ANDREA, STUDENTE E RIDER: “MILLE EURO AL MESE PER 12 ORE DI LAVORO AL GIORNO, 7 GIORNI SU 7, CHI PUO’ FARE ALTRO?”
“ORA CHE STO STUDIANDO PER LA MAGISTRALE, PREFERISCO FARE ALTRI LAVORETTI DOVE TI TRATTANO DA ESSERE UMANO. A RISCHIARE LA VITA’ PER 3 EURO L’ORA SONO RIMASTI SOLO GLI IMMIGRATI”
“Adesso che ho iniziato la Magistrale lavoro raramente come rider. Preferisco concentrarmi sull’Università e semmai fare altri lavoretti: anche se mi pagano come collaboratore, però mi fanno contratti con tutti i crismi, e mi trattano come una persona”. Andrea Pratovecchi ha 23 anni, studia Economia e Sviluppo e vive a Firenze con altri studenti, in una camera in affitto.
Per quanto tempo ha lavorato come rider?§
“Per almeno due anni, con diverse piattaforme”.
Che dice della direttiva su cui Consiglio e Parlamento hanno appena raggiunto l’accordo?
“MI sembra un passo fondamentale: il tema è che il lavoro su piattaforma si sta espandendo e si espanderà sempre di più. I riders sono solo i lavoratori più visibili, ma ce ne sono molti altri, persino psicologi, avvocati, insegnanti che danno ripetizioni online…Non sono un esperto, ma da quando ho cominciato ho visto questo fenomeno esplodere sotto i miei occhi, e quindi la legge è fondamentale perché se il mercato del lavoro sta andando in quella direzione, va regolato. Il lavoro a cottimo non è ammesso dalla legge in Italia, ma di fatto i riders sono pagati a cottimo, non hanno nessuno tipo di tutela e le aziende sfuggono a ogni tipo di controllo perché hanno le sedi legali da qualche altra parte in Europa. Una buona scusa per non applicare la legge, e spesso neanche la decenza, nei rapporti di lavoro. Il sindacato a livello territoriale fa molto, ma siccome le piattaforme agiscono e si organizzano a livello europeo e mondiale, è fondamentale che a regolarne il funzionamento sia una legge perlomeno di rilevanza europea».
FIn Italia però c’è anche chi contesta l’obbligo delle piattaforme di assumere i lavoratori. E c’è anche un sindacato, l’Ugl, che ha stipulato un contratto collettivo di lavoro in cui i riders sono considerati autonomi.
“All’inizio, quando le piattaforme sono arrivate, si guadagnava bene: anche se non avevi diritti, in molti, tra cui anche tanti miei amici e colleghi, lo vedevano come un lavoretto sano. Anch’io mi dicevo ‘in fondo il sabato non ho niente da fare, mi faccio 20, 30 euro in un pomeriggio”. E anche chi lavorava full time metteva insieme una bella cifra, e quindi lo considerava un rapporto di lavoro onesto. Ci dicevamo che andava bene così, che non valeva la pena di cambiare niente. Io adesso anche se lavoro poco come rider, continuo a frequentare il sindacato, il Nidil Cgil, sento racconti di persone che lavorano 12 ore al giorno per 7 giorni la settimana e che a fine mese arrivano al massimo a 1.000, 1.200 euro lordi. Le piattaforme fanno il loro gioco: all’inizio ti pagano un sacco per invogliarti, poi siccome i lavoratori non sono assunti, e quindi per loro non c’è nessun costo, averne 5 o 1.000 è la stessa cosa, ne mettono tanti in concorrenza e abbassano le tariffe. Nella mia città sono arrivati a pagare 2,50 euro per consegne a sei chilometri, che significa che devi pedalare 45 minuti tra ristorante, casa del cliente e ritorno al ristorante”.
E quindi lei adesso ha deciso di lasciar perdere?
“Sì. Tutti quelli che conosco ci hanno ripensato e sono andati a fare altro. Dopotutto gli studenti non sono così ricattabili, non sono in condizioni così cattive da essere costretti a rischiare di farsi ammazzare per 3 euro l’ora. Solo i migranti per il momento lo sono, ma quanto tempo ci vorrà perché, con il continuo deterioramento delle condizioni dell’economia, sempre più persone non siano in grado di dire di no anche alle peggiori condizioni di lavoro?”.
(da agenzie)
Leave a Reply