GOVERNO PIU’ STABILE E LETTA PRONTO A FARE UN PASSO
MERCOLEDI PROPORRA’ RIFORMA DEL SENATO, DEL NUMERO DEI PARLAMENTARI E LEGGE ELETTORALE
La Corte Costituzionale continua a regalare sorrisi ai presidenti del Consiglio dell’era post-Berlusconi. Un anno fa Mario Monti, ieri sera Enrico Letta.
Non appena a palazzo Chigi è stato chiarito il senso di una sentenza difficilmente comprensibile in base al criptico comunicato della Consulta, il presidente del Consiglio ha sorriso interiormente e, pare, anche nella mimica facciale: il combinato disposto della decisione della Corte e delle forze in campo, blinda Letta, gli offre un’ altra opportunità per andare avanti per tutto il 2014.
Per il presidente del Consiglio «si fa un punto di chiarezza, la sentenza è un incentivo ad accelerare» per il superamento del Porcellum.
In cuor suo Letta sa bene che la “reviviscenza” del proporzionale con preferenza del 1993 diventa la migliore credenziale per durare un altro anno. Eloquente una battuta sussurrata ieri sera in Transatlantico da uno dei migliori amici del presidente del Consiglio: «Tra i nemici politici di Enrico – a cominciare da Renzi – chi mai oserà chiedere di andare a votare con una legge che riprodurrebbe le larghe intese?».
E a questo punto, Letta proverà a cogliere la palla al balzo: subito dopo le Primarie del Pd, nei primi due giorni della prossima settimana intende ascoltare le forze della maggioranza per presentarsi l’11 dicembre in Parlamento per il discorso della fiducia con la proposta di un disegno di legge governativo contenente due riforme costituzionali (monocameralismo e riduzione dei parlamentari) e alle quali legare anche la legge elettorale.
Una mossa con la quale replicare a tambur battente alla sentenza della Consulta.
Un iter che Letta ha immaginato assieme a Dario Franceschini, ministro per i Rapporti col Parlamento e confidente in tutti i passaggi cruciali, ma che presenta diversi ostacoli.
Il primo: non sarà semplice trovare un minimo comun denominatore tra Renzi, Alfano e la nuova minoranza Pd nella quale i popolari proporzionalisti e l’ala bersaniana certo non faciliteranno un’intesa. Ieri Beppe Grillo ha per la prima volta sposato apertamente il Mattarellum nella versione soft, senza additivo maggioritario e tempo fa proprio Letta aveva detto a titolo personale di considerare quella soluzione come quella preferibile.
Ma Letta è chiamato a fare i conti con Matteo Renzi e col suo furore, per una decisione della Consulta che il sindaco considera orchestrata e architettata contro di lui e comunque a favore della stabilità del governo.
In privato Renzi ha usato termini hard che non ripeterà in pubblico, ma del suo umore politico Letta dovrà tener conto nel calibrare le sue mosse.
Anche nel proporre il governo come dominus della nuova fase politica, “macchiata”, secondo l’ottica renziana, da una forzatura delle leggi e della Costituzione.
Nel suo discorso alla Camera Letta annuncerà la presentazione di un disegno di legge governativo col quale si proporrà il superamento del bicameralismo perfetto, l’attribuzione alla sola Camera dei deputati della facoltà di concedere la fiducia al governo, la riduzione dei parlamentari.
Direttamente connessa a questi due ritocchi costituzionali, una proposta di riforma elettorale, dai contorni ancora non chiari.
Nei giorni scorsi qualcuno aveva ipotizzato un patto già perfezionato tra Letta e Renzi su un modello di riforma a doppio turno, ma risulta che tutti i più recenti colloqui tra i due si siano consumati in un clima di reciproca freddezza che da ieri è diventata gelo.
Anche perchè, anche se nessuno lo dice in modo esplicito, nel Palazzo è diffuso il sospetto che attorno al governo sia stata artatamente stesa una rete di protezione.
Lo dice in modo chiaro il solo Arturo Parisi, già ministro del governo di cui Letta era sottosegretario alla Presidenza: «Aveva ragione chi da mesi annunciava questa sentenza usando i verbi al futuro, e non al condizionale.
L’impressione immediata è quella di una sentenza politica.
Nelle conseguenze: la conferma che un Parlamento eletto in base ad una legge illegittima è anch’esso illegittimo, e coinvolge nella sua illegittimità tutte le cariche che da essa derivano».
Durissima la conclusione: «Se il Parlamento non interviene il rischio è l’avocazione della funzione di governo a poteri privi di una adeguata legittimazione democratica». Un anno fa il referendum anti-Porcellum fu respinto dalla Consulta e Mario Monti potè proseguire il suo cammino senza i possibili grattacapi derivanti da un referendum. Ieri il replay.
Fabio Martini
(da “La Stampa”)
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