ALLA GERMANIA MANCAVA SOLO LA STALINISTA PUTINIANA: SAHRA WAGENKNECHT, NOSTALGICA DELLA DDR, LASCIA DIE LINKE E FONDA IL SUO PARTITO
CONTRO GLI IMMGRATI, L’ECOLOGISMO E I VACCINI: UNA SPECIE DI SINISTRA SOVRANISTA
“Che fai mi cacci?”. A leggere la storia dei rapporti tra Sahra Wagenknecht e il suo ex partito, la Die Linke, torna un po’ in mente la lunga querelle tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini.
Per dire che in Germania il tira e molla tra lei e la sua casa politica dura da un po’. Già a giugno l’avevano avvertita. Della serie: se continui a far circolare l’idea di fondare un tuo movimento, è meglio che te ne vai. Se n’è andata.
Perfettamente sconosciuta ai più fuori dai confini della Germania, con quel cognome impronunciabile all’estero, Sahra Wagenknecht, 54 anni, nata nella Germania dell’est, quarta moglie dell’80enne storico dirigente di sinistra Oskar Lafontaine, è la politica per la quale un quinto dei tedeschi potrebbe votare, secondo un sondaggio ripreso da Bloomberg. Soprattutto, ci si chiede, starà inaugurando un nuovo trend politico, un misto di ‘sovranismo di sinistra’, che in natura non esiste ma in politica tutto è possibile, populismo e putinismo, fede novax, operaia e non-ecologista, anti-radical chic a patto di stare nei circoli che contano e soprattutto negli studi tv, un nuovo corso che può togliere voti sicuramente alla Die Linke, alla Spd ma finanche all’estrema destra dell’AfD?
È per questo che Sahra Wagenknecht è già un caso, non solo a Berlino, ma nella politica europea. Ieri l’annuncio della nuova fondazione che naturalmente porta il suo nome, “Alleanza Sahra Wagenknecht’, in perfetto stile di partito personale che non tramonta mai, nella sua amata ex Unione sovietica e nelle società capitalistiche.
A gennaio dovrebbe nascere il partito vero e proprio, che vuole correre per le europee di giugno e anche per le varie competizioni statali nei Lander, in Turingia e Sassonia, dove si vota dopo l’estate 2024 e dove l’estrema destra di Alternative fur Deutschland è oltre il 30 per cento. Wagenknecht è convinta che queste percentuali da capogiro, per un partito erede del passato nazista che fino a ieri soffriva la conventio ad excludendum osservata da tutta la società tedesca dalla Seconda guerra mondiale in poi, sia dovuto ai vizi sviluppati dalla sinistra tradizionale, dei socialisti ma anche della stessa Linke.
Sotto accusa, quella evoluzione che ha allontanato la sinistra dalle periferie e dalle zone extra-urbane, radicandola tra gli apericena del centro, a fare battaglie per i totem del liberalismo, dai diritti civili, ai temi della transizione ecologica, al perbenismo della vaccinazione anti-covid fino a tutte le lotte che non sono sentite da chi si sente escluso e guarda all’AfD.
Per Wagenknecht, Putin è una specie di “giocatore del potere” che cerca di tenere l’occidente sotto scacco contro l’espansionismo della Nato. Sul Medio Oriente “un’offensiva di terra a Gaza causerebbe morti tra i civili e trasformerebbe l’intera regione in una polveriera”, dice. Da sempre, anche nella stessa Die Linke, lei è il bastian contrario.
In fondo, sulla geopolitica Wagenknecht non fa che riflettere le posizioni di una larga fetta della sinistra mondiale. Ma, su altri argomenti, lei rompe i tabù della sinistra dalla caduta del muro in poi. Ed è qui che tenta quella via sovranista di sinistra che si rivolge a quei ceti che si sentono esclusi, ma soprattutto quelli che sono partiti male, arrivati meglio nella società e terrorizzati dal rischio di perdere posizione per via dell’immigrazione oppure del Green deal.
Sì, ma perché una che frequenta i circoli della ‘Berlino bene’, una che è sempre in tv, una che usava chiedere un gettone di presenza quando partecipava alle riunioni del suo vecchio partito, il Partito socialdemocratico di Germania (Pds), dovrebbe risultare credibile tra coloro che si sentono ai margini?
A guardare il dibattito tedesco, si capisce che c’entrano le sue origini: nata nella Germania dell’est, figlia di un operaio, la prima nella sua famiglia a studiare all’università. Poi c’entra il fatto che “nessuno più di lei sa mettere in parole l’alternativa”, notano gli osservatori tedeschi, “anche se l’alternativa non è realizzabile o non è ben definita: quando lei è in tv, tutti ascoltano”.
E poi c’è il fatto che Wagenknecht gioca a demolire i dogmi della sinistra da tempo: era anti-immigrati già nella crisi del 2015, quando l’allora cancelliera Angela Merkel aprì le frontiere a un milione di siriani, diventando l’eroina della sinistra europea. Già allora Wagenknecht intercettava i mal di pancia delle classi meno agiate e ci si tuffò. Il ragionamento era: se dopo il collasso di Lehman Brothers nel 2008 è stato possibile salvare le banche, se nel 2015 è possibile dare un tetto ai rifugiati, perché non ci sono mai soldi per il welfare?
Negli ultimi otto anni, la domanda ha scavato nella società tedesca, ingrossandosi con i sacrifici richiesti per la transizione energetica quando Putin ha invaso l’Ucraina. Materiale prezioso per la crescita esponenziale dell’AfD, che Wagenknecht vorrebbe riportare a sinistra per ricongiungerla al suo elettorato storico, anche a costo di amputarle la parte più internazionalista (immigrazione), progressista (Green deal), liberale (stato di diritto). Lei su questo taglia. “L’immigrazione incontrollata deve essere definitivamente fermata perché travolge il nostro Paese”, dice.
Studi marxisti, passato decisamente stalinista, Wagenknecht usava parlare della Germania dell’est come del “più umano tra i Commonwealth”. Quando nel 2002, la sua casa politica di allora, il Pds, approvò una risoluzione per condannare l’uccisione dei tedeschi dell’est che avevano cercato di saltare il Muro per andare a ovest, Wagenknecht fu l’unica a votare contro, fedele alla linea come Kleo, l’ex spia sovietica di una fortunata serie televisiva.
Salvo che, dopo la caduta del muro, Kleo fu costretta ad aprire gli occhi sui soprusi del regime. L’eroina della nuova sinistra tedesca invece rischia di chiuderli a tutti i suoi seguaci, all’inseguimento di una chimera che, se va bene, promette un posto al sole solo a lei e pochi altri, tra cui forse i nove parlamentari che hanno deciso di seguirla nella scissione pur continuando a stare nello stesso gruppo della Die Linke, controsensi da comodi populisti.
Dal partito, alla fine si è ‘cacciata’ da sola, abbandonando la nave fondata nel 2007 da suo marito Lafontaine e Lothar Bisky, ex dirigente comunista della Germania est.
La Die Linke era riuscita a mettere insieme la sinistra urbana con quella operaia, per qualche anno con percentuali a due cifre, perla della ‘Sinistra europea’, l’esperimento internazionalista voluto dall’allora segretario di Rifondazione comunista Fausto Bertinotti. Da qualche tempo, anche la Die Linke sembra avviata ad una parabola discendente, nei sondaggi non va oltre il 5 per cento, come tante sinistre del continente. Il ritorno all’antico di Wagenknecht non promette di essere una nuova ‘sinistra’ tedesca, al massimo di cancellarla.
(da Huffingtonpost)
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