I FRONTALIERI ITALIANI FANNO LA FORTUNA DEL CANTON TICINO, SMENTITE LE BALLE DELLA LEGA TICINESE: IL PIL E’ CRESCIUTO DEL 30,4%
PIU’ FRONTALIERI SIGNIFICA PIU’ BUSINESS E PIU’ PROSPERITA’ ALTRO CHE RUBARE IL LAVORO AGLI SVIZZERI: LA DISOCCUPAZIONE E’ CALATA DAL 3,6% AL 3,3%
Il nuovo miracolo italiano c’è: in Svizzera. Basta attraversare la frontiera, almeno non passando da quei valichi (in tutto solo tre, per la verità ) che gli svizzeri hanno deciso di chiudere di notte come misura dimostrativa contro gli italiani brutti e cattivi, scatenando una delle ricorrenti crisi da vicinato non troppo buono, peraltro endemiche da quando a Bellinzona è al potere la Lega dei Ticinesi, ostile alla libera circolazione di merci e soprattutto di persone.
Adesso si scopre che il Canton Ticino è il Paese di Bengodi di Boccaccio, la terra dove scorre latte e miele della Bibbia, il Klondike di Paperon de’ Paperoni. Oddìo, da Chiasso in su tutto diventa l’Eden, non si starà esagerando?
Eppure i dati pubblicati dal «Temps» di Ginevra, frutto di uno studio di sei banche della Svizzera romanda, sono inequivocabili: in quindici anni, dal 2000 al 2015, mentre il resto del mondo era colpito da una crisi micidiale, il Pil del Ticino è aumentato del 30,4%. Meno della Svizzera centrale (più 43%), ma più di Zurigo (25,4%) e anche della media nazionale (29,5%).
Di più: lo studio ha anche confrontato trecento regioni europee, classificandole sulla base del Pil per abitanti.
E qui la performance del Cantone italofono è ancora più clamorosa. Perchè, data ovviamente la «Greater London» al primo posto grazie alla City (con un Pil di 212.800 euro per abitante nel ’15), seguono il Lussemburgo (89.900 euro), la regione di Zurigo (89.571) e, appunto, ottimo quarto, il Canton Ticino (76.842).
La questione politica
E fin qui, buon per gli svizzeri in generale e i ticinesi in particolare. Dove il dato smette di essere solo economico per diventare politico e sociale, è che pare esserci una correlazione fra l’aumento della ricchezza del Cantone e il numero dei frontalieri, insomma di chi, in buona parte, la produce.
Continuando a dare i numeri: gli italiani che tutti i giorni vanno a lavorare dall’altra parte della frontiera erano 30.897 nel 2001, 36.215 nel 2006 e oggi, dati relativi al primo trimestre del ’17 e ufficiali perchè riportati dall’Ufficio federale di Statistica, sono 64.670, con un incremento del 3,65% su base annua.
Insomma, immigrazione di lavoro e Pil prodotto vanno di pari passo.
Quindi sembra smentita la tesi della Lega dei Ticinesi, che sostiene che di frontalieri ce ne sono troppi e che portano via il lavoro ai locali.
Anche qui, i numeri sembrano raccontare un’altra realtà . In aprile, rispetto allo stesso mese dell’anno scorso, i disoccupati in Ticino sono calati dal 3,6 al 3,3% (par di sognare, abituati alle percentuali italiane più che triple), con 5.566 iscritti alle liste di collocamento. Meno 540 rispetto a marzo, 183 rispetto all’aprile del ’16.
«Beh, è quello che diciamo da sempre, anche e soprattutto agli svizzeri – commenta Eros Sebastiani, presidente della combattiva Associazione frontalieri -. Più frontalieri significa più business e più prosperità , altro che rubare il lavoro agli svizzeri. Anche perchè i frontalieri calmierano il mercato del lavoro e permettono così ai prodotti svizzeri di essere competitivi».
E poi elenca i punti del contenzioso fra le autorità del Ticino e chi vuole lavorare lì. Per esempio, il cosiddetto albo «antipadroncini» (sottinteso: italiani) che obbliga chiunque voglia lavorare nell’edilizia a iscrivercisi, pagare la relativa tassa e sostenere un esame.
A Berna sono favorevoli alla libera circolazione di persone e merci, e non hanno esitato a sacrificare il segreto bancario, mettendo in difficoltà le banche che lavoravano con gli italiani, pur di togliere la Svizzera dalla black list e salvaguardare l’industria nazionale.
Il 5 maggio, la presidente della Confederazione, Doris Leuthard, ha fatto una visita a Roma per appianare un po’ le relazioni bilaterali dopo le ultime tensioni.
(da “la Stampa”)
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