GIOVANI E DIPENDENTI, CHI PAGA LA POVERTA’
IL BENESSERE COMPLESSIVO DELLE GIOVANI GENERAZIONI E’ IN NETTO PEGGIORAMENTO RISPETTO A DIECI ANNI FA
Le nuove generazioni sono in numero sempre più ridotto, ma il loro benessere complessivo è in netto peggioramento rispetto a dieci anni fa, che pure già mostravano una situazione deteriorata a causa della lunga crisi finanziaria.
È quanto emerge dal Rapporto annuale dell’Istat presentato ieri. Aumenta, infatti, senza accennare a diminuire, l’incidenza della povertà assoluta tra i minorenni e i giovani fino a 34 anni, raggiungendo rispettivamente il 14% tra i minorenni e l’11,9% tra i giovani fino a 34 anni, rispetto al già alto rispettivamente 9,5% e 8,6% nel 2014.
Si tratta di aumenti maggiori di quelli che riguardano la popolazione complessiva, ove l’incidenza è passata nello stesso periodo dal 6,2% all’8,5%. Per i giovani di entrambi i sessi, anche se più per le donne, sono anche peggiorate le condizioni di accesso al mercato del lavoro, nonostante l’aumento del livello di istruzione. L’occupazione a tempo determinato e il part time involontario, infatti, sono particolarmente concentrati tra i giovani di entrambi i sessi e le donne di ogni età.
Le difficoltà ad accedere a un lavoro stabile e a un reddito adeguato e con un grado ragionevole di certezza spiegano in larga misura come mai i giovani italiani escano sempre più tardi dalla casa dei genitori per condurre una vita autonoma e, se lo desiderano, formare una famiglia propria. Il 67,4% dei giovani tra i 18 e i 34 anni vive ancora con i genitori, l’8% in più rispetto al 2002. Simmetricamente è aumentata anche l’emigrazione giovanile fuori regione e fuori Italia, alla ricerca di condizioni più favorevoli alla realizzazione di progetti di vita di medio-lungo periodo, con ciò assottigliando ulteriormente una popolazione giovanile già a ranghi ridotti. Forse non ci si può stupire troppo se siano proprio i giovani a mostrare anche un peggioramento degli indicatori di salute mentale, specie tra le donne. La sistematica riduzione di opportunità e di progettare il futuro che molti di loro sperimentano, spesso fin da piccoli, certamente non aiuta.
La situazione giovanile è uno dei temi su cui si sofferma il Rapporto Annuale, che, adottando una prospettiva longitudinale, delinea un paese in cambiamento, ma in cui le disuguaglianze – di generazione appunto, ma anche di genere e territoriali – sono non solo cristallizzate, ma in diversi casi aumentano. E quando sembrano ridursi, ciò avviene per un peggioramento della situazione nelle aree del paese dove tutto gli indicatori erano e sono migliori. Ad esempio l’incidenza della povertà assoluta, benché rimanga più alta nel Mezzogiorno, al 10, 2% stabile, è aumentata moltissimo nel Nord-Ovest e nel Nord-Est, dove in 10 anni quella famigliare è passata rispettivamente dal 4, 6% e 3, 6% all’8% in entrambe le ripartizioni. La crescita della povertà assoluta è in larga misura dovuta al fatto che, a seguito della stagnazione dei salari e dell’impatto dell’inflazione, si è affievolita la capacità del reddito da lavoro, in particolare dipendente, di proteggere individui e famiglie dal disagio economico. Come documenta il Rapporto, in dieci anni la povertà è cresciuta di più tra i lavoratori dipendenti: nel 2014, l’incidenza di povertà era su livelli simili per i lavoratori dipendenti (5,0%) e indipendenti (4,7%); nel 2023, l’incidenza tra i dipendenti è salita all’8,2%, mentre tra gli indipendenti si è fermata al 5,1%.
Sono le famiglie di operai e assimilati ad avere un’incidenza di povertà costantemente superiore alla media nazionale e a sperimentarne l’aumento in misura maggiore: dall’8,7% dl 2014 al 14,6% nel 2023. Il rapporto ricorda che nel 2020, 2021 e 2022 il Reddito di cittadinanza, ovvero l’esistenza di una misura universale e non categoriale, aveva avuto un importante effetto di riduzione dell’incidenza e dell’intensità della povertà assoluta, pur senza riuscire a raggiungere tutti i poveri.
È altamente probabile che lo stesso effetto positivo ci sia stato nel 2023, l’ultimo anno in cui è stato in vigore il Reddito di cittadinanza, anche se a qualcuno è stato tolto già nella seconda metà dell’anno. A fronte della persistenza della povertà assoluta nonostante la ripresa dell’occupazione, specie a tempo indeterminato, dei bassi salari e dell’alta incidenza di part time involontario, che non consente di guadagnare un salario intero, qualche preoccupazione è inevitabile sulla capacità dei due nuovi strumenti messi in campo dal governo Meloni in sostituzione del RdC, dato che essi hanno ridotto fortemente la platea dei possibili beneficiari e, nel caso del Sostegno per la formazione lavoro, anche l’importo. Secondo una stima della Banca d’Italia, l’effetto di riduzione dell’incidenza della povertà assoluta e della sua intensità sarà sensibilmente inferiore a quello del Rdc. Di conseguenza, rispetto alla situazione preesistente, l’incidenza della povertà assoluta risulterà maggiore di 0, 8 punti percentuali, quella minorile di 0, 5 punti, l’intensità della povertà assoluta di 4, 5 punti. Sempre che l’Assegno di inclusione, la nuova misura più consistente e più simile al RdC, raggiunga i 1, 2 milioni di nuclei previsti dal governo rispetto ai 2. 1 milioni che ricevevano vuoi il Rdc vuoi la Pensione di cittadinanza (ora assorbita nell’Adi). Ma, secondo i dati del ministero del lavoro, ad aprile erano meno della metà: troppi vincoli e clausole punitive escludono anche nuclei famigliari (con figli minorenni) e persone con disabilità grave, che pure figurano come categoria protetta.
(da lastampa.it)
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