IL POLITOLOGO CAMPI: “I MODERATI ITALIANI SONO I NUOVI APOLIDI”
“SONO SPARITI, UNA FRANGIA HA CEDUTO AL POPULISMO, UN’ALTRA SI E’ RIFUGIATA NELL’ASTENSIONE”… “BERLUSCONI E’ STATO L’ULTIMO A RAPPRESENTARLI, RENZI CI HA PROVATO E HA FALLITO”
Ansia, risentimento e preoccupazione guidano le scelte dell’elettore di oggi in una dimensione in cui l’emisfero politico moderato, con i suoi protagonisti e costumi, pare essersi dissolto, per lasciare spazio a un ring dove tutto è o bianco o nero.
“La comunicazione digitale ha reso strutturale il fenomeno e la pandemia l’ha ingigantito”, commenta ad HuffPost lo storico e politologo Alessandro Campi. Sul voto del 20 e 21 settembre è convinto che ci sia “una tale rabbia diffusa, unita ad un bisogno crescente di protezione sociale, che ad avvantaggiarsene potrebbero essere le formazioni più radicali sul lato della propaganda, in fondo l’ascesa di Fratelli d’Italia si spiega anche così”.
Però poi avverte: “Potrebbe anche darsi che il rancore mischiato ad un disgusto crescente verso gli attori politici tradizionali (oramai sono considerati tali anche i grillini, sempre più a logo agio dentro il Palazzo) finisca per favorire l’astensionismo”. Ma una previsione vera e propria in realtà “non si può fare” e la speranza di un ritorno a “proposte politiche minimamente credibili” per quella parte di Italia “sommersa e silenziosa” è da rimandare a “dopo le amministrative”.
Quando forse “anche Giorgia Meloni, non potendo essere troppo a lungo una variante al femminile di Salvini, dovrà porsi il problema di come far evolvere la sua destra sovranista verso un modello più europeo e autenticamente di governo”.
Professore, come lo vede il clima di questa vigilia?
Schizofrenico e scisso, nel complesso poco avvincente e per nulla confortante. Tra gli italiani c’è chi pensa soprattutto al referendum, chi al voto ammnistrativo per definizione localistico e frammentato, chi semplicemente è preso da altri pensieri, non politici, più personali, a partire dalla recrudescenza pandemica e dalla crisi economica che quest’autunno potrà solo aggravarsi.
Il governo reggerà se la destra dovesse avere la meglio in Toscana?
Ovviamente non cadrà , avendo il sostengo esterno dell’Europa e non essendoci alternative di programma pronte e spendibili, ma certo farebbe una grande impressione vedere Toscana e Marche — dopo l’Umbria nel 2019 — perdere la loro storica connotazione di “regioni rosse”. Magari è la volta buona che il Pd la smette coi giochini tattici per chiedersi cosa fare prima di sparire dall’orizzonte della storia italiana e di dissolversi, senza gloria, nel magma del populismo grillino.
Lo scenario quale sarà ?
Il predominio degli umori sulla ragione critica mi sembra un dato ormai acquisito negli odierni comportamenti elettorali. Il voto di appartenenza non c’è più, essendosi dissolte le appartenenze ideologiche. Il voto di scambio non si può più praticare per mancanza di materia prima, ovvero i soldi pubblici da distribuire a pioggia ai proprii clientes, essendo ormai l’Italia ad un passo dalla bancarotta. Il voto d’opinione è una cosa di sapore ottocentesco e comunque riguarda ormai minoranze infime. Resta appunto il voto emozionale e di pancia.
Ma gli umori sono cangianti per definizione, come lei stesso sostiene…
Chi oggi li cavalca con successo, domani ne finisce travolto. Per la cultura democratica è un grosso problema, visto che essa ha sempre investito sul santino illuministico del cittadino critico, informato e responsabile. Oltretutto parliamo di un tipo di voto che, proprio perchè cangiante e dunque occasionale, crea una perenne instabilità .
Sul Mattino ha scritto che la rappresentazione più diffusa degli italiani per decenni è stata quella che li vedeva moderati, inclini al quieto vivere: sono cambiati?
Mi sono chiesto che ne è stato del corpaccione moderato, culturalmente tradizionalista e poco amante dei cambiamenti troppo repentini, un po’ egoista e incline alla difesa del proprio “particulare”, geloso delle proprie libertà ma “statalista” per mentalità e convenienza, che per decenni è stato il fondamento della nostra democrazia e che tutti i partiti hanno sempre blandito. Lo si chiamava un tempo “ceto medio” e gli si riconoscevano, accanto a molti vizi privati, anche delle pubbliche virtù: il senso del decoro piccolo-borghese, la laboriosità , la vocazione al risparmio, il senso della famiglia intesa come istituzionale di protezione sociale e rete affettiva insostituibile, ecc. Erano gli italiani che votavano per la Dc e i partiti laici minori, ma che in parte hanno votato anche per il Pci, quando era ancora un partito d’ordine e culturalmente bigotto, una macchina politica disciplinatrice nei territori dove governava, e non — come è oggi la sinistra — il partito dei diritti “tutti e subito”, della critica decostruzionista alla società patriarcale, del soggettivismo come superamento d’ogni dimensione collettiva e comunitaria, del post-tutto.
Un tempo i moderati contavano?
Non avevano grande visibilità pubblica, gli intellettuali li disprezzavano, nessuno ne rivendicava apertamente la rappresentanza, ma contavano molto. Oggi sembrano spariti o diventati irrilevanti.
Quando è iniziato il declino?
Berlusconi è stato l’ultimo interprete politico del moderatismo italiano. Ha annunciato la “rivoluzione liberale”, gli avversari lo hanno descritto come un Mussolini redivivo, ma in realtà non ha fatto altro che riaggregare con uno stile comunicativo nuovo ma sulla base di contenuti vecchi (a partire dall’anticomunismo), l’Italia appunto moderata. Forza Italia ha sempre avuto poco dell’ultraliberismo tathcheriano e molto dello spirito di compromesso e dell’interclassismo democristiano. Democristiana, cioè incline al pragmatismo e alla gestione ordinaria del potere più che alle battaglie sulle idee e alle ambizioni di egemonia sociale, è stata anche la politica culturale di quel partito, tanto che quest’ultima — anche quando governava il Cavaliere — è sempre rimasta nelle mani della sinistra. Originale in quell’esperienza è stato soprattutto il leaderismo di stampo quasi monarchico: il che ha implicato che invecchiato il Cavaliere, e ridottesi fatalmente le sue energie e le sue capacità di conduzione politica, gli italiani che lo avevano votato a milioni si sono trovati progressivamente allo sbando.
Qualcuno ha provato a raccoglierne l’eredità ?
Penso a Renzi, ma in realtà si è puntato solo ai suoi voti nelle urne, non a creare un sistema di rappresentanza — anche simbolica — come quella che lui aveva a suo modo creato. E infatti l’operazione non è riuscita.
Conte non è forse il moderato dei moderati, un novello democristiano?
Conte mi appare più in linea con una certa tradizione trasformista italica, il che significa poter essere tutto e il suo contrario a secondo della convenienza. Il moderato anti-comunista d’una volta restava tale tutta la vita e magari ne pagava le conseguenze. E questo fa una bella differenza. Nel caso di Conte aggiungerei un tratto pseudo-tecnocratico: la pretesa di poter essere al di sopra delle parti (e dunque di recitare tutti i ruoli in commedia) in virtù delle conoscenze, appunto tecniche, che si ritiene di possedere per ragioni d’estrazione professionale (essere un banchiere, un economista, un ingegnere, in questo caso un professore di diritto) e dietro le quale si tende a nascondere le proprie (peraltro legittime) ambizioni politiche. È il lascito mentale peggiore che l’esperienza cosiddetta dei tecnici, da Ciampi in avanti, ha lasciato alla politica italiana: l’illusione, in realtà l’imbroglio, che i tecnici che entrano nell’agone politico siano davvero tali e che lo facciano (bontà loro) per senso di responsabilità politica.
I moderati si sono radicalizzati?
Non mi nascondo che quel mondo ha subito, nel corso degli anni, una mutazione profonda. La corrosiva predicazione populista — contro la casta, contro l’Europa, contro la magistratura, contro la stampa, contro la cultura degli intellettuali -, predicazione avviata da Berlusconi e poi portata al livello dell’invettiva da Grillo e Salvini in particolare, ha fatto crescere il tasso d’estremismo già presente nella società italiana (e certamente favorito dal modo con cui è cambiata nel frattempo la comunicazione pubblica: se insulti ti si nota e magari diventi un personaggio, se argomenti non ti fila nessuno e risulti noioso). Peraltro spesso questa radicalizzazione è stata un riflesso difensivo.
E rispetto a questo cosa si può dire della sinistra?
La sinistra che critica la cultura dell’odio spesso usa la denigrazione sociale come arma di delegittimazione dell’avversario senza nemmeno rendersene conto. Strano che nessuno denunci quest’insopportabile ipocrisia.
Ha scritto che esiste un’altra Italia, sommersa e silenziosa, che però fatica a trovare rappresentanza politica. Chi dovrebbe fornire una riposta ad essa?
Una frangia del moderatismo italiano ha ceduto, come detto, alle sirene del populismo e dell’estremismo verbale. Ma continuo a pensare che ci sia un blocco sociale consistente di italiani moderati, tali perchè chiedono alla politica riforme puntuali e scelte pragmatiche, non cambiamenti sociali palingenetici, che non avendo più alcuna forma di rappresentanza credibile hanno finito per parcheggiarsi nell’area del non voto e in quella dell’astensionismo, in attesa di tempi migliori, ovvero di proposte politiche minimamente credibili.
Quando diventerà centrale questo tema?
Credo dopo il prossimo voto amministrativo. Forza Italia è ormai l’ombra di se stessa: Berlusconi non molla e dunque il partito finirà con lui. Renzi, come detto, ci ha provato ma con esiti pessimi (il movimentismo di stampo giovanilistico è quanto di più lontano dalla mentalità moderata). Adesso ci sta provando Calenda. Probabilmente anche Conte sta pensando a come portare quel mondo dalla sua parte. Sono convinto che anche Giorgia Meloni, dovrà porsi il problema di come far evolvere la sua destra cosiddetta sovranista verso un modello più europeo e autenticamente di governo.
Cosa significa in pratica?
Che prima o poi quel mondo dovrà fare i conti col fantasma di Fini, che una destra moderna, liberale, pragmatica, dialogante l’aveva costruita, anche se poi l’ha rovinosamente distrutta. I moderati, sono convinto, torneranno d’attualità . Sono un blocco sociale nel frattempo ridottosi nei numeri ma ancora importante, in cerca di una rappresentanza politico-sociale che qualcuno prima o poi dovrà nuovamente dargli.
(da “Huffingtonpost”)
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