DECRETO SICUREZZA, LA CONSULTA BOCCIA IL POTERE SOSTITUTIVO DEI PREFETTI VOLUTO DA SALVINI
TROPPO DISCREZIONALE”… SMONTATO ANCHE IL DASPO URBANO IN CASO DI BISOGNOSI DI CURE MEDICHE
No al potere sostitutivo dei prefetti perchè troppo discrezionale, sì al Daspo urbano ma con dei paletti significativi.
Sono le motivazioni della decisione della Corte Costituzionale, che nella giornata del 24 luglio ha depositato la sentenza 195.
La Consulta ha esaminato due aspetti del cosiddetto Decreto sicurezza del 2018: il potere sostitutivo dei prefetti, previsto dall’articolo 28, primo comma (impugnato dalla Regione Umbria) e l’estensione del Daspo urbano ai presàdi sanitari prevista dal primo comma, lettera a, dell’articolo 2 (censurata dalle Regioni Emilia Romagna, Toscana e Calabria). Illegittimo il primo; legittima la seconda purchè, però, la disposizione sia interpretata in modo costituzionalmente orientato. Nella fattispecie, il potere sostitutivo del prefetto nelle attività di comuni e province è illegittimo perchè lede l’autonomia degli enti locali e contrasta con il principio di tipicità e legalità dell’azione amministrativa.
È invece legittima l’estensione ai presàdi sanitari del cosiddetto Daspo urbano (divieto di accedere a taluni luoghi per esigenze di decoro e sicurezza pubblica) a condizione, però, che il divieto non si applichi ha chi ha bisogno di cure mediche o di prestazioni terapeutiche e diagnostiche, poichè il diritto alla salute prevale sempre sulle esigenze di decoro dei luoghi e di contrasto alle condotte sanzionate in via amministrativa, quali lo stato di ubriachezza, gli atti contrari alla pubblica decenza, il commercio e il parcheggio abusivo (presupposti del Daspo urbano).
Così interpretata, la norma è legittima: il diritto alla salute di chi ha bisogno di cure o di accertamenti sanitari rimane infatti pienamente tutelato e non vi è alcuna incidenza sul l’organizzazione dei presidi sanitari, sicchè non è violata la competenza regionale concorrente in materia di tutela della salute.
La Corte ha invece cancellato l’articolo 28, primo comma del Dl 113/2018, che ha inserito nell’articolo 143 del Testo unico degli enti locali (Tuel) — sullo scioglimento dei consigli comunali e provinciali per infiltrazioni e condizionamenti mafiosi degli amministratori locali — un nuovo sub-procedimento per l’attivazione dei poteri sostitutivi del prefetto sugli atti degli enti locali. In particolare, il decreto prevede(va) che, se dalla relazione prefettizia non emergono i presupposti per l’esercizio del potere governativo di scioglimento dei consigli comunali e provinciali nè quelli per l’adozione di provvedimenti correttivi dell’azione dell’ente o sanzionatori dei dipendenti coinvolti nelle infiltrazioni mafiose ma emerge comunque una situazione di “mala gestio” dell’ente, scatta(va)no i nuovi poteri sostitutivi dei prefetti.
E secondo la norma, si ha “mala gestio” in tutte quelle situazioni sintomatiche di condotte illecite gravi e reiterate, tali da determinare un’alterazione delle procedure e da compromettere il buon andamento e l’imparzialità delle amministrazioni locali nonchè il regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati.
In queste situazioni il prefetto individua(va) i prioritari interventi di risanamento, indica(va) gli atti e assegna(va) un termine non superiore a 20 giorni per la loro adozione, scaduto il quale scatta(va) la sostituzione all’amministrazione inadempiente, mediante la nomina di un commissario ad acta.
La Corte ha osservato che la norma, oltre a violare la complessiva autonomia costituzionalmente garantita degli enti locali (riconoscimento di funzioni amministrative proprie, autonomia regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite, autonomia finanziaria), introduce un nuovo potere prefettizio fondato su presupposti generici ed eccessivamente discrezionali, violando così il principio di tipicità e legalità dell’azione amministrativa.
Infine, la sentenza mette in rilievo anche che il potere sostitutivo del prefetto, considerata la sua ampia incidenza nell’attività di comuni e province, avrebbe dovuto essere rispettoso della leale collaborazione, nel senso che la norma censurata avrebbe dovuto prevedere l’adozione della delibera del Governo o il decreto del ministro dell’Interno.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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