INTERVISTA A BERSANI: “UN’ALTRA MAGGIORANZA SE BERLUSCONI DECIDE DI FAR CADERE IL GOVERNO”
“IL GOVERNO DEL CAMBIAMENTO E’ ANCORA UNA PROSPETTIVA POSSIBILE”… “NON SO SE RENZI SIA STATO LEALE, ASSURDO ACCUSARCI SULLE REGOLE”
Stanzetta al secondo piano, molto più piccola di quella del segretario. Due bersaniani che non hanno voltato gabbana: Stefano Di Traglia e Chiara Geloni.
Lui è alla scrivania, camicia senza cravatta, sigaro.
Pier Luigi Bersani, quattro mesi fa lei pareva a un passo da Palazzo Chigi. Cos’è successo?
«È successo che abbiamo perso 5 punti, un milione e 700 mila voti, a favore di Grillo. Un milione, forse più, erano gli arrabbiati. Gli altri pensavano che avremmo vinto lo stesso».
Invece avete continuato a perdere. Almeno il tentativo di fare il governo di cambiamento con i grillini è stato sincero? O metà partito si stava già mettendo d’accordo con Berlusconi?
«Parlare di sconfitta quando abbiamo un presidente del Consiglio è piuttosto curioso. Ma lasciamo perdere… Il mio è stato un tentativo convinto, e anche ragionevole: non prendi il 25% senza ingaggiarti. Puoi metterci un mese a capirlo, forse due; ma devi capirlo. Era solo questione di tempo. Infatti è proprio quello che sta accadendo».
Sta dicendo che il governo di cambiamento è ancora possibile?
«La mia idea è pragmatica e realistica: i governi di coalizione puoi doverli fare, ma non sono governi di scossa. Evitano un rischio, ma non sono motori di cambiamento. Le consultazioni in streaming non sono state inutili. Ora se le ricordano».
Renzi disse che lei si fece umiliare.
«Invece avevo la testa alta e rivolta in avanti, con l’idea di far ragionare un mondo. Oggi abbiamo un governo di servizio. Lo sosteniamo e lo sosterremo. Vi abbiamo impegnato i nostri migliori esponenti. Ma è compito di tutti noi tenere viva la prospettiva di un governo di cambiamento».
Lo smottamento in corso tra i grillini può far nascere un’altra maggioranza?
«Lo ripeto quattro volte con la massima chiarezza: io sostengo Letta, persona intelligente, capace e leale. Ma Berlusconi non pensi di avere in mano le chiavi del futuro. Ci pensi bene. Stavolta staccare la spina al governo non comporta automaticamente andare a votare. Gliel’ha detto persino Cicchitto».
Lei dopo il voto tentò di parlare con Grillo?
«Sì. Ma non è stato possibile».
Perchè però non avete colto il primo segnale di apertura e non avete votato Rodotà ?
«L’elezione del capo dello Stato implica la ricerca di una soluzione il più possibile condivisa. Ritirato Marini, abbiamo indicato Prodi, che compariva tra i candidati di Grillo. E se nelle file del Pd non ha avuto abbastanza voti il fondatore del partito, non credo proprio che li avrebbe avuti Rodotà ».
La accusano di non aver preparato bene la candidatura di Prodi. Non era meglio metterla prima ai voti dentro il partito?
«Io ho chiesto di votare a scrutinio segreto. Ma la reazione al nome di Prodi è stata un’ovazione unanime. Allora ho chiesto di votare per alzata di mano. Tutti hanno alzato la mano. Adesso tutti mi chiedono chi sono i 101. Io rispondo: parliamo prima dei 200 per Marini».
Ma molti dei 200 avevano espresso prima il loro dissenso.
«Non è così che si sta in un partito. Vorrei un partito in cui si dialoga con la base su facebook e su twitter, ma si ha il coraggio di seguire e difendere le scelte collettive».
Marini significava larghe intese. Con Berlusconi.
«Contesto in radice questa affermazione. Il nuovo capo dello Stato sarebbe stato nella pienezza dei suoi poteri, dall’assegnazione dell’incarico allo scioglimento delle Camere. E poi con Berlusconi abbiamo eletto Ciampi, in un momento in cui eravamo noi al governo e la conflittualità con la destra era da guerra mondiale. In ogni caso, alla fine non restava che chiedere a Napolitano il sacrificio di cui dobbiamo essergli grati».
Potesse tornare indietro si dimetterebbe ancora?
«Io non mi sono dimesso per ragioni personali, o per dispetto, sentimento che non conosco nella mia anima. Mi sono dimesso per fissare un punto: al prossimo congresso ragioniamo su cos’è un partito, cos’è una democrazia. Questo Paese è inchiodato, non cresce, non riesce a fare riforme, non ha un’idea del futuro, perchè è tarato su modelli personalistici o padronali o trasformisti o plebiscitari».
In tutte le democrazie ci sono i leader.
«Certo. Ma mentre le altre democrazie possono contare sulla stabilità che danno le formazioni politiche, da noi si alzano comete che durano molto o poco ma finiscono, e aprono vuoti d’aria di sfiducia. Cosa c’è dopo Berlusconi? Dopo Monti? Dopo Bossi? Dopo Grillo? Dopo Di Pietro? Grillo ora perde voti: qualcosa torna da noi; ma il resto va in sfiducia ulteriore».
Nel Pd dopo di lei potrebbe toccare a Renzi. Che cosa pensa davvero di lui?
«È un ragazzo sveglissimo, intelligente, fresco, pieno di energia. Può essere di enorme utilità per il Pd. Mi va bene tutto, ma non il vittimismo. Renzi non può dire che ora noi vogliamo cambiare le regole per danneggiarlo, dopo che io ho cambiato le regole per farlo partecipare alle primarie, separando il ruolo da segretario da quello di candidato premier. Possiamo decidere di tornare indietro, ma sarebbe davvero strano. A maggior ragione adesso, che il premier è un dirigente del Pd».
Renzi è stato leale con lei?
«Non lo so. Non ho cose da lamentare, se non lo scarso affetto per il collettivo. Voglio un partito che sia uno strumento al servizio della società civile, non uno spazio dove agiscono miniformazioni personalizzate. Magari fossero correnti; rischiano di essere filiere al servizio di una persona».
Quindi lei è per un segretario diverso dal candidato premier, eletto solo dagli iscritti?
«Nessuno può accusare di voler restringere il campo proprio me, che ho fatto due volte le primarie, e le ho vinte. E non si dica che l’esito è stato deciso da qualche burocrate; hanno votato milioni di persone. Ora Epifani propone: sganciamo i congressi di circolo e di federazione dal congresso nazionale. Sono d’accordo. Diamo tutto il tempo possibile e con il massimo di apertura a chi vuole iscriversi, anche a titolo speciale. Ma è il Pd che sceglie il suo segretario. Quando sarà il momento, discuteremo del candidato premier».
Se il Pd diventa un partito personale, magari spostato al centro, c’è il rischio di una scissione a sinistra?
«Sono radicalmente contrario. Non è accettabile il solo pensarci. Ma il rischio che tornino le vecchie faglie, Ds e Margherita, può prendere la mano. E il rischio si evita costruendo un grande partito europeo».
Perchè D’Alema ce l’ha tanto con lei?
«Ce l’hanno tutti con me? Pensi che invece io non ce l’ho con nessuno».
Neppure con la Moretti, che lei scelse come portavoce e non votò Marini?
«Con nessuno. Sono fiero di aver aperto il partito alle nuove generazioni. Che però devono maturