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FLOP ALBANIA, IL GOVERNO ORA VUOLE SCEGLIERSI PURE I GIUDICI D’APPELLO

Febbraio 3rd, 2025 Riccardo Fucile

AAA CERCASI DISPERATAMENTE MAGISTRATI SOVRANISTI E UN POCHINO RAZZISTI DISPOSTI A VIOLARE LE LEGGI

Prima ha tolto loro la competenza. Ora che, per carenze di organico, se li sono ritrovati in Appello, il governo vuole proprio inibirli. L’obiettivo è chiaro: evitare che gli stessi giudici delle sezioni specializzate sull’Immigrazione possano essere trasferiti e quindi decidere anche in Corte di Appello sul trattenimento dei migranti. Stessi giudici, sentenze fotocopia, è il mantra del governo dopo la sentenza di venerdì che ha respinto il trattenimento di altri 43 migranti portati nel centro di Gjader, in Albania. Insomma, provarle tutte per tenere in piedi il traballante protocollo con Tirana.
Così, dopo l’emendamento al decreto Flussi che ha spostato la competenza dalle sezioni specializzate sull’Immigrazione alle Corti di Appello, ora i vertici dell’esecutivo stanno lavorando a una norma ulteriore: un provvedimento, anticipato ieri da Repubblica, che impedisca ai giudici delle sezioni sull’immigrazione di decidere anche in Corte d’Appello. Della norma si sta occupando Palazzo Chigi con il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, che non ha coinvolto i ministeri di Giustizia e Interno.
Per capire la questione è necessario fare un passo indietro. Dopo le molteplici pronunce delle sezioni dei Tribunali specializzate sull’immigrazione, che nei mesi scorsi non hanno convalidato il trattenimento dei migranti nei centri in Albania, a gennaio il governo ha presentato un emendamento al decreto Flussi per spostare la competenza in capo alle Corti d’Appello. Il motivo era semplice: l’esecutivo accusava i giudici di quelle sezioni di essere “politicizzati”.
Problema: lo spostamento, da un giorno all’altro della competenza non è andata di pari passo con l’aumento del personale nelle Corti d’Appello. Che già oggi sono carenti di magistrati. Figurarsi se devono anche decidere sui singoli ricorsi dei migranti sbarcati in Italia e trattenuti nei Cpr in Albania. Così, per applicare la nuova norma, alcuni degli stessi giudici sono stati spostati in Corte d’Appello. La prima sentenza arrivata venerdì ha prodotto lo stesso risultato dei mesi precedenti: respinto il trattenimento dei migranti.
Così adesso i vertici del governo e di Fratelli d’Italia pensano a una norma per evitare esplicitamente che i giudici delle sezioni immigrazione possano essere spostati e decidere anche in Corte d’Appello. Un provvedimento, si capisce, non facile da scrivere perché si presterebbe facilmente a questioni di incostituzionalità o in grado di mandare all’aria i Tribunali di tutta Italia. Per questo è stata affidata all’ex magistrato Mantovano, in raccordo con i capigruppo di Fratelli d’Italia Galeazzo Bignami e Lucio Malan.
Una soluzione ancora non c’è ma ci sono tre ipotesi sul tavolo. Le prime due, seppur in senso contrario, si rifanno al parametro dell’anzianità, di età o di servizio. Nel primo caso, la norma sarebbe scritta in modo che sopra una certa età i giudici delle sezioni specializzate non possano essere trasferiti in Appello.
Nel secondo, invece, si darebbe la possibilità anche alle toghe al primo incarico di poter decidere in Appello, superando quindi il problema della carenza di organico. Due soluzioni più semplici da scrivere perché basate sul parametro oggettivo dell’anzianità, ma che potrebbero anche non essere efficaci: non è detto che solo in base all’età il governo riesca a eludere che gli stessi giudici di primo grado decidano anche nel secondo.
L’altra ipotesi, ma molto più complicata, è quella secondo cui chi si è già pronunciato in primo grado sulla stessa materia non possa farlo in Appello. Una norma che valga per tutti i giudici tout court è impensabile perchè manderebbe in tilt i tribunali di tutta Italia.
Il nuovo provvedimento dovrebbe riguardare solo la materia dell’immigrazione, ma in questo caso si presterebbe a facili ricorsi: perché scrivere una norma del genere solo per le decisioni sui reati legati all’immigrazione e non, per esempio, a quelli sulla corruzione?
Queste sono le ipotesi del nuovo provvedimento. Anche sul metodo non c’è un’idea chiara: il governo potrebbe decidere di fare un decreto ad hoc o un emendamento parlamentare a un decreto in via di conversione in Parlamento. Con la seconda opzione, la maggioranza potrebbe provare a eludere più facilmente il controllo del Quirinale. I tempi, invece, non dovrebbero essere immediati: in settimana ci sarà una prima riunione sul provvedimento.
(da agenzie)

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BERLINO, LA SFILATA DEI 200.000 SOTTO LA PORTA DI BRANDEBURGO: “NO AL GOVERNO CON AFD”

Febbraio 3rd, 2025 Riccardo Fucile

LA GERMANIA SI RIBELLA AGLI INCIUCI TRA CDU E NEONAZISTI

A un anno di distanza, i tedeschi sono tornati in piazza contro l’estrema destra. Dodici mesi fa, milioni di indignati sfilarono per settimane in diverse città della Germania per protestare contro la notizia che l’Afd avesse organizzato riunioni con i neonazisti e gli identitari per organizzare la “remigrazione”.
Nel frattempo, l’ultradestra ha assorbito tranquillamente nei suoi programmi elettorali quel termine che ricorda tempi bui. E da qualche giorno, grazie al tifo di Elon Musk ma soprattutto grazie alla Cdu/Csu che ha incenerito il cordone sanitario che la teneva fuori dai giochi politici, l’Afd sta tentando l’assalto al potere.
Uno scenario inimmaginabile, fino a poche settimane fa. Così, un enorme corteo ha riempito ieri le strade del centro di Berlino fin sotto la Porta di Brandeburgo (160 mila persone secondo la polizia, 250 mila secondo gli organizzatori) per opporsi all’avvento dell’Afd e a una collaborazione della Cdu/Csu, il partito fondato da Adenauer sulle ceneri del nazismo.
Il titolo della manifestazione era “La rivolta delle persone perbene”. E gli striscioni principali recitavano “il cordone sanitario siamo noi: niente collaborazioni con l’Afd!”. Un riferimento storico al famoso “il popolo siamo noi” dei manifestanti dell’autunno del 1989 contro il regime della Ddr. Ma tra la folla che cantava “Bella ciao” e gridava “Fuck Afd”, si intravedevano cartelli “Fritz, ascolta la mamma”: un invito al leader della Cdu, Friedrich, “Fritz”, Merz ad ascoltare Angela Merkel.
L’ex cancelliera si è fatta sentire eccezionalmente nei giorni scorsi per far sapere che la decisione della Cdu/Csu di accettare i voti dell’Afd sul pacchetto anti-migranti è stato “un errore”. Ma la poltrona del favorito alla cancelleria Merz già balla. Prima delle elezioni del 23 febbraio non succederà nulla, sostengono due fonti qualificate della Cdu. Ma se il partito scenderà pericolosamente sotto il 30%, il redde rationem già in corso tra l’ala cristiano-merkeliana capitanata dal popolarissimo governatore del Nordreno-Westfalia, Hendrik Wuest, e l’ala destra guidata da Merz, si potrebbe risolvere a favore del primo. Oggi, al congresso della Cdu, Merz cercherà di tornare al tema che aveva scelto per la campagna elettorale: la crisi economica della Germania. Ma sarà difficile cancellare la Caporetto dei giorni scorsi, se i sondaggi e soprattutto le elezioni andranno male.
Sul palco degli organizzatori, ieri, c’era anche la chiesa tedesca. Nei giorni scorsi, sia i cattolici sia i protestanti avevano criticato aspramente Merz. L’ex capo della Chiesa evangelica, Heinrich Bedford-Strohm, si è rivolto all’enorme folla berlinese sottolineando che «la democrazia non è solo un processo elettorale, bensì una visione, e al centro c’è la dignità umana. Mi vergogno – ha aggiunto – che i migranti arrivati qui non si sentano più a loro agio». E al microfono è anche andato un brillante e ascoltatissimo opinionista come Michel Friedman, figura di spicco della comunità ebraica tedesca. Nei giorni scorsi aveva annunciato di aver stracciato la tessera della Cdu, dopo 40 anni di militanza. Ieri Friedman ha puntato il dito contro «il partito dell’odio» Afd, e ha ricordato «la promessa di ricostruire questo Paese sul principio che la dignità dell’uomo è intoccabile». È tempo, ha concluso, «di smetterla di reagire: dobbiamo agire».
Peraltro, stando ai sondaggi, la debacle di Merz si riflette anche nei numeri. Secondo un’indagine Insa post dà la Cdu ferma al 30%, mentre Afd ha guadagnato un punto, è al 22. Persino la l’Spd, finora priva di slanci e di temi elettorali coinvolgenti, ha guadagnato un punto: è al 17. E Merz ha certamente regalato un formidabile argomento elettorale ai socialdemocratici, con il suo cedimento all’ultradestra. In un altro sondaggio di YouGov, precedente alle giornate calde al Bundestag ma che assorbe chiaramente gli umori dei ripetuti sdoganamenti di Elon Musk e le prime dichiarazioni di Merz su un possibile voto congiunto, l’Afd è addirittura data in crescita di quattro punti in una sola settimana, al 23%, la Cdu al 29%. Cifre che sembrano confermare il vecchio adagio della scienza politica. Nel dubbio, quando i centristi si affannano a rincorrere la destra, gli elettori votano l’originale.
(da agenzie)

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LISTE D’ATTESA, FDI ATTACCA LA FONDAZIONE GIMBE CHE AVEVA SOSTENUTO CHE DOPO SEI MESI MANCANO ANCORA I DECRETI ATTUATIVI E RIMEDIA UNA FIGURA DA PIRLA

Febbraio 3rd, 2025 Riccardo Fucile

NEL COMUNICATO DI FDI CONFERMANO CHE E’ VERO, MA ALLORA NON ERA MEGLIO STARE ZITTI?

Non si placa la polemica sui decreti attuativi che avrebbero dovuto risolvere il problema delle liste di attesa nel Servizio sanitario, la mancanza dei decreti – solo uno è stato approvato su sei – denunciata dalla Fondazione Gimbe ha provocato la violentissima reazione del senatore di Fratelli d’Italia Franco Zaffini, presidente della commissione Sanità e Lavoro di palazzo Madama accusando direttamente il presidente dell’ente Nino Cartabellotta: “Ormai mentire sul nostro Sistema sanitario nazionale è quasi diventato uno sport amatoriale” l’incipit di una lunga nota che terminava così: “La salute è un bene assoluto e il primo dei diritti inalienabili, basta con le fake news e le strumentalizzazioni dei comunisti e dei loro cavalier serventi”.
“La verità è incontrovertibile. La malizia la può attaccare, l’ignoranza la può deridere, ma alla fine la verità è ancora lì” (W. Churchill). A 6 mesi dalla conversione in legge del Dl liste di attesa questa è la verità. Il resto sono chiacchiere” replica Cartabellotta.
Conte: “Ammettono che è stato approvato un solo decreto”
Un attacco frontale che ha innescato la reazione delle opposizioni e il richiamo al governo Meloni di occuparsi di un problema che aveva promesso di risolvere in tempi brevi. “Dopo mesi e mesi il Governo è riuscito a portare a casa solo 1 decreto su 6 contro le liste di attesa in Sanità e invece di rimboccarsi le maniche Fratelli d’Italia che fa? Attacca con la bava alla bocca la Fondazione Gimbe e Nino Cartabellotta che hanno sottolineato, con l’onestà e l’autorevolezza che li contraddistingue, questo ritardo. A loro va tutta la nostra solidarietà – dice il leader del M5S Giuseppe Conte sui social – Se la prendono con le ‘fake news’ di ‘comunisti e loro cavalier serventi, contro le Regioni (la stragrande maggioranza governate dal centrodestra!). Un altro complotto? La cosa comica (ma anche squallida) è che nello stesso comunicato in cui attacca tutti, Fratelli d’Italia ammette che è stato approvato solo un decreto. I complotti immaginari, come le bugie, hanno le gambe corte e servono solo a coprire i disastri di Meloni e soci: dall’assenza di provvedimenti concreti contro le liste di attesa ai 100 euro tolti in busta paga il responsabile possono trovarlo tranquillamente guardandosi allo specchio”.
Schlein: “Bullismo politico non accettabile”
Anche la segreteria del Pd, Elly Schlein, interviene: “Fratelli d’Italia e il governo Meloni stanno cinicamente smantellando la sanità pubblica per favorire gli amici del privato. I loro tagli costringono quasi 5 milioni di italiani a rinunciare alle cure, gli altri a spendere 40 miliardi di tasca propria. In questo disastro si permettono anche di attaccare chi, come la Fondazione Gimbe e il suo presidente Cartabellotta, è impegnato da anni e di fronte a governi di qualsiasi colore a difendere il servizio sanitario nazionale. Giorgia Meloni si concentri sulla tutela della sanità pubblica e tenga a bada i suoi, perché questo bullismo politico non è accettabile: non resteremo a guardare mentre la destra attacca il diritto costituzionale alla salute. Alla fondazione e Gimbe e Nino Cartabellotta la solidarietà di tutta la nostra comunità democratica”
(da agenzie)

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IO SONO LA NAZIONE, IO SONO IL POPOLO

Febbraio 3rd, 2025 Riccardo Fucile

“LA VERA SFIDA IN POLITICA E’ IMPARARE A PENSARE NEI LIMITI”

