GLI ITALIANI INFORMARONO LA CIA DELLA TRATTATIVA SU LO PORTO: ALTA TENSIONE TRA I SERVIZI ITALIANI E QUELLI USA
E’ VERO CHE LA CIA HA TACIUTO L’ERRORE A OBAMA PER SETTIMANE?
Nell’autunno-inverno del 2014, la Cia era stata messa al corrente che i servizi segreti italiani avevano intavolato una trattativa per liberare Giovanni Lo Porto.
Lo sapevano anche gli inglesi e tutta la rete d’intelligence alleata che opera in Pakistan.
Eravamo stati noi ad informarli. Perchè poi la Cia non abbia passato la notizia alla struttura operativa antiterrorismo che coordina le azioni militari o se ciò sia avvenuto e non abbia modificato la pianificazione del bombardamento sul compound jihadista nella regione del Waziristan, provocando l’uccisione di Lo Porto e dell’americano Warren Weinstein, è materia tutta da chiarire.
In realtà , sono molti i passaggi ancora oscuri sulla catena di responsabilità che ha determinato questo tragico errore.
A cominciare dall’ultima informazione, che ha dato certezza sull’identità dei due ostaggi, finita sulla scrivania di Barack Obama tra il 13 e il 21 aprile scorso (ma su questo, versioni ufficiali e ufficiose contrastano).
Perchè, secondo una ricostruzione confermata da più fonti, la Cia avrebbe taciuto l’errore per settimane al presidente americano.
E la decisione di metterlo al corrente sarebbe stata presa solo quando il mediatore attraverso cui l’intelligence italiana aveva aperto un canale affidabile di dialogo con i terroristi, ha rivelato che non c’era più nulla da trattare perchè gli ostaggi erano morti.
A quel punto la notizia cominciava a circolare e non era più possibile nascondere l’esito fallimentare del bombardamento, mettendo a rischio parecchie teste della rete d’intelligence e dell’operativo americani.
Cosa che non è escluso si verifichi nelle prossime settimane, dopo che Barack Obama avrà assorbito lo smacco di essere stato informato con colpevole ritardo su un evento che avrà uno strascico politico interno e nelle relazioni con uno dei principali alleati europei, l’Italia.
Ma al conto dei danni collaterali bisognerà aggiungere anche il futuro dei rapporti tra le due strutture di intelligence.
Perchè, al netto delle dichiarazioni di dolore per l’accaduto e del riconoscimento per la correttezza di Obama manifestato dal premier Matteo Renzi, i nostri servizi non l’hanno presa per niente bene.
C’è un video che pesa come un macigno sull’errore commesso dagli americani.
Un video di Giovanni Lo Porto, recapitato agli uomini della nostra intelligence attraverso la triangolazione col mediatore pakistano, che rappresentava la prova in vita richiesta per poter avviare la seconda fase del negoziato e arrivare alla liberazione del cooperante.
Questo video era arrivato alla fine di dicembre del 2014.
Qualche dubbio sulla data in cui era stato girato c’era, ma non più sulla credibilità del mediatore.
Subito dopo, il negoziato si era arenato sulla richiesta di denaro da parte del gruppo jihadista che si apprestava a transitare dalle fila di Al Qaida a quelle del Califfato, giudicata troppo esosa.
Uno stop fisiologico in questo genere di trattative, che non agitava troppo l’intelligence.
La notizia era che Lo Porto era vivo, il mediatore credibile e i terroristi pronti a discutere.
Invece, da lì in poi buio pesto.
I nostri uomini sul campo non immaginano che il 15 gennaio un drone americano bombarda il compound jihadista al confine con l’Afghanistan, uccidendo quattro pezzi grossi di Al Qaida ma anche i due ostaggi.
E’ un altro drone a scoprire che quello che sembrava un successo nasconde un disastro: le immagini dall’alto del funerale dei terroristi a cui Al Qaida tributa tutti gli onori, inquadrano sei bare invece di quattro.
Che si tratti di un guaio, la Cia lo sospetta subito. Però non dice nulla ai nostri servizi oppure, ma sembra inverosimile, non sa nulla perchè l’operativo militare antiterrorismo che gestisce le azioni (tra 412 e 450 negli ultimi anni, tra Afghanistan, Irak, Yemen e Somalia) non la informa.
La prima ipotesi è la più credibile, infatti l’Agenzia manda uno o più agenti sul posto per cercare reperti organici delle due vittime sconosciute da cui poter estrare il Dna per una possibile identificazione. E la missione riesce.
Siamo tra la fine di gennaio e febbraio di quest’anno.
I reperti vengono inviati nei laboratori e il primo Dna che viene comparato è quello di Warren Weinstein, il cooperante americano per cui nel 2012 la famiglia aveva già pagato un riscatto di 250mila euro (la Casa Bianca smentisce).
L’identificazione, secondo le fonti interpellate dall’Huffington Post, avviene verso la fine di marzo. Ed è evidente che a questo punto il sospetto diventa un guaio grosso.
La Cia sa che Weinstein era detenuto insieme a Giovanni Lo Porto, quindi la seconda vittima sconosciuta non può che essere lui.
Per esserne certi bisogna comparare l’altro Dna estratto dai reperti con quello del del nostro cooperante. E qui si apre una parentesi con un interrogativo ancora irrisolto: come fa la Cia a procurarsi il Dna di Lo Porto?
E siamo alle battute finali di questa ricostruzione.
Siamo alla vigilia della visita ufficiale di Renzi a Washington.
La Cia mette al corrente il presidente Obama prima o dopo?
E se lo informa prima, Obama ne parla riservatamente con il nostro presidente del Consiglio e insieme concordano di rinviare l’annuncio?
Oppure è il racconto del ministro degli Esteri Gentiloni in Parlamento a far fede sui tempi, cioè sulla telefonata dallo Studio Ovale della Casa Bianca che Renzi riceve solo nel pomeriggio del 22 aprile?
La prossima settimana verrà fatta più chiarezza con una serie di audizioni dei vertici dell’intelligence e dei ministri coinvolti davanti al Copasir, il Comitato di controllo sui servizi.
E la speranza è che a quel punto il peso delle responsabilità diventi trasparente.
Se non altro per evitare che la famiglia di Giovanni Lo Porto continui a pensare che il cooperante ucciso sia stato un ostaggio dimenticato, un ostaggio di serie B e che non tutto sia stato fatto per cercare di riportarlo a casa.
Non è così ma qualcuno, da questa o dall’altra parte dell’Oceano, dovrà spiegare come sono andate davvero le cose.
(da “Huffingtonpost”)
Leave a Reply