GIOVEDI’ A STRASBURGO SI VOTA SULLA MESSA IN STATO D’ACCCUSA DI POLONIA E UNGHERIA PER VIOLAZIONE DELLO STATO DI DIRITTO
POTREBBE SCATTARE LA REAZIONE DI KACZYNSKI E ORBAN CHE RISCHIA L’ESPULSIONE DAL PPE… NON SI PUO’ ACCETTARE CHE DUE PAESI CHE VIOLANO I PRINCIPI DELLA DEMOCRAZIA FACCIANO PARTE DELL’EUROPA
Giovedì a Strasburgo l’Aula del Parlamento europeo sarà chiamata a votare un testo che mette sotto accusa Polonia e Ungheria per violazione dello stato di diritto. Sebbene sia una mossa solo politica (solo il Consiglio europeo può agire e serve l’unanimità per farlo), la questione ha già messo in fibrillazione i gruppi dell’Eurocamera e le istituzioni europee.
Oggi la presidente Ursula von der Leyen porta il tema alla riunione della Commissione europea a Strasburgo. Nei gruppi, sia i favorevoli che i contrari, la previsione è che il testo sarà approvato. E potrebbe essere la molla della ‘vendetta’ del presidente polacco Jaroslaw Kaczynski e del premier ungherese Viktor Orban, l’occasione per mettersi decisamente insieme, con i 13 eletti ungheresi che entrano nell’Ecr, i Conservatori e Riformisti, il gruppo che comprende anche i polacchi del Pis, e poi, chissà , in interlocuzione con Matteo Salvini per un grande gruppo sovranista.
Sia Orban che Kaczynski sono nel mirino degli europeisti da tempo. Il testo che verrà messo ai voti giovedì chiede al Consiglio europeo di tirare finalmente le somme della verifica avviata su Polonia e Ungheria sul rispetto dello stato di diritto (art. 7) e prendere decisioni.
Al Governo di Varsavia si contesta la riforma della giustizia, lesiva dell’indipendenza della magistratura come contestano i magistrati polacchi di recente in piazza.
Per Budapest, invece, l’allarme è concentrato sul funzionamento del sistema costituzionale ed elettorale, l’indipendenza della magistratura, la corruzione, la tutela della vita privata e la protezione dei dati, la libertà di espressione.
In più, Orban rischia di essere espulso dal Partito popolare europeo. L’anno scorso è stato sospeso, al termine di una lunga assemblea all’Europarlamento a Bruxelles. Il 4 febbraio è fissata — a meno di rinvii per ora non in vista — una nuova assemblea che potrebbe decidere la definitiva espulsione del leader di Fidesz dalla famiglia dei Popolari.
“La nostra posizione è chiara. Chi vuole rimanere nel Ppe deve chiarire che si attiene ai nostri principi”, dice oggi a Strasburgo il presidente del gruppo Ppe nel Parlamento Europeo Manfred Weber.
Ma per il Ppe la decisione è difficile. Il partito sostiene il testo che verrà messo ai voti giovedì. Ma è spaccato al suo interno, tanto che solo domani sera, in un’apposita riunione, prenderà una decisione ufficiale. Propendere per il sì potrebbe suonare come l’anticamera dell’espulsione di Orban dal Ppe. Il gruppo perderebbe i 13 parlamentari di Fidesz, poco male in quanto resterebbe comunque primo gruppo all’Europarlamento con 174 eurodeputati (con la Brexit ne guadagna infatti 5).
Ma la questione è politica: un eventuale addio di Orban potrebbe innescare movimenti inediti e spingere la destra a coalizzarsi.
Eppure è difficile fermare la macchina in corsa. All’Europarlamento la risoluzione verrà sostenuta dai Socialisti, i liberali di Renew Europe, i Verdi, la delegazione del M5S e buona parte dei Popolari. Ecco perchè ha buone chance di passare.
In Polonia i giudici sono in piazza contro la riforma della giustizia di Kaczynski, sulla quale l’Ue ha già avvertito il Governo di Varsavia. Un passo formale dell’Europarlamento a questo punto sembra necessario ai più.
Ma cosa succederà dopo? È la domanda che gira nel Ppe e che l’assemblea del gruppo esaminerà domani sera.
Se Orban entrasse nell’Ecr – dove oltre agli eletti di Kaczynski, ci sono anche gli eletti di Fratelli d’Italia — potrebbe non essere un grave danno.
Tra il Ppe e l’Ecr c’è dialogo, spesso compiono le stesse scelte in aula. Il punto è che, dopodomani, un eventuale sgambetto in aula a Polonia e Ungheria insieme, sommato a un’eventuale espulsione di Orban dal Ppe, potrebbe innescare ‘derive’ imprevedibili e rafforzare la destra, è il ragionamento che si fa tra i Popolari.
In fondo, l’Ecr ha votato no sulla nomina della presidente von der Leyen a luglio, esattamente come i sovranisti di ‘Identità e democrazia’, il gruppo dei salviniani, i lepenisti, l’Afd e altri. E a novembre, nel voto sulla Commissione, dell’Ecr solo i polacchi e qualche altra delegazione ha votato sì, Fratelli d’Italia ha votato no. Per dire che i Conservatori e Riformisti sono interlocutori del Ppe, ma anche dei sovranisti, al centro tra i due e pronti a giocare su più sponde, a destra.
Finora, il no di Kaczynski ha infranto il sogno di Salvini di costruire un grande gruppo sovranista dopo le europee: il loro incontro a Varsavia, lo scorso gennaio, andò male.
Gli europeisti ancora ringraziano il polacco per l’aiuto. Il problema stava nei legami tra il leader della Lega e i russi, nonchè nell’alleanza con Marine Le Pen. Problemi che oggi restano, tanto più che Salvini non vuole mollare la leader del Rassemblement National.
Però, se l’aula dovesse decidere di allargare anche a Kaczynski e Orban il cosiddetto ‘cordone sanitario’ anti-Salvini, se il Ppe espellesse l’ungherese, si determinerebbero altre condizioni.
I due leader messi sotto accusa potrebbero stringere ulteriormente la loro alleanza e allargarla verso destra, sempre più lontano dal Ppe. Ecco perchè sul voto di dopodomani la soglia di attenzione a Strasburgo è parecchio alta.
(da “Huffingtonpost”)
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