli della Liberia Charles Taylor, del Kenya William Ruto, e del leader ribelle sudanese Bahr Abu Garda. E quindi, è il sottotesto di Palazzo Chigi, sarebbe squalificato per spiccare il mandato di cattura.
L’altro accusato è Lo Voi, già finito nel tritacarne della propaganda di Palazzo Chigi per l’uso – poi interrotto dal sottosegretario Mantovano – dei voli di Stato per viaggiare da Roma e Palermo. Per la prima volta i vertici di Fratelli d’Italia accusano il procuratore di Roma, che ha firmato gli avvisi di garanzia nei confronti di Meloni, Nordio e Piantedosi, di essere stato vicino al governo Conte-2.
“Qual è il nome candidato dal governo italiano con nota del 9 febbraio 2021 a procuratore della Corte Penale? – si legge allusivamente nel dossier – Il dottor Francesco Lo Voi, ovverosia il procuratore capo di Roma, lo stesso che ha indagato il presidente Meloni, i ministri Nordio e Piantedosi, e il sottosegretario Mantovano. E qual era il governo in carica all’epoca? C’era Giuseppe Conte che si era dimesso e sbrigava gli “affari correnti’”.
Insomma Lo Voi, nonostante faccia parte della corrente moderata Magistratura Indipendente, viene accusato di essere vicino a Conte che lo avrebbe voluto al Tribunale dell’Aia. Una teoria del complotto cavalcata da Chigi e che non trova alcuna conferma. Anzi è smentita dal fatto che l’unica nomina extragiudiziale che riguarda Lo Voi sia stata fatta dall’ultimo governo Berlusconi: nel 2010, l’allora Guardasigilli Angelino Alfano, lo indicò come rappresentante italiano di Eurojust. Nel 2014 poi fu la componente laica del Csm Maria Elisabetta Casellati ad appoggiarlo per la nomina a procuratore di Palermo.
(da ilfattoquotidiano.it)
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