Tema della settimana: Meloni, le toghe, la ragion di Stato, le tre regole dell’avvocato Roy Cohn (feroce mentore del Signore di Tutti i Dazi, Donald Trump) e la capacità ormai perduta della politica di pensare nei limiti, sbriciolando gli auspici di Hanna Arendt. Non abbiamo più il senso del pudore. Sembra un dettaglio. È l’inizio di un nuovo mondo in cui prevale chi è più forte e selvaggio. Trumpismo quintessenziale. Un’aria non esattamente salubre che si respira anche qui da noi.
Confesso che non sapevo cosa fosse il metodo “Falqa”, tortura utilizzata dai nazisti, dai Khmer Rossi di Pol Pot in Cambogia e dal generale libico Nijem Osama Almasri, sadico in capo delle prigioni in Tripolitania, disumano protagonista di questi nostri infelici giorni che contrappongono Palazzo Chigi alla magistratura, nella stucchevole, decennale, ripetizione di un modello suicida, destinato ad azzerare la fiducia già ridicola nelle istituzioni e a radere al suolo la voglia di partecipazione democratica della collettività.
Il metodo “Falqa”, dicevo. Si individua un prigioniero – e in Libia chiunque è prigioniero, se così decide l’onnipotente Almasri – gli si distendono le gambe e le si legano ad un asse di legno di modo che non si possano più muovere. Poi si prendono a bastonate le piante dei piedi del malcapitato fino a quando vomita, implora e perde i sensi. Una volta rianimato, lo si lascia agonizzante a strisciare in mezzo ai cumuli di sporcizia della sua cella, affinché sia chiaro a tutti che quell’uomo non è più un uomo. Succede ogni giorno. Suppongo anche oggi. Banalmente perché il generale Almasri vuole così. A noi fa comodo. Impedisce le partenze fuori controllo dei migranti, parrebbe. I numeri di queste ore dicono il contrario. Dettagli.
Nelle quarantadue pagine in cui la corte penale internazionale dell’Aja chiede il suo arresto, il generale Almasri, felice di passare i suoi fine settimana in giro per l’Europa a guardare partite di pallone con gli amici, è accusato di avere consentito lo stupro di un bambino, l’assassinio di trentaquattro persone e di avere autorizzato, previsto e richiesto l’applicazione costante e inflessibile di trattamenti disumani. Vale la pena averlo presente prima di ragionare sul resto. Aggiungo, anche se sarebbe più che sufficiente il quadro appena fatto, la rapida sintesi della testimonianza di un prigioniero ascoltato dalla psicologa di Medici Senza Frontiere, Maria Eliana Tunno. Le sue parole: «Sentivo di non avere più un’anima». Il generale Almasri, criminale probabilmente non ignoto ai servizi americani, italiani e inglesi, forse per questo intoccabile, è un uomo che strappa l’anima.
