DA UNO VALE UNO A UNO VALE QUALSIASI POLTRONA: CANCELLERI GIARRUSSO, CASTELLI, SI ALLUNGA LA LISTA DI EX GRILLINI CHE HANNO CAMBIATO CASACCA
IL RICICLAGGIO VALE ANCHE PER LA CARRIERA. NON MALE PER CHI STIGMATIZZAVA IL PROFESSIONISMO POLITICO COME LA SENTINA DI OGNI CORRUZIONE
La gratitudine, si sa, non è di questo mondo. Così, dopo avere ballato alla grande per un paio di stagioni (quelle del doppio mandato lecito e consentito), capita che qualcuno molli gli ormeggi. E, magari, pur senza sputare proprio nel piatto dove ha allegramente mangiato, si accorga che tutto quello che aveva predicato – con accenti spesso savonaroliani – in precedenza non vale più. Improvvisamente. Inopinatamente. E oplà – come prescrive il manuale della perfetta capriola – eccolo (o eccola) cambiare casacca e tuffarsi a capofitto in una nuova avventura.
Dal Movimento 5 Stelle dell’uno vale uno siamo così passati, nei casi di alcuni ex e fuoriusciti, all’uno vale tutti, o all’uno vale qualsiasi altro. Purché garantisca un posto a tavola (o una promessa di poltrona). Insomma, per chi proviene dal partito-movimento dove Beppe Grillo perorava la causa dell’economia circolare e del riciclo il riciclaggio vale anche nell’ambito della carriera.
Non male per chi stigmatizzava il professionismo politico come la sentina di ogni corruzione e, vistosi messo in panchina dal divieto di terzo mandato ha pensato bene di cambiare casacca. Quella regola che, non a caso, Giuseppe Conte ha rivendicato come scelta giusta proprio nelle scorse ore, e che – al di là di quanto se ne possa pensare nello specifico – costituisce innegabilmente una delle (non molte) manifestazioni di coerenza del M5S.
E dunque, Giancarlo Cancelleri, già frontman del Movimento in Sicilia, pochi giorni or sono ha fragorosamente sbattuto la porta di fronte alla scoperta (un po’tardiva…) che «l’esperienza e la professionalità non sono valori aggiunti», esclamando con indignazione – sempre immancabilmente presente, ma a corrente alternata – «altro che uno vale uno, qui uno vale l’altro!».
Così, adesso, lo ritroviamo alla convention berlusconiana a Palermo, mirabilmente seduto in seconda fila, salutato dagli applausi della platea e benedetto dall’apprezzamento di Schifani perché, va da sé, «Forza Italia è un partito aperto». E dire che Cancelleri, novello «smemorato di Caltanissetta», nel corso della sua militanza a 5 Stelle aveva cannoneggiato il centrodestra a ogni piè sospinto, accusandolo di incapacità, corruzione e candidature di collusi con la criminalità organizzata; e la frase più gentile che aveva rivolto a Berlusconi era quella di «inventore dello scilipotismo». E ora, come spesso avviene, siamo alla nemesi, perché chi di Scilipoti colpisce…
Il gattopardismo, visto che stiamo parlando di politici già pentastellati siciliani, è sempre in agguato. Che dire, infatti, di Dino Giarrusso, uno dei grillini “castigadem” più implacabili? Tra le sue numerose prese di posizione in materia si possono ricordare tweet e post nei quali, allo scoppio di uno scandalo nella sanità regionale, sosteneva che «in Umbria c’è un’organizzazione criminale legata al Partito democratico». E al culmine dello scontro con Conte gli aveva pure rimproverato di avere trasformato il M5S nello «zerbino del Pd».
Eppure, evidentemente, quel «partito morto» (altra garbata definizione del Pd) esercitava nei suoi confronti un fascino “necrofilo” irresistibile, al punto da avere sfacciatamente provato a entrarci, fino a che una sollevazione interna ai dem gli ha sbarrato la strada.
E non c’è due senza tre, come mostra la plurima parabola di Laura Castelli, anche lei purissima fondamentalista del grillismo e “integerrima” avversaria della partitocrazia (altrui), che salpò con la scialuppa dimaiana di Insieme per il futuro. Avventura finita ingloriosamente e, allora, ecco che la “creativa” e sabauda ex viceministra dell’Economia ha deciso di approdare al ruolo di portavoce di «Sud chiama Nord», la lista di Cateno De Luca, per la quale era brevemente transitato (con dirompente litigio finale) lo stesso Giarrusso.
Anche i protagonisti della diaspora grillina si ergevano a (incendiari) rivoluzionari, per poi finire, inevitabilmente, pompieri.
E, per riprendere il filo della comparazione storica, si sono rivelati degli aspiranti notabili postmoderni, alquanto – non ce ne voglia nessuno, si tratta semplicemente di una constatazione (e del principio di realtà) – in sedicesimo rispetto ai predecessori ottocenteschi.
(da La Stampa)
Leave a Reply