Aprile 3rd, 2025 Riccardo Fucile
LA TESTIMONIANZA DELLA MOGLIE A TARANTOTODAY
“Suo marito può venire in ospedale per l’intervento.” Questa la telefonata ricevuta da una donna pugliese qualche giorno fa. La sua risposta è stata immediata: “Ma quale intervento?”. L’operatore ha spiegato: “Quello per il signor Antonio. Avete risolto?”. “Sì, certo. Mio marito è morto nel 2024.”
Antonio, ex operaio dell’Ilva di Taranto, padre di due figli, era affetto da un tumore al duodeno ed è deceduto a 45 anni, due anni fa. Da allora era in lista d’attesa per
l’intervento. Quando la moglie è stata avvisata che finalmente c’era la possibilità di operarlo, ha pensato si trattasse di uno scherzo, come ha raccontato a TarantoToday.
La Asl di Taranto, dopo aver parlato con la donna, ha chiarito che “la convocazione, a un anno di distanza dal decesso”, non è stata emessa dall’Asl Taranto, ma da un’altra azienda sanitaria che aveva preso in carico Antonio prima del trasferimento all’Ematologia del Moscati di Taranto”. La Asl, quindi, si è dichiarata estranea alla vicenda.
La vedova ha anche raccontato che, prima di rivolgersi alle strutture sanitarie pubbliche, il marito era stato trattato dal medico di base con fermenti lattici per cercare di alleviare i forti dolori addominali. Da quel momento inizia la loro lunga odissea. Nel marzo 2023, il paziente si sottopone a un’ecografia addominale, seguita da una Tac, e infine si rivolge a un ematologo che conferma la diagnosi di linfoma.
Lo specialista spiega alla coppia che è necessaria una biopsia e quindi un radiologo interventista. A quel punto, la coppia, che aveva già speso circa 2.000 euro per visite e accertamenti specialistici, si rivolge a un medico a Taranto, l’unico che non ha richiesto soldi, il quale decide di ricoverare Antonio. Il paziente viene così ospedalizzato al Santissima Annunziata e sottoposto a un intervento chirurgico per la biopsia. Dopo due mesi, arriva la diagnosi di linfoma non Hodgkin a cellule T. Antonio inizia la chemioterapia, ma dopo un anno, purtroppo, muore.
Solo due anni dopo, arriva la possibilità di sottoporsi all’intervento, ma è ormai troppo tardi.
(da Fanpage)
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Aprile 3rd, 2025 Riccardo Fucile
NEGLI ULTIMI QUATTRO ANNI, LA RETRIBUZIONE MEDIA DEI BOOMER È SALITA DEL 23% QUELLA DEI GIOVANI È ANDATA GIÙ DEL 17%
Per la generazione Z che ha fatto le valige per trovare fortuna all’estero la ricerca di una
retribuzione più alta viene indicata solo al quarto posto tra le priorità. Ma certo è che tra i giovani espatriati la molla principale era e resta avere un lavoro migliore.
Quello che ha spinto ad andarsene il 26,2% di loro, mentre secondo un’indagine della Fondazione Nord Est la ricerca di una più alta qualità della vita è al secondo posto con il 23,2%. Seguono la migliore opportunità di studio e formazione con il 15,6% in fuga da un Paese tra quelli che investe meno in istruzione e ricerca in Europa.
Poi con l’11,4% dei casi c’è l’aspettativa di un salario più elevato. Resta il fatto che incrociando i dati Eurostat l’Italia risulta il Paese meno accogliente per i giovani, insieme al Portogallo paradiso dei pensionati, anche italiani, e al piccolo Lussemburgo, accogliente con i nababbi assai meno con gli altri. E a fare la differenza resta sempre e comunque il lavoro. Che prima di tutto bisogna avere la fortuna di avere. Cosa che non capita al 21,3% degli under 35 italiani contro il 14,1% della media europea.
