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ANALISI FLUSSI EUROPEE SWG: LA LEGA PROSCIUGA DI MAIO

IL 38% HA CONFERMATO IL VOTO DI UN ANNO FA, IL 38% SI E’ ASTENUTO, IL 14% SCEGLIE LA LEGA, IL 4% IL PD…   HA PERSO IL 15-25% DEL VOTO DEI GIOVANI E   IL 20% DI QUELLO OPERAIO

Che cosa è successo nelle viscere della società  italiana che, a poco più di un anno dall’ultima competizione elettorale, ha generato un nuovo terremoto politico?
I dati di analisi dei flusso di voto, dei mutamenti nei blocchi sociali e delle motivazioni di scelta elettorale, aiutano a tratteggiare il quadro.
M5s perde complessivamente 6 milioni e 180mila voti (1 milione e 700mila al Sud, più di 1 milione a Nordovest, Nordest e Centro Italia e 944mila nelle Isole).
Rispetto al 2018 il partito di Di Maio ha una conferma di voto risicata, pari al 38% dei votanti.
Un altro 38% opta per l’astensione, il 14% trasloca sulla Lega e il 4% sceglie il Pd (il restante 6% si sparpaglia nei vari partitini). Lo smottamento elettorale è complessivo.
M5s perde al Sud e lungo tutto lo stivale, ma, soprattutto, perde per strada pezzi importanti del suo blocco sociale.
Lascia sul campo, per esempio, i giovani: lo abbandonano il 15% dei Millennials (in parte conquistati da Lega e Pd) e il 25% dei ragazzi della Generazione Z.
Perde parte degli operai (con un meno 20%) e vede assottigliare i consensi nei ceti sociali medio-bassi e poveri.
Tra i primi perde il 12%, mentre tra i secondi lascia sul campo il 17%. In uscita anche una parte di quella middle class urbana e professionale che aveva scelto M5s per la sua spinta anti-sistema (-14%).
Il complessivo processo di sfarinamento del peso elettorale che ha coinvolto il partito uscito vincitore dalle urne lo scorso anno, ha determinato una variazione nella composizione del suo blocco politico, sempre più dominato dall’identità  apolitica (35%) e di centrosinistra (31%), mentre appaiono residuali le auto-collocazioni a centrodestra (17%) e centriste (17%).
Per completare il quadro analitico delle cause dello smottamento elettorale di M5s è utile soffermarsi sulle motivazioni che hanno spinto il 62% degli elettori del 2018 a non votare il partito di Di Maio.
In primo luogo c’è un giudizio non lusinghiero sull’esperienza di governo: il 36% afferma che si è dimostrato incompetente o non ha fatto molto al governo.
Segue la valutazione negativa del rapporto con la Lega: per il 16% è stato troppo subalterno e per un altro 13% è stato sbagliato dar vita all’attuale esecutivo.
Un ulteriore 10% punta il dito sulle posizioni contro la Tav e sulla freddezza rispetto alle grandi opere.
Altri elementi che hanno infastidito l’elettorato pentastellato sono stati gli scontri dell’ultimo periodo e la sensazione che M5s non sia in grado di garantire stabilità  e serenità  al nostro Paese.
Per comprendere il quadro che emerge dalle elezioni europee è necessario zumare sulle dinamiche che hanno determinato il successo della Lega.
In primo luogo si deve evidenziare il ruolo di indubbio traino del suo leader: il 76% di quanti hanno votato per la Lega sottolinea l’importanza e il ruolo di Salvini (il ruolo di Di Maio sul voto a M5s è del 46%).
La Lega conquista il 17% dei nuovi voti da M5s, mentre sottrae a Forza Italia il 10% dei consensi.
Il partito di Salvini, rispetto al 2018, conquista tre milioni di voti (7,4 milioni di votanti in più rispetto al 2014), aumentando i consensi in tutte le aree del Paese: + 897mila a Nordovest, + 686mila a Nordest, + 810mila al Centro, + 828mila a Sud e + 236mila nelle Isole.
La Lega, con questa tornata elettorale, diviene un partito nazionale, con il suo centro propulsore al Nord (40% dei consensi in media), un peso importante al Centro (33,5%), al Sud (23,5) e nelle Isole (22,4%).
Il partito guidato da Salvini ha conquistato voti tra i baby boomers (+19%), i Millennials (+11%), i giovanissimi della Generazione Z (+21%), gli operai (+29%), i professionisti (+12%), i ceti poveri (+18%), i ceti medio-bassi (+18%) e le donne (+17%).
A sospingere il voto per la Lega sono stati diversi fattori: il no all’immigrazione (45%); il bisogno di mettere al primo posto gli italiani (26%); la convinzione che solo la Lega sia in grado di rilanciare l’economia e il lavoro (21%); la volontà , di una quota non minoritaria di elettori, di sostenere e dare forza a Matteo Salvini (27%).
Per quanto attiene il Pd, il quadro è quello di una sostanziale tenuta rispetto al 2018 (è il partito con il maggior tasso di riconferme di voto: 68%).
In termini di flussi di voti, il partito guidato da Zingaretti, ha recuperato il 7% dei consensi da M5s, il 10% dall’astensione, il 6% dai partiti di sinistra e il 4% da quanti avevano votato per +Europa.
Il Pd ha riconquistato un po’ di Millennials (+6%) e di giovanissimi della Generazione Z (+9%).
Continua a non parlare con il mondo operaio (solo il 13% vota per il Pd), mentre ha ricominciato a ritessere il dialogo con i ceti poveri (+6%) e medio-bassi (+3%).
Se osserviamo le appartenenze politiche che compongono la base elettorale del Pd e le confrontiamo con quelle del 2014, scopriamo che si è prosciugata la vena centrista (-8%), mentre si è rafforzata l’anima di sinistra (+16%).
A sospingere il voto per il partito di Zingaretti è stata, soprattutto, la polarizzazione dello scontro con Salvini: il 40% ha votato il Pd per contrastare l’avanzata del populismo, il 29% per fermare il leader della Lega, il 34% per costruire un nuovo centrosinistra.
Il quadro delle dinamiche emerse dal voto di domenica 26 maggio, ci mostra un Paese nel pieno di una fase di transizione politica, in un interregno gramsciano tra non più e non ancora.
Un processo evolutivo che ha dapprima corroso e deperito gli assetti e i protagonisti che hanno caratterizzato il campo politico della Seconda Repubblica, per iniziare a edificare, mattone su mattone, i contorni di un nuovo quadro politico-identitario.
Si tratta di una metamorfosi che supera i riferimenti storici del confronto destra-sinistra, riposizionando il campo politico lungo l’asse comunità  chiusa e comunità  aperta. Un ridisegno che, pur contenendo la distinzione storica destra-sinistra, si caratterizza per il confronto tra i propugnatori del “prima gli italiani” e i sostenitori di società  marcata da forme di “comunanza umanistica”.
Con le elezioni europee, la Lega di Matteo Salvini ha portato a compimento uno dei processi di ridisegno del quadro politico nazionale, riconfigurando l’identità  maggioritaria del centrodestra: da neo-liberista a protezionistico-primatista.
Il fronte contrapposto all’offerta Salviniana, invece, è in via di ricomposizione. Si è aperta, tra M5s e Pd, la lotta per l’egemonia politica di questa parte del campo politico nazionale, che propende per una visione di comunità  aperta, europeista e ambientalista.
I pentastellati, in questi mesi di doppia identità  (partito arginatore di Salvini e al governo con Salvini) hanno subito un appannamento della sua dimensione identitaria trasversale (nè di sinistra nè di destra) e del suo posizionamento antisistema.
M5s non solo ha deluso parte del suo elettorato, ma ha anche infragilito il proprio profilo identitario originario.
Il gruppo, nato sotto la spinta di Beppe Grillo, ha edificato il proprio consenso intorno alla dimensione dello scontro popolo-èlite (il cuore dell’offerta politica M5s è sempre stato l’essere anti-casta e anti-corruzione).
Nel corso dell’ultimo anno il movimento guidato da Di Maio ha evidenziato, agli occhi dei suoi elettori, elementi di dubbia tenuta sui fattori fondanti e non è riuscito a sostituire l’inevitabile appannamento del profilo anti-sistema, con determinanti dosi di cambiamento nel modo di governare le città  e il Paese.
Il M5s si è ritrovato così all’interno di una doppia morsa. Da un lato, sul fronte di centrodestra, ha sbattuto contro il muro leghista e si è visto soffiare quote consistenti di elettori che hanno trovato in “prima gli italiani” un approdo credibile, con un leader confacente alle loro esigenze.
Dall’altro lato, sul fronte di centrosinistra, il M5s si è trovato a fare i conti con la resilienza e il mutamento d’indirizzo assunto dal Pd.
Il gruppo guidato da Zingaretti, spostandosi dall’asse puramente modernista-centrista ha marcato maggiormente il territorio, iniziando a ridisegnare la propria mission al centro delle pulsioni per una comunità  aperta e marcata da una maggiore equità  sociale.
Lo scontro tra M5s e Pd per l’egemonia in questo campo è solo agli inizi. I prossimi atti e le scelte dei diversi attori ci diranno quale direzione e quali contorni prenderà  questa vasta parte del campo politico nazionale (stiamo Parlando comunque di oltre il 40% dell’elettorato) e ci permetteranno di comprendere come procederà  il ridisegno degli assetti politici nel nostro Paese.

(da “Huffingtonpost”)

This entry was posted on lunedì, Maggio 27th, 2019 at 21:09 and is filed under elezioni. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can leave a response, or trackback from your own site.

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AMMINISTRATIVE, IL PD VA ANCORA MEGLIO DELLE EUROPEE »

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