FINI PERDE I SOLDI DI AN, I COLONNELLI SI IMPOSSESSANO DELLA CASSA DI 400 MILIONI
IL CONSIGLIO DI STATO DA’ RAGIONE AGLI EX AN RIMASTI NEL PDL… PER ORA I SOLDI DEL DEFUNTO PARTITO RESTANO A LORO, FLI RIMANE A BOCCA ASCIUTTA
Doccia fredda per gli ex An di Futuro e Libertà .
Il Consiglio di Stato, ribaltando quanto deciso lo scorso 24 luglio dal Tar del Lazio, ha dato il via libera all’iscrizione nell’albo delle persone giuridiche della Prefettura di Roma della Fondazione An, in cui è destinato a confluire il patrimonio dell’ex partito di Gianfranco Fini: circa 55 milioni in depositi bancari, la società editrice del Secolo d’Italia e immobili in tutta il Paese per un valore stimato tra i 300 e i 400 milioni.
Per effetto della decisione la gestione dei beni torna, almeno per ora, nella esclusiva disponibilità degli ex An passati nel Pdl, che hanno il totale controllo del cda della Fondazione.
Ai finiani di Fli, che reclamano a loro volta una fetta consistente dell’eredità , chiedendo la liquidazione dei beni di An, non resta adesso che la strada del giudizio civile.
Nella nuova ordinanza il Consiglio di Stato stabilisce infatti al riguardo che è già in corso una causa al Tribunale di Roma, dove i finiani hanno impugnato la delibera del Congresso nazionale di An del 2 marzo 2009 che dispose lo scioglimento e la messa in liquidazione dell’associazione An e la costituzione della omonima Fondazione entro l 2011 con il conferimento in essa di tutti i beni.
A rivolgersi alla giustizia amministrativa erano stati il vicepresidente di Futuro e Libertà , Italo Bocchino, Rita Marino, segretaria particolare di Fini ai tempi di An e i deputati Enzo Raisi e Antonio Buonfiglio.
I ricorrenti chiedevano di sospendere il provvedimento con cui la Prefettura di Roma, lo scorso aprile, ha riconosciuto la Fondazione An.
La mossa di Fli aveva un obiettivo preciso: togliere i beni conferiti alla Fondazione, di fatto gestita dagli ex colonnelli di An oggi nel Pdl Maurizio Gasparri, Ignazio La Russa, Altero Matteoli e Gianni Alemanno, per farli tornare nell’associazione Alleanza Nazionale.
A quel punto anche la formazione di Gianfranco Fini avrebbe potuto dire la sua sul patrimonio ex An.
A luglio il Tar aveva dato ragione ai finiani, riconoscendo che la procedura di costituzione della fondazione era viziata e sospendendo il provvedimento della Prefettura.
Verdetto ribaltato adesso dai giudici di Palazzo Spada, secondo i quali «non appare sussistente alcun serio ed attuale danno che discenda di per sè ed in via diretta dal provvedimento impugnato anzitutto perchè il riconoscimento della Fondazione è avvenuto allo stato degli atti e senza pregiudizio del controllo prefettizio sull’eventuale mala gestio futura di essa», e in secondo luogo perchè il decreto prefettizio è stato emanato proprio «al dichiarato fine d’evitare ogni dispersione o depauperamento del patrimonio della Fondazione».
Le rivendicazioni sul patrimonio dell’associazione An avanzate da Bocchino e dagli altri esponenti di Fli, prosegue il collegio presieduto da Pier Giorgio Lignani, potranno essere fatte valere davanti al giudice civile.
«Ogni controversia circa la validità o l’efficacia dell’atto costitutivo di una fondazione», scrive il Consiglio di stato nell’ordinanza, «rientra, anche dopo che sia intervenuto il decreto prefettizio d’iscrizione nel registro delle ersone giuridiche, nella giurisdizione dell’autorità giudiziaria rdinaria atteso che il negozio di fondazione integra un atto di autonomia privata, che non partecipa della natura di tal provvedimento, ma è regolato in relazione alla sua validità ed efficacia dalle norme privatistiche e genera rapporti di diritto privato e posizioni di diritto soggettivo».
I giudici ricordano, infine, che «la Fondazione s’è comunque accollata tutti gli oneri della liquidazione dell’associazione An» e che i rappresentanti di Fli e gli altri ricorrenti «potranno agevolmente rivalersi sul residuo patrimonio diverso dal fondo di dotazione iniziale della Fondazione (fissato a 10 milioni di euro, ndr), oltr che negli ovvi limiti dell’ammissione al passivo».
Domenico Lusi
(da “L’Espresso“)
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