Che siamo un Paese per vecchi lo raccontano anche un altro paio di dati: quello di una spesa per le pensioni che assorbe il 58,3% di tutta quella per il welfare, mentre per contrastare la disoccupazione investiamo appena lo 0,2% del Pil di fronte a un valore medio che nell’Ue è dello 0,6%
Se poi andiamo a mettere le mani in tasca ai nostri ragazzi in età da lavoro scopriamo che la “generazione mille euro” appartiene oramai a un passato migliore del presente.
Dal 2019 pre-pandemia al 2023 secondo il rapporto “Giovani 2024” condotto dall’Agenzia italiana per la gioventù, mentre la retribuzione media dei boomers è salita del 23% quella dei giovani è andata giù del 17%.
Già a osservare i salari dei dipendenti nel settore privato si scopre che contro una media già di per se modesta del settore, ferma a 22.839 euro lordi l’anno, quella dei giovani scende a 15.616 euro. Ma ad avercelo un posto fisso. Lo stesso rapporto svela infatti che il 40,9% degli under 35 ha un contratto precario, a tempo determinato o stagionale. E le cose vanno di male in peggio, perché i dati relativi ai nuovi contratti stipulati nel 2023 vedono salire la quota dei lavori precari tra gli under 30 addirittura al 79,8% dei casi.
Contrattini spesso dal muso cortissimo. Quelli con una durata che spazia tra una settimana e un mese dal pre-pandemia sono saliti da 50 a 80mila
Ma questo è quello che emerge dal mare del lavoro nero, che secondo gli esperti conta almeno un numero dieci volte tanto di lavoretti di durata mini. Ovviamente quanto si racimola poi a fine anno sono briciole: 9.038 euro lordi per chi ha un contratto a termine e 6.433 per gli stagionali. Altro che mille euro al mese.
E con queste cifre, sommate a un sistema bancario che non concede né prestiti e né mutui, con “740” così poveri parlare poi di “bambacioni” che a trent’anni non vorrebbero muoversi dal divano di casa sa per lo meno di ipocrisia.
(da agenzie)
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Aprile 3rd, 2025 Riccardo Fucile
LA POLARIZZAZIONE SEMPRE PIÙ AMPIA TRA REPUBBLICANI E DEMOCRATICI E IL GRADIMENTO A PICCO PER MUSK (IL 55% NON LO SOPPORTA)
Sono passati oltre due mesi dal ritorno di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti. Le opinioni sul suo operato sono contrastanti, soprattutto se confrontate con il suo primo mandato.
Circa la metà degli adulti americani approva la gestione dell’immigrazione da parte di Trump — un dato superiore rispetto ai livelli di approvazione registrati su questo tema nel suo primo mandato. Al contrario, solo il 40% approva la sua gestione dell’economia, il livello più basso da dicembre 2017.
Nel complesso, il livello di approvazione del presidente è simile a quello registrato all’inizio del suo primo mandato nel 2017, ma inferiore a quello ottenuto da Joe Biden nei primi mesi della sua presidenza.
Circa il 40% degli intervistati sostiene l’operato di Trump nella gestione del governo federale, nei negoziati commerciali, nei conflitti tra Russia e Ucraina e Israele e Palestina, nonché sul tema della sicurezza sociale.
Come prevedibile, la polarizzazione politica rimane marcata. I repubblicani sostengono in larga maggioranza le politiche di Trump, mentre i democratici le osteggiano nettamente. Tra i repubblicani, il tema dove Trump raccoglie più dissenso
interno è il commercio internazionale, con il 27% che disapprova. Tra i democratici, invece, l’immigrazione è la questione in cui Trump raccoglie più consensi, con un 18% di approvazione.
Con il controllo del Congresso e della Casa Bianca, il 74% dei repubblicani ritiene che il Paese stia andando nella giusta direzione, mentre un quarto è di parere contrario. I repubblicani mostrano oggi un ottimismo molto superiore rispetto a democratici e indipendenti. Il loro giudizio sul futuro della nazione è migliorato rispetto agli ultimi giorni della presidenza Biden, mentre quello dei democratici è peggiorato.
Circa 7 adulti su 10 descrivono lo stato dell’economia come “negativo”. Questo livello di pessimismo non è cambiato rispetto alle ultime settimane dell’amministrazione Biden, a dicembre 2024, e si avvicina ai livelli di inizio del suo primo mandato.
Rispetto all’ultimo mese della presidenza Biden, repubblicani e democratici hanno cambiato idea in direzioni opposte: i primi vedono l’economia più positivamente, anche se la metà continua a giudicarla negativamente, una visione simile a quella dei democratici a dicembre. Al contrario, la fiducia dei democratici è crollata, e una larga maggioranza oggi considera l’economia “in cattive condizioni”.
Gli adulti sotto i 45 anni sono più pessimisti sia riguardo alla direzione del Paese (70% contro 54%) sia allo stato dell’economia (79% contro 63%), rispetto agli over 45.
I livelli di gradimento di Donald Trump e di Elon Musk si attestano entrambi intorno al 40%, con divisioni di opinione lungo linee chiaramente partitiche.
(da agenzie)
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Aprile 3rd, 2025 Riccardo Fucile
I VIAGGIATORI SCORAGGIATI DALLE POLITICHE SULL’IMMIGRAZIONE VOLUTE DA “THE DONALD” E DALLA STRETTA SUI VISTI. NEGLI ULTIMI TEMPI SI SONO MOLTIPLICATI I CASI DI VISITATORI AMMANETTATI, DENUDATI E RINCHIUSI NEI CENTRI DETENZIONE PER INCOMPRENSIONI O PERMESSI DI INGRESSO SCADUTI
Il gruppo alberghiero francese Accor SA ha avvertito che le prenotazioni anticipate
dall’Europa verso gli Stati Uniti sono diminuite del 25% per quest’estate, poiché i viaggiatori, scoraggiati dalla stretta sull’immigrazione voluta dal presidente americano Donald Trump, stanno scegliendo altre destinazioni.
L’azienda sta registrando una “decisa decelerazione” dei flussi attraverso l’Atlantico, ha dichiarato martedì l’amministratore delegato Sébastien Bazin in un’intervista a Bloomberg TV. Il calo rappresenta un’accelerazione rispetto al declino del 18-20% osservato nei primi 90 giorni dell’anno, ha spiegato. I viaggiatori stanno preferendo mete come il Canada, il Sud America o l’Egitto al posto degli Stati Uniti, ha aggiunto Bazin.
«Probabilmente è l’ansia di entrare in un territorio sconosciuto» ha detto Bazin. Sebbene i casi di persone trattenute alla frontiera siano ancora aneddotici, hanno comunque generato un “cattivo passaparola” che sta cominciando a riflettersi nelle tendenze delle prenotazioni, ha spiegato.
Il traffico aereo transatlantico è da tempo un pilastro per compagnie aeree e operatori turistici, essendo una delle rotte più redditizie al mondo. Ora, però, un numero crescente di aziende segnala difficoltà: da una parte, i turisti americani stringono la cinghia ed evitano l’Europa, e dall’altra gli europei stanno eludendo gli Stati Uniti per motivi politici.
Lunedì, Air Canada ha annunciato che le prenotazioni per i voli transfrontalieri tra città canadesi e statunitensi sono diminuite del 10% per il periodo aprile-settembre, poiché i canadesi reagiscono alla guerra commerciale in corso evitando viaggi verso sud. Questo cambiamento fa parte di un boicottaggio più ampio dei prodotti americani, in risposta ai dazi imposti da Trump e alle sue ripetute dichiarazioni secondo cui il Canada dovrebbe far parte degli Stati Uniti.
(da agenzie)
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