Perché lo abbiamo rimandato a casa? Per la sicurezza dello Stato ha spiegato Giorgia Meloni, formula all’interno della quale si può nascondere (persino legittimamente) qualunque cosa. Iscritta intempestivamente nel registro degli indagati per peculato e favoreggiamento dal procuratore di Roma, Francesco Lo Voi, la premier ha preso la palla al balzo per scatenarsi contro i magistrati, rei – giura – di volere affossare la presidente del Consiglio e assieme a lei il Paese, dato che, nella sua visione, tra le due cose non c’è differenza. Io sono la Nazione. Io sono il Popolo.
In suo aiuto – mi auguro non richiesto – è intervenuto un indignato Bruno Vespa che, autoproclamatosi maestro Manzi del melonismo, ha spiegato a tutti noi ingenui e manipolabili abitanti della penisola che «in ogni Stato si fanno cose sporchissime, anche trattando con i torturatori per la sicurezza nazionale». Perché stupirsi, dunque? Gridiamolo con orgoglio: se ci servono le canaglie usiamo le canaglie. E tu pensa a quei fessi della corte penale convinti che l’Italia fosse legata ai trattati internazionali.
Inutile spiegare che tra “fare” cose forse utili, certamente ignobili, “dirle”, “legittimarle” e addirittura “rivendicarle”, passa tutta la variegata scala dell’opportunità, del buongusto, della decenza, del decoro, del rispetto della politica e della sensibilità collettiva. Merce avariata che non interessa più a nessuno. Altrettanto inutile sottolineare che il segreto di Stato o è, appunto, segreto, oppure è una vergogna.
Va da sé che dopo avere scatenato questo nuovo incandescente dibattito sui motivi per cui “le toghe rosse” vogliano la rimozione di Giorgia Meloni, le possibilità di capire davvero cosa nasconde il pasticcio Almasri sono precipitate nello scantinato delle illusioni.
Pausa e passo indietro. Tra le telefonate fatte in settimana per ragionare di questi temi, due mi sono rimaste in testa. La prima con l’ex presidente del Consiglio e leader dei Cinque Stelle, Giuseppe Conte. Era in macchina. In mezzo alle gallerie. La conversazione era disturbata, ma il senso chiarissimo. La riassumo sbrigativamente perché in qualche modo contiene la linea delle opposizioni: «Il comportamento di Giorgia Meloni sul caso Almasri denota irresponsabilità politica, insipienza giuridica e vergogna morale». Non esagera? «No. La premier usa modi intimidatori. È diventata berlusconiana. E sottrae l’Italia alle norme di diritto internazionale. Quello che vale per Almasri d’ora in avanti varrà per i rapporti con tutti gli Stati canaglia?» . Bella domanda. Che sarebbe stato utile rivolgere ai ministri Piantedosi e Nordio in Parlamento. Peccato che questo disastro abbia congelato assieme ai lavori dell’Aula, la possibilità di un dibattito vero. Per la premier un risultato niente male.
Seconda telefonata, Gustavo Zagrebelsky. Anche qui riassumo rapidamente il pensiero del professore. «È un caso che ogni volta che la magistratura si occupa della politica, la politica parli di complotto? Sono i magistrati ad essere dei cospiratori comunisti, sempre disponibili per iniziative ad orologeria, o magari è la politica che non tollera i limiti del diritto? Noto, peraltro, che a far venire fuori la notizia dell’iscrizione di Meloni sul registro degli indagati è stato Palazzo Chigi. Perché? La mia risposta è semplice: perché Meloni è furbissima». Siamo di fronte ad un verminaio o ad esigenze di sicurezza? «Chi lo sa». Ne usciamo, professore? «Solo se manteniamo viva l’intelligenza e l’ironia». Auguri.
In questo marasma l’unica cosa certa è che Giorgia Meloni, straordinaria cercatrice di pepite d’oro, forse confortata dalla distruzione dei freni inibitori prodotta dal Trump II la Vendetta, ha impresso una svolta radicale al suo stile narrativo. Difficile capire fino a che punto voglia spingersi. Se davvero immagini, come ritengono alcuni osservatori, di arrivare addirittura alle urne anticipate. La premier vive di consenso. Ha bisogno dell’acclamazione collettiva. Un’identificazione – impropria, considerato che un italiano su due non vota e che lei è titolare del trenta per cento dell’altra metà – che le consente di derubricare a fastidiosi orpelli i contrappesi democratici. Per i prossimi due anni e mezzo di legislatura sembra non avere in mano molte carte. L’economia frena, i soldi mancano, le riforme (giustizia a parte) sono al palo. La creatività che dimostra all’estero, in Italia si vede a fatica e di certo Meloni non vuole diventare l’ennesimo campione della democrazia dell’impotenza. Da qui i ritornelli muscolari.
Un discreto paradosso. Per un decennio, quello appena trascorso, le destre italiane hanno avuto il problema di rendersi democraticamente presentabili. Mostrarsi in grado di accettare le consuetudini e le regole. Adesso fanno marcia indietro, perché essere “impresentabili” improvvisamente paga, da Washington a Buenos Aires, dunque torniamo impresentabili.
Perciò mi riaggancio inutilmente ad Hannah Arendt: «la vera sfida, in politica, è imparare a pensare nei limiti». Ci interessa ancora o abbiamo deciso di impiccarci ad una deriva da saloon?
In queste ore rimbalzano un po’ ovunque le tre regole di Roy Cohn, protagonista del film “The Apprentice, alle origini di Trump”. Cohn, spietato avvocato newyorkese, teorico del maccartismo negli Anni Cinquanta e mentore del giovane Donald, declina così il podio del successo. Regola numero uno: «attacca, attacca, attacca». Regola numero due: «non ammettere niente, negare ogni cosa». Regola numero tre: «dire che hai vinto e non ammettere mai la sconfitta». Adesso chiudete gli occhi e chiedetevi se pensando a questo schema vi viene in mente Trump, Milei, Putin o Meloni. È lo Spirito del tempo. Ma attenzione a fingere che tra cinismo e buonismo, tra aggressività e mediazione, non ci sia differenza. Ad alzare le spalle e a fingere che non ci riguardi, perché – e sono per la terza e ultima volta ad Hannah Arendt – «la triste verità è che molto del male viene compiuto da persone che non si decidono mai ad essere buone o cattive».
(da La Stampa)

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