BARCA A VELA DI “MEDITERRANEA” SALVA 54 PROFUGHI SUL GOMMONE E PUNTA CORRETTAMENTE SU LAMPEDUSA
GOVERNO IN CONFUSIONE: IL CENTRO DI COORDINAMENTO DI ROMA ORA RISCHIA LA DENUNCIA, E’ GRAVE AVER INDICATO LA LIBIA COME PORTO SICURO… SALVINI INVECE DICE DI SBARCARLI IN TUNISIA, ALTRO REATO, LA TUNISIA NON E’ PORTO SICURO IN QUANTO NON ESISTE LEGGE SUL DIRITTO DI ASILO
Cinquantaquattro naufraghi, stretti su un gommone in pessime condizioni nel mare della Sar libica, sono stati salvati e caricati a bordo della barca a vela Alex della ong italiana Mediterranea.
Tra loro 11 donne di cui tre incinte e una in gravi condizioni, bambini in fasce, uomini e ragazzi che ora vengono medicati, reidratati mentre la barca si dirige verso l’Italia. Tallonata. inseguita da una motovedetta libica a lungo prima di abbandonare la caccia.
I maschi stanno a prua, i bambini e le donne a poppa dell’imbarcazione lunga 18 metri. Hanno i volti stanchi, dove si affaccia un sorriso quando dicono: “Non è scomodo, meglio dieci anni qui sopra che un secondo in Libia”
“Siamo enormemente felici di aver strappato 54 vite umane all’inferno della Libia. Adesso serve subito un porto sicuro” scrive sui social Mediterranea Saving Humans. La risposta del ministro dell’Interno Salvini è illegale: “Se la ong Mediterranea “ha davvero a cuore la salvezza degli immigrati allora ora nave Alex faccia rotta nel porto sicuro più vicino”, che è in Tunisia rispetto a Lampedusa.
Impossibile considerare un porto sicuro la Tunisia, dove non esiste una legge sul diritto di asilo. Il Paese nordafricano ha sempre detto no alla creazione di centri per l’accoglienza sul proprio territorio come avevano chiesto sia l’Unione europea sia l’Unhcr e il rischio, per chi dovesse riuscire ad entrare, è di rimanere senza uno status e senza alcun diritto.
Tutto comincia nel primo pomeriggio. La barca a vela Alex di Mediterranea, in missione di osservazione nella zona Sar libica, prima individua i resti di un gommone, di un ennesimo silenzioso naufragio di cui non sapremo mai i morti. Poco dopo, all’altezza delle piattaforme petrolifiche, c’è un’altra imbarcazione con 54 persone a bordo, tra cui 11 donne e 4 bambini.
Non c’è tempo da perdere. La ong chiama la sala operativa della guardia costiera di Roma chiedendo di indicazioni. La risposta è gravissima: lasciate l’intervento alle motovedette libiche, che però riporterebbero i naufraghi in Libia, paese in guerra, dove i centri di detenzione vengono bombardati
A questo punto la sala operativa rischia la denuncia penale: tutti gli organismi internazionali preposti hanno sancito che è vietato fare respingimenti in Libia in quanto porto non sicuro.
La Alex, 18 metri a vela, in teoria non è in grado e soprattutto non è strutturata per prendere a bordo decine di migranti.
Ma vista la situazione pessima del gommone, di una donna incinta in gravi condizioni, dei bambini alcune dei quali in fasce, i volontari decidono di caricare a bordo i naufraghi. Uno a uno, con i loro giubbotti salvagente, aiutati dagli 11 membri dell’equipaggio, vengono fatti salire sulla barca dove un sanitario li sta visitando e reidratando.
Li aspettano altre 180 miglia di mare prima di arrivare nei pressi di un porto, tallonati da una motovedetta libica che li insegue, li tallona. Prima di lasciare la preda
Poco prima del soccorso in mare dei naufraghi, la nave di Mediterranea aveva segnalato il relitto, sulla pagina Facebook: “Siamo in pattugliamento insieme ad Open Arms in sar libica, cioè la zona in cui la responsabilità di intervento in caso di naufragio sarebbe della cosiddetta “guardia costiera libica”. Il nostro faro è come sempre il rispetto dei diritti umani. Nel corso del nostro pattugliamento abbiamo incontrato il relitto di un gommone. Quasi sicuramente un naufragio. Quanti morti non lo sapremo mai. Un relitto di un “rubber boat” semiaffondato con tanto di motore. Nessuna indicazione di rescue completato. C’è la seria possibilità che si tratti dei resti di un naufragio “fantasma. Nel silenzio l’umanità muore. Senza testimoni”, scrive l’Ong.
Poco dopo il soccorso ai 54 naufraghi che, senza di loro, nella migliore delle ipotesi sarebbero finiti nei centri di detezione libici ora bombardati, se non annegati in mare. Nel silenzio generale.
E Filippo Miraglia, tra i fondatori di Mediterranea, alle parole di Salvini che invita a portare i naufraghi in Tunisia ribatte: “E’ già dichiarata impraticabile dal tribunale di Agrigento, con l’ordinanza su Carola Rackete, e dalle istituzioni internazionali. La Tunisia non è un porto sicuro, il Ministro se ne faccia una ragione: per settimane ha tenuto in attesa una nave con 75 naufraghi a bordo e, dopo averli fatti scendere, ha impedito loro di fare domanda d’asilo rimandandoli nei Paesi d’origine e contravvenendo al “principio di non refoulement”, garantito dalla Convenzione di Ginevra. Adesso la Alex deve portare i naufraghi in Italia, non c’è altra strada. Se si vuole combattere il traffico di esseri umani si attivi subito un ponte aereo e un programma di evacuazione per le 6 mila persone prigioniere dei lager libici sottraendole alle milizie rivali che si contendono il controllo del territorio e che le usano come arma di ricatto per i loro interessi.”.
(da agenzie)
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