Aprile 16th, 2025 Riccardo Fucile
COME I SOVRANISTI CON TRE CONDONI FISCALI HANNO FATTO PAGARE AGLI ITALIANI ONESTI 16 MILIARDI CHE DOVEVANO ESSERE VERSATI DA TRE CATEGORIE DI EVASORI (6,6 DALLE IMPRESE, 3,6 DAGLI ARTIGIANI E 5 DAI COMMERCIANTI)
La chiamano pace fiscale. E funziona più o meno così: le imprese che non hanno
versato i contributi previdenziali ai rispettivi lavoratori, si sono messe in regola con il saldo e stralcio delle cartelle esattoriali fortemente voluto dalla Lega. Pagando, quindi, meno di quanto dovuto. E il mancato introito per i contributi non versati nelle casse dell’Istituto previdenziale viene scaricato sulla collettività. In totale, un buco di circa 6,6 miliardi di euro che dovrà essere ripianato dallo Stato. Cioè dagli italiani onesti che tasse e contributi li hanno sempre regolarmente versati.
Ma non finisce qui. La voragine totale nei conti dell’Inps ammonta infatti a circa 16 miliardi, 15,4 dei quali accumulati a causa alle tre edizioni del condono tombale (tutte e tre adottati da governi con la Lega in maggioranza: Conte I, Draghi e Meloni) e riconducibili all’evasione di tre categorie: 6,6 miliardi dalle imprese, 3,6 dagli artigiani e 5 dai commercianti. Sono i numeri di uno scandalo diffusi dal Consiglio di indirizzo e vigilanza dell’Inps e che avranno come effetto, per i lavoratori autonomi la perdita di una fetta della pensione futura e per i dipendenti, in virtù del principio dell’automaticità delle prestazioni, la garanzia dell’assegno previdenziale pieno grazie all’obbligo per lo Stato di ripianare il buco.
Così, mentre la Lega salvava plotoni di evasori dalla morsa del fisco, scaricava sui contribuenti onesti il prezzo dell’evasione. Altro che pace fiscale. Chiamiamola balla (con fregatura) spaziale.
(da lanotiziagiornale.it)
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Aprile 16th, 2025 Riccardo Fucile
BERNIE NON SOLO SI INFILA NELLA TANA DEL NEMICO, FACENDO COMIZI IN STATI DA SEMPRE REPUBBLICANI COME LO UTAH, MA SI È PRESENTATO SUL PALCO DEL COACHELLA PER SPRONARE I GIOVANI CONTRO TRUMP
L’applauso più fragoroso lo incassa Gesù. Quello stampato sulla t-shirt del ragazzo sugli spalti, inquadrato per caso sullo schermo gigante dell’Huntsman Center, lo stadio di basket dell’Università dello Utah colmo ben oltre la capacità di 25mila persone. D’altronde, siamo nel cuore dello Stato più religioso d’America: fondato dai mormoni di Brigham Young nel 1847, dove ancora il 42 per cento degli abitanti appartiene alla Chiesa dei Santi degli Ultimi Giorni.
Non a caso il senatore del Vermont Bernie Sanders, «ebreo non praticante ma fedele alla morale» come si presenta, denuncia le nefandezze dell’amministrazione Trump a inizio discorso citando il “Discorso della Montagna”: «Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, fatelo a loro».È standing ovation.
Affiancato dalla deputata newyorchese Alexandria Ocasio-Cortez, guest star del “Fighting Oligarchy Tour” con cui sta attraversando l’America, l’idolo dell’estrema sinistra due volte candidato alla presidenza cerca nel cuore di Trumplandia la resurrezione dei dem.
Il partito, ancora privo di guida, è troppo stordito dalla vittoria di Trump per reagire (unico sussulto finora, il discorso lungo 25 ore di Cory Booker al Senato). Sebbene nelle scorse settimane la gente sia tornata ad affollare le piazze, chiedendo risposte forti agli atti di una destra sempre più estrema al governo. «Se negli ultimi mesi vi siete sentite soli, guardatevi attorno », incoraggiano Sanders e Ocasio: «Non lasciatevi sopraffare, alzate la testa, protestate, partecipate».
Dopo la tappa a Los Angeles di sabato con 36mila persone ad affollare un parcheggio e l’apparizione a sorpresa al Coachella Festival […] la strana coppia di politici accomunati dalla fede “socialista” ora si spinge dunque lì dove i dem solitamente non vanno.
Gli Stati iper-repubblicani di Utah, Idaho e Montana. Nuove tappe di un
percorso che già a marzo li ha visti battere Arizona e Nevada. Una sfida strategica: città e Stati scelti accuratamente perché i risultati li mostrano potenziali talloni d’Achille dell’Elefante. Lo Utah, per dire, è roccaforte conservatrice da sempre. Ma, in controtendenza con il resto del Paese, alle ultime elezioni i repubblicani sono cresciuti molto meno che negli altri Stati.
Eppure il governo locale sta promuovendo politiche trumpiane restrittive: primo a vietare la bandiera arcobaleno nelle scuole e il fluoro nell’acqua, a restringere il voto postale e certe politiche ambientali lì dove il lago salato, sempre più a secco, rischia di sprigionare una nube d’arsenico.
Troppo anziano per correre alle prossime presidenziali (ha 83 anni) il leader populista sta dunque offrendo alla 35enne Ocasio l’opportunità di farsi conoscere a livello nazionale: per poter magari prendere un giorno il suo testimone e correre per la Casa Bianca.
Ma intanto i due hanno un piano immediato esplicito e semplice: reclutare giovani leve della politica a livello locale, con l’aiuto di associazioni di base come Indivisible, braccio dei loro eventi. Volti nuovi per sfidare alle Midterm sia l’establishment del partito dem, ormai percepito come moderato e fiacco, sia i repubblicani «specchio di Big Money», come li definiscono.
Bernie evoca la storia di Alexandria: «Dopo la morte del padre ha fatto la cameriera perché non poteva più pagarsi gli studi. Ha deciso di correre ribellandosi a un sistema ingiusto e ha vinto senza soldi né lobby alle spalle. Ebbene, in questo stadio ci sono altri potenziali leader ».
(da agenzie)
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Aprile 16th, 2025 Riccardo Fucile
“ANCHE SE È IMPROBABILE CHE GLI USA DIVENTINO UN’AUTOCRAZIA, IL DETERIORAMENTO DELLE SUE ISTITUZIONI POLITICHE NON SARÀ UN FENOMENO BREVE. È QUESTO, NON LA GUERRA DEI DAZI, IL PROBLEMA PRINCIPALE PER L’EUROPA”
In pochi mesi il presidente Trump ha fatto vacillare le certezze su cui era costruito
l’ordine economico e politico del dopoguerra. Cosa succederà alla crescita economica e alle istituzioni politiche degli Stati Uniti? Proviamo ad azzardare alcune risposte.
Ci sarà una recessione? Per gli Stati Uniti sarà quasi impossibile evitarla. Un dazio minimo del 10% è già in vigore. Anche se non sappiamo come evolveranno i negoziati, è probabile che alla fine in media i dazi americani saranno tra il 10% e il 15%, come alla fine degli anni ’30 e quasi quattro volte più di pochi mesi fa.
Si stima che ciò ridurrebbe la crescita americana di circa l’1% entro un anno. Ma potrebbe essere di più, per via dello scompiglio nelle catene produttive con la Cina. A questo shock se ne sommano altri forse ancora più importanti. Gli indicatori sull’incertezza degli operatori economici hanno superato i massimi storici raggiunti negli anni del Covid e ciò bloccherà gli investimenti.
La caduta della Borsa, che potrebbe continuare, scoraggerà i consumi. L’aumento dell’avversione al rischio sta già riducendo l’offerta di credito a famiglie e imprese.
Si aggiungono poi i tagli dei consumi degli immigrati illegali (circa undici milioni), dei dipendenti del governo federale (circa due milioni e mezzo), colpiti dalle politiche di Trump, e il calo del turismo internazionale (a marzo i viaggi verso gli Stati Uniti dall’Europa sono scesi del 17% rispetto
a un anno prima). La fiducia dei consumatori americani è caduta sotto i minimi della crisi finanziaria del 2008.
E l’Europa? Purtroppo sarà difficile evitare il contagio. Il commercio della Ue con gli Stati Uniti è più del 9% del reddito europeo. Anche a prescindere da eventuali (ma probabili) dazi aggiuntivi, una recessione americana si propagherebbe anche da noi.
Cosa succederà al dollaro? Finora gli Stati Uniti hanno goduto del privilegio finanziario derivante dall’essere il Paese più stabile e forte al mondo. Il dollaro è la valuta di riserva e gli Stati Uniti hanno attirato i risparmi di tutto il mondo per finanziare i loro disavanzi commerciali e fiscali.
Oggi gli investitori internazionali detengono circa il 20% delle azioni, il 30% dei titoli di Stato e il 30% del credito alle imprese degli Stati Uniti. Ma ora si è scoperto che le istituzioni americane sono molto più fragili di quanto si pensasse.
Tutto il Paese ha paura che la forza dello Stato venga usata contro i nemici politici, come avviene in molte autocrazie. Ciò non può non avere ripercussioni sulla fiducia nel dollaro, che rimane ampiamente sopravvalutato in termini reali. La volatilità sui mercati finanziari non è ancora finita, ed è molto probabile che il dollaro e i titoli di Stato americani siano le prossime vittime.
Gli Stati Uniti resteranno una democrazia? Questa è forse la domanda più importante. Se, come probabile, l’economia americana entrerà in recessione, tra un anno e mezzo il Partito repubblicano potrebbe perdere le elezioni legislative, permettendo a un Congresso democratico di arginare il presidente. È uno scenario probabile ma non certo.
Chi usa lo Stato per attaccare i suoi nemici politici, indebolire il funzionamento della giustizia, condizionare la libertà di pensiero nelle università, e ha già mostrato di non accettare la sconfitta elettorale, non avrebbe alcuna esitazione a manipolare i risultati delle elezioni legislative. La questione è se potrebbe riuscirvi. Per fortuna vi sono buone ragioni per pensare di no: le elezioni sono amministrate dagli Stati, non dal governo federale
Inoltre la democrazia americana è tra le più antiche al mondo e l’evidenza empirica mostra che l’età giova alle democrazie: quanto più sono vecchie, tanto più sono resilienti.
Anche se è improbabile che gli Stati Uniti diventino un’autocrazia, il deterioramento delle sue istituzioni politiche non sarà un fenomeno di breve durata. È questo, non la guerra dei dazi, il problema principale con cui l’Europa e il mondo libero dovranno fare i conti.
(da La Repubblica)
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