IL TAGLIO ALLE PROVINCE RISCHIA LA MORTE IN CULLA
LA RELATRICE (DI FORZA ITALIA) SI DIMETTE, LA RAGIONERIA HA DUBBI E NCD STA VALUTANDO
Doveva essere il primo spiraglio di luce sull’abolizione delle province. Rischia ancora la morte in culla, tra dubbi di incostituzionalità e di generare ulteriori costi anzichè risparmi. Certo sarà il primo banco di prova dei nuovi squilibri che attraversano parlamento e governo.
Comunque sia è iniziata in salita ieri alla Camera la discussione generale sul fantomatico “riordino” degli enti dopo che Forza Italia ha annunciato l’intenzione di votare contro, togliendo definitivamente il proprio appoggio al testo elaborato dal ministro per gli Affari regionali e le Autonomie Graziano Delrio.
Il relatore di maggioranza Elena Centemero (Fi) si è dimessa dall’incarico, celebrando di fatto il primo atto parlamentare di rottura tra ex alleati di larghe intese e il passaggio all’opposizione dei berlusconiani.
A stretto giro arriva anche il no, scontato, della Lega e perfino qualche settore di Ncd mostra reticenze anche se diversi esponenti assicurano di tener fede all’impegno.
Nessuna apertura dai Cinque Stelle che parlano apertamente di “farsa e di finta abolizione”.
Parla di “requiem” della riforma del titolo V Arcangelo Sannicandro di Sel.
Mercoledì la discussione va avanti ma visti gli ultimi sviluppi non è escluso che Pd e governo restino col cerino in mano e il voto, calendarizzato per giovedì, possa riservare ancora sorprese.
Alla fine della discussione Delrio, che ci ha messo la faccia, non nasconde il rischio che, se salta tutto, tocca ripartire da zero. Di nuovo.
Qualcuno, distratto, potrebbe restare sorpreso: ma come, se ne parla da anni e siamo ancora all’inizio della discussione e con la riforma ancora in mezzo alle onde?
Così è, nonostante i fiumi d’inchiostro spesi e le promesse degli ultimi governi.
Vero è che il testo è molto lontano dall’abolizione auspicata per la quale servirà un disegno di legge costituzionale che è ancora ai blocchi di partenza, vista la bocciatura del “Salva Italia” attrezzato a suo tempo da Monti da parte della Consulta.
La Corte aveva contestato la decretazione d’urgenza per questa materia (e Brunetta ieri ha rilanciato il bastone nell’ingrannaggio presentando una questione pregiuziale sul punto).
E così, tra veti incrociati e aporie costituzionali, ha preso quota la soluzione intermedia del ddl Delrio che demansiona le province ma non le cancella.
Per il momento — se l’iter andrà avanti — la riforma riduce le loro funzioni, le rende enti di “area vasta” con funzioni di coordinamento. I consiglieri provinciali non verrano più eletti direttamente dai cittadini, ma fra i Comuni stessi.
Di più, per ora, non si poteva.
Raggiungere un testo condiviso in commissione, sostiene chi è intervenuto ieri, è stato già un calvario. Anche perchè, va ricordato, il tempo stringe.
Con un emendamento in Senato alla legge di stabilità è stata prorogata fino al 30 giugno la scadenza naurale di 54 province.
Anche qui sta il nodo politico, difficile da confessare, che farà la differenza giovedì.
Il vicepremier Angelino Alfano, per dire, da Padova aveva ammonito: “Non è che aboliamo le Province per creare degli enti di secondo livello in cui vince a tavolino la sinistra e non accetteremo mai di mandare a casa i presidenti di centrodestra nelle aree metropolitane per sostituirli con i sindaci dei relativi capoluoghi, tutti di sinistra”.
Mentre Roberto Formigoni ieri ha ribadito: “Noi siamo per l’abolizione totale. Punto”.
Il Pd che non si aspetta scherzi mette comunque le mani avanti: “Sarebbe ben strano se Ncd che con 5 ministri del governo ha approvato il testo ora si tirasse indietro”, dice Matteo Richetti.
Resta da chiarire se la riforma porterà risparmi. Un sospetto che ha trovato addentellati importanti nella bocciatura della Corte dei Conti che ha manifestato dubbi sugli effetti determinati dal temporaneo passaggio di funzioni dalle province alle città metropolitane. Il ministro Delrio ha ribadito ieri che “certamente sulle funzioni generali di amministrazione e controllo che oggi valgono due miliardi e qualche decina di milioni di euro e che solo per 900 milioni di euro sono a carico del personale potremo fare grandi risparmi”.
Ma dai banchi dell’opposizione le cifre vengono contestate. Dalila Nesci (M5S), sostiene che lo “svuota province” sia un pallido ricordo delle promesse di abolizione.
L’Unione delle Province, il rischio che la misura-cuscinetto comporti addirittura più costi, rilevando come da tre città metropolitane si sia passati a 10 nel testo del governo e poi 15, con non precisate ricadute in termini di finanze pubbliche.
Ieri , per dire, alla notizia che Catania poteva saltare Enzo Bianco è volato a Roma per perorare la causa e ricevere assicurazioni.
Nelle stesse ore c’è stato anche il giallo sul parere che la Ragioneria Generale dello Stato ha fornito alla Commissione bilancio circa le necessarie coperture rispetto al patto di stabilità interno.
Ma a stretto giro è arrivato il nullaosta dalla commissione Affari Costituzionali.
E dunque si procede tra i dubbi.
Thomas Mackinson
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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