DALL’UNITA’ NAZIONALE ALL’ITALEXIT, SALVINI NELLA PANDEMIA DA’ I NUMERI
ALTERNA SOVRANISMO A FORZATO SENSO DI RESPONSABILITA’… IN CONFUSIONE POLITICA DALLA SCONFITTA IN EMILIA
Il sogno di una destra moderata, europeista, propositiva, a guida Matteo Salvini, si infrange in queste ore drammatiche.
Giusto il tempo di abbassare toni e di mostrarsi collaborativo nel grande giorno del voto parlamentare sullo scostamento bilancio. Giusto il tempo di sedersi al tavolo di Palazzo Chigi per confrontarsi con la maggioranza e per offrire una serie di misure al rivale Giuseppe Conte.
Ecco, se soltanto mercoledì era tutto un “voteremo il disavanzo”, “non faremo mancare il nostro sostegno”, già giovedì lo stesso Salvini si svegliava indossando la divisa dello sfasciatutto o come sussurra qualcuno a sinistra, sapendo di dirla grossa ma di dirla giusta, “dello sciacallo e dell’irresponsabile”.
Per non parlare della giornata odierna dove dal centro Avis di Milano si serve della scivolata di Christine Lagarde per riproporre lo spartito “Italiaexit”: “Lasciatemi esprimere il mio disgusto, orrore e vergogna per quello che accade in Europa. E’ l’ennesima dimostrazione che se e’ questa l’Europa che dobbiamo lasciare ai nostri figli, allora tanto vale fare una cosa diversa. Prima si chiude Schengen meglio è”.
E’ un film che si ripete da settimane, dall’indomani della sconfitta elettorale in Emilia Romagna, dove ha fallito l’operazione citofono, dove ha alzato il livello di scontro per mobilitare indecisi, delusi.
E proprio da quel risveglio maledetto in un albergone alla periferia di Bologna il Capitano leghista è in stato confusionale. Passando da “elezioni, elezioni” a proporre ai quattro venti un governissimo di unità nazionale ma fissando la data del ritorno alle urne. Erano i giorni delle letterine al Capo dello Stato e al presidente del Consiglio, delle interviste in cui Salvini cercava di mostrarsi moderato, di essere il leader appunto di una forza responsabile e di coalizione europeista. “Se c’è da prendere in mano il Paese, portandolo a una data certa delle elezioni noi siamo d’accordo”.
Più chiaro di così. Vergava appunto assieme ai suoi più stretti collaboratori una serie di misure che annunciava e sbandierava sui social e in conferenza stampa. E poi appunto quando saliva al Colle scolpiva questo ragionamento davanti a Sergio Mattarella: “Se c’è da prendere in mano il Paese, portandolo a una data certa delle elezioni noi siamo d’accordo”.
Era solo il 27 febbraio quando succedeva tutto questo. Ed era un tentativo quello del leader di via Bellerio di riconquistare il terreno perduto nei confronti di una Giorgia Meloni, super responsabile fin dal primo momento, e in grado di essere l’unica nel centrodestra a guadagnare punti percentuale ai tempi del Covid-19.
Era confuso l’ex ministro dell’Interno al punto che al primo caso di Codogno avrebbe voluto chiudere le frontiere italiane. “Chiudere! Blindare! Proteggere! Controllare! Bloccare!”, si sgolava sui social.
Ma quale Salvini stava parlando? Il Salvini responsabile o il Salvini spericolato, sfasciatutto? Anche perchè qualche giorno più tardi sempre lui, il numero uno del fu Carroccio, ci ripensa e si rimangia le parole scolpite. Ma quale chiudere, ma quale blindare, ma quale zona rossa: “Riaprire! Riaprire tutto quello che si può riaprire. Riaprire per rilanciare fabbriche, negozi, musei, gallerie, palestre, discoteche, bar, ristoranti, centri commerciali”.
Altro giorno, altra capriola. Il 3 marzo si materializza nella sala stampa di Montecitorio, assieme al duo dell’euroscetticismo Claudio Borghi e Alberto Bagnai, e che fa?
Attacca il Capo della Polizia, tira per la giacca Mattarella, e ritorna allo spartito di sempre nel segno dell’irresponsabilità : “O il decreto migliora e si arricchisce delle richieste dei soggetti interessati, oppure non avrà mai il voto della Lega “.
Rieccolo insomma in versione nazional-sovranista. E rieccolo ancora riprendere i vecchi vestiti della responsabilità per votare senza battere ciglio il disavanzo di bilancio. Ma è solo un’illusione.
Perchè tra un’ospitata da Paolo Del Debbio su Rete 4 e un’uscita milanese ritorna a galla il solito spartito di una destra, che avrà pur il 30 per cento, ma non riesce a uscire dal videogioco della propaganda, dell’eterna campagna.
Ma ora di comizi non se ne parla. E chissà fra quando se ne riparlerà . Ora c’è una pandemia da arginare, sconfiggere. Punto.
(da “Huffingtonpost”)
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