CENTRODESTRA CHE VINCE MA GIA MORENTE, NON HA UNA CLASSE DIRIGENTE (COME AVEVANO LA LEGA DI BOSSI E IL MSI BEN PIU’ COLTO DI FDI)
SALVINI E MELONI VIVONO SOLAMENTE DI SE STESSI E PER SE STESSI… ALLE AMMINISTRATIVE RISPOLVERANO DINOSAURI DELLA POLITICA
Fra le geometriche stravaganze dei nostri tempi, c’è che la sinistra unita al governo va divisa alla conquista delle città, e la destra divisa dal governo nella città ci va unita.
O meglio, ci andrebbe, se trovasse i candidati: questione abbondantemente raccontata. Dicono di no Gabriele Albertini per Milano e Guido Bertolaso per Roma, due vecchie glorie di quell’altro centrodestra che si chiamava così perché il Sole della coalizione era Silvio Berlusconi e i partiti di trincea, Lega e Msi (poi An), erano i satelliti.
Adesso i satelliti si disputano la nuova leadership, sempre di trincea in trincea, e Berlusconi ha energie residue per affrontare gli acciacchi, e il suo partito, cui non ha lasciato alcuna eredità oltre sé stesso – niente struttura, niente classe dirigente, al di là di qualche lupo solitario alla Renato Brunetta – non gode di salute migliore: che Forza Italia non avrebbe avuto futuro oltre il fondatore è uno dei pronostici più antichi e più scontati.
Stravaganza tira stravaganza: la Lega e F.lli d’Italia, coi loro leader giovani e interconnessi, così immersi nell’abbrivio svalvolato del terzo millennio, non hanno idee ulteriori che di ricorrere alle suddette vecchie glorie berlusconiane, e si potrebbe aggiungere Letizia Moratti, tutti i rappresentanti della mitologica società civile a cui l’Italia degli anni Novanta si aggrappò con la medesima solidità di speranza del giocatore di poker che cambia sedia perché sta perdendo.
Insomma, da trent’anni i partiti hanno rinunciato ad allevare classe dirigente.
Per dire, Umberto Bossi – lo si ricorda di rado – era venuto su nelle sezioni del Pci. Un po’ alla sua maniera balzana, intendiamoci. Ma aveva imparato come si costruisce un partito. Lì dentro si cresceva poco a poco, si faceva il consigliere comunale, poi l’assessore, magari un passaggio in una municipalizzata, un giro in Provincia o in Regione, e se si imparava a fare due più due si partiva per il Parlamento.
Chi ancora oggi tiene in piedi la Lega, in parte lo stesso Matteo Salvini, ma soprattutto Luca Zaia, Giancarlo Giorgetti, Roberto Calderoli (da lustri il più autorevole esperto italiano di ingranaggi parlamentari) viene da quella scuola.
Sotto c’è giusto il presidente del Friuli, il quarantenne Massimiliano Fedriga, e quasi più niente. La vita di partito è stata trasferita sui profili social del leader.
Quando il Msi si trasformò in Alleanza nazionale, nel 1995, Giorgia Meloni aveva diciotto anni. La falange del Msi, il partito che, escluso per quarant’anni da speranze di governo esauriva la sua esistenza nelle sezioni, si liberò nel mondo.
Ce lo ricordiamo bene come quei leader fin lì relegati nell’impresentabilità, da Gianfranco Fini in giù, scoprirono la Luna come Ciaula. Si annodarono cravatte di seta e impararono a stare a tavola, almeno le basi. Ognuno per sé e per un altro cin cin. Insomma, guardatelo questo nuovo partito della destra, non più liberale del Msi, parecchio più incolto, che si nutre del vigore di Meloni e basta.
Quel simpatico residuato di Ignazio La Russa, il sessantenne Fabio Rampelli, Lollobrigida (che si chiama Francesco, ma stavo scrivendo Gino, per dire dell’impatto nel mio immaginario), e poi?
E poi Albertini e Bertolaso, le vecchie glorie berlusconiane, e che cosa è più comprensibile del loro no?
Salvini e Meloni vivono solamente di sé stessi e per sé stessi. Non so come si potrà evitare la loro vittoria alle prossime politiche, e non so come potranno loro salvarsi dalla successiva estinzione.
(da Huffingtonpost)
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