FASE DUE, GRILLO PROVA A RICOMPATTARE LA COMPAGNIA DI GIRO
NUOVE REGOLE, NUOVE GERARCHIE E NESSUNA RESTAURAZIONE
La notizia arriva sul palco con l’urlo di Beppe Grillo, voce roca che non intacca la potenza scenica: “Ebbene sì, sono rientrato. Avevo fatto un piccolo passo indietro, ma sì, sono rientrato”.
Finalmente, un applauso degno di questo nome sul prato meno pieno, meno entusiasta rispetto al Circo Massimo e Imola, i precedenti meet up. Alle 18, assieme al sole, di fatto, tramonta il direttorio, con le sue faide delle ultime settimane, i suoi rapporti logori e, ormai, umanamente inesistenti.
Grillo rientra, urla, parla, parla ovunque, mette sul palco e nel Movimento il suo carisma e la sua voce fino a perderla, ma non per proporre un ritorno al passato.
Rientra per lanciare la sfida di governo di qui al 2018, e per mettere ordine del Movimento. Nuove regole per andare in TV, nuove gerarchie di fatto. Eccola, quella che chiama “seconda fase”.
In tarda sera già se ne vede l’impostazione. Quando salgono sul palco, in sequenza, Alessandro Di Battista, Luigi Di Maio e Davide Casaleggio, per esporre la loro “visione del paese”.
Diversamente dagli altri, da Fico a Sibilia ad Airola, confinati in pochi minuti per parlare solo di argomenti specifici, tipo ambiente, informazione, banche ed Equitalia.
Il fondatore, evoca la memoria dell’altro fondatore, Gianroberto Casaleggio e compie col suo linguaggio, almeno ci prova, un’operazione molto classica, anzi da manuale della politica-politica. Si pone come garante dell’unità , come unico capo, ricordando a tutti le origini e i miti fondativi: “Noi – urla sempre più forte – siamo quelli che hanno sperimentato e voglio che voi pensiate a come ci sentivamo dentro! Con i primi vaffanculo, col primo entusiasmo. Era uno spirito straordinario e la seconda generazione che arriva adesso non la sa. Ebbene noi dobbiamo ripristinare quel sentimento lì in quelli che arrivano adesso”.
Difficile non leggere tra le righe gli errori delle ultime settimane (della seconda generazione) come la vicenda di Roma, la frattura profonda nel direttorio, le lotte di potere da partito tradizionale, offuscando la bandiera della “diversità “.
Lontano dal palco, Nicola Morra, esausto dopo una giornata tra i gazebo, sorseggia una birretta: “Beppe è il padre che unisce i suoi figli e ricordando a tutti che si vince come squadra”.
I figli eccoli sul palco ma dopo i Tg dove è comparso solo il fondatore come ai bei tempi. Palco già metafora della riorganizzazione in atto.
Il volto di Di Battista sulla battaglia referendaria, su cui – dopo il tour in moto – ormai ha messo a punto uno spartito collaudato.
Quello di Di Maio sul governo, per interpretare l’alternativa a Renzi. Uno è scamiciato, l’altro l’unico in giacca sul palco.
L’uno più demolitivo, l’altro più propositivo: “Non siamo quelli del no a prescindere, noi stasera iniziamo un percorso per una nuova idea di Italia”.
(da “La Repubblica”)
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