CROLLO BORSA CINESE, INTERVISTA AL PROF, MESSORI: “IN EUROPA NE SOFFRIREMO TUTTI, MA LA GERMANIA DI PIÙ”
IL DOCENTE DELLA LUISS: “AVRA’ UN IMPATTO SULLE ESPORTAZIONI, NE RISENTIREMO”
Dalla Germania all’Italia, tutti i Paesi europei dovranno fare i conti con le ripercussioni della bolla finanziaria cinese. La Germania certamente di più, vista la sua esposizione sul fronte delle esportazioni verso i paesi dell’area extra-euro, ma anche l’Italia.
La pensa così Marcello Messori, economista, direttore della Luiss School of European Political Economy e presidente delle Ferrovie di Stato Italiane.
In un’intervista all’Huffington Post, Messori spiega quali sono le ragioni del Black Monday iniziato a Shanghai e Shenzhen, dove i due principali mercati cinesi hanno trascinato giù gli indici borsistici europei e americani.
Nel Vecchio Continente sono stati bruciati 411 miliardi di euro, Milano da sola ne ha persi 38.
“Il tasso di crescita europeo è stato trainato più dalle esportazioni che non dai consumi interni. Non è un caso che uno dei Paesi più colpiti dal punto di vista borsistico sia stata proprio la Germania, che ha un avanzo di partite correnti estremamente forte rispetto alle aree esterne all’area euro – dice Messori – E questo vale in parte anche per l’Italia. Non saremo lo Stato più colpito, però certamente quel poco di crescita che abbiamo conosciuto e la riduzione della recessione registrata sono entrambe dovute alle esportazioni”.
La crisi finanziaria cinese è la prova definitiva che la locomotiva si è rotta. Perchè?
La locomotiva cinese si è inceppata perchè ha cercato, prima tra le grandi aree economiche mondiali, di passare da una situazione di forte sostegno alla crescita da parte del pubblico – che in questo caso si configurava come un intervento molto accentrato da parte della Banca Centrale cinese controllata dallo Stato – a un rilancio dei consumi interni. Si è fatto, in sintesi, un tentativo di decentramento economico.
Questo passaggio era molto difficile.
Premessa: la caratteristica di essere una economia con forti elementi di dirigismo era un tratto tipico dell’economia cinese che si è accentuato come risposta alla crisi internazionale del 2007-2009. Quelle che erano caratteristiche proprie dell’economia cinese, e quindi una preponderanza degli investimenti con generosi finanziamenti da parte di un settore bancario controllato dallo Stato, si sono ulteriormente accentuate. Gli investimenti sono stati dirottati nel settore delle infrastrutture. L’economia cinese da qualche trimestre ha cercato di porre fine a questo modello molto squilibrato, perchè ci si è resi conto che l’ulteriore accelerazione negli investimenti in infrastrutture stava creando una bolla finanziaria. A questa situazione si è andato ad aggiungere l’allocazione dell’eccesso di risparmio su investimenti finanziari anche azionari.
Quindi la Cina ha provato a rimediare a una situazione di forte squilibrio.
Visto che un processo di crescita dove si producono investimenti per produrre altri investimenti non può durare all’infinito, l’ovvio passaggio era quello di utilizzare la bolla finanziaria per accelerare una forte crescita dei consumi interni. Però, come è abbastanza evidente, questo comportava un difficilissimo passaggio sociale dato che implica un allargamento drastico del ceto medio. Alcuni economisti si sono illusi che questo passaggio, problematico, di specializzazione strutturale fosse molto più agevole da fare. Se ci deve essere un rilancio dei consumi ci deve essere anche una riallocazione delle risorse produttive. Cambia quindi il ruolo della Cina rispetto ai mercati internazionali. E in effetti abbiamo visto un forte riequilibrio nelle partite correnti nella bilancia commerciale cinese.
La mossa Banca Centrale cinese è stata quella di svalutare lo yuan, ma le contromisure non sembrano funzionare. Perchè?
La svalutazione va letta come una presa d’atto che questa transizione da una crescita trainata soltanto dagli investimenti a una crescita sostenuta anche dai consumi interni era molto più problematica di quanto non si pensasse. Le autorità di politica economica cinesi hanno cercato da un lato di decelerare in questo processo di transizione e dall’altro sostenerlo secondo il vecchio modello. La mia tesi è questa: ci si è resi conto di quanto fosse difficile questa transizione anche perchè la crescita Usa non era così brillante come sembrava in un primo momento; e quella europea si è rivelata più debole del previsto. In un contesto internazionale così complicato, con lo spettro di un aumento dei tassi di interesse negli Stati Uniti, le autorità cinese hanno compreso che questa transizione non è così semplice da attuare.
Quindi come va interpretata la mossa del governo cinese?
La svalutazione è un passo indietro per ridare un po’ di fiato all’economia secondo il modello internazionale per poi ripartire su questa transizione che a me appare inevitabile. Se questa transizione riuscisse, segnerebbe il passaggio della Cina da Paese emergente, seppur a tassi di crescita estremamente elevati, a un economia forte tra le aree forti. Ma questo pone degli interrogativi. Di certo dovremmo attenderci un avanti e indietro, come di certo dobbiamo dimenticarci di una Cina che cresce con tassi estremamente elevati.
Quali sono le conseguenze per i Paesi dell’Eurozona?
Certamente l’area dell’euro è colpita dal rallentamento cinese e di quello dei paesi emergenti. Anche se può sembrare strano, il tasso di crescita europeo è stato trainato più dalle esportazioni che non dai consumi interni. E quindi non è un caso che uno dei Paesi più colpiti dal punto di vista borsistico sia stata proprio la Germania, che ha un avanzo di partite correnti estremamente forte nei confronti alle aree esterne all’eurozona. E questo vale in parte anche per l’Italia. Tutti i sistemi economici con una crescita modesta trainata dalle esportazioni rischiano di risentire di questa crisi. Di certo un rilancio dei consumi interni cinesi avrebbe giovato molto a Paesi come la Germania in primis e l’Italia subito dopo. Viceversa, una difficoltà di passare a questo “nuovo” modello è uno schema più problematico. Le do un dato per comprendere: il surplus delle partite correnti dell’area euro nel suo complesso ormai supera il 3 per cento.
In particolare, quindi, per l’Italia quale sarà il contraccolpo?
L’Italia non sarà lo stato membro più colpito perchè, checchè se ne dica, il peso delle esportazioni sull’economia italiana non è così rilevante. Abbiamo un sottoinsieme di imprese molto competitivo sui mercati internazionali ma è molto limitato. Però certamente quel poco di crescita che abbiamo conosciuto e la riduzione della recessione registrata sono entrambe dovute alle esportazioni. E quindi c’è un rischio di un impatto negativo. Ma questo dipenderà molto dalle reazioni di politica economica. Qui la grande incognita è rappresentata dalla Federal Reserve. Se la Fed riterrà che l’impatto di questa possibile decelarazione cinese sia rilevante per il tasso di crescita statunitense, forse potrà posporre ulteriormente l’aumento dei tassi di interesse.
Cosa si aspetta che faccia ora la Fed? Forse non è ancora il momento propizio per rialzare i tassi di interesse…
È molto difficile da valutare. Nel breve termine sarebbe positivo che non rialzi i tassi, sarebbe una spinta alla crescita internazionale e un argine a una possibile recessione. Sul medio e lungo periodo ci sarebbe il rischio di ricreare bolle finanziarie. Questo è il passaggio stretto in cui si trova la Fed: non rialzare troppo presto i tassi rispetto a una congiuntura che all’inizio del 2015 forse era inattesa, ma non ritardarli così tanto da creare una bolla irreversibile.
Invece, per quanto compete alla Banca Centrale Europea?
La Bce sta attuando il QE con molta determinazione. Gli effetti sul piano reale sono meno rilevanti di quanto ci si sarebbe potuto aspettare. Non sottovalutiamo il fatto che le svalutazioni cinesi e gli effetti che hanno avuto sulle prospettive economiche mondiali hanno avuto come conseguenza quello di arrestare il deprezzamento dell’euro rispetto al dollaro. Per i paesi periferici, un euro che si rafforza non è una buona notizia per le esportazioni.
Quali sono le ripercussioni della crisi cinese sul prezzo del petrolio?
In questo momento è difficile stabilire causa ed effetto. In questo contesto internazionale, il prezzo delle materie prime rischiano di subire ulteriori cadute. Anche qui molto dipenderà dall’impatto di medio periodo sull’economia reale. Tra la fine del 2014 e l’inizio del 2015 si era capito che il calo dei prezzi delle materie prime, i tassi di interesse bassi e un euro che si indeboliva fossero elementi che non avrebbero potuto durare per sempre. E all’inizio del 2015 la previsione era di un rafforzamento della crescita a livello internazionale. Adesso invece le aspettative stanno cambiando, e quindi resta la possibilità che si continui a vivere in un mondo con tassi di interesse bassi, con politiche monetarie fortemente espansive, con però difficoltà di crescita reali e quindi con un andamento dei prezzi delle materie prime molto negativo.
Un’ ultima domanda, tornando alla borsa cinese: dobbiamo abituarci a crolli periodici di Shanghai?
La volatilità di mercati come la Cina è abbastanza scontata, e in questo caso è aggravati, se ho ragione nella mia analisi, da questa difficoltà di transizione da un modello a un altro. Gli indizi che si stesse andando verso una bolla finanziaria c’erano ed erano molto forti: dall’ingresso massiccio di piccoli risparmiatori ai molti investimenti a basso rendimento e poco efficaci da un punto di vista economico e sociale, fatti solo per difendere il tasso di crescita dalla crisi internazionale. C’erano le premesse perchè ci fosse una bolla finanziaria che prima o poi scoppiasse. La volatilità mi sembra però un dato connaturato a una transizione così complicata.
(da “Huffingtonpost“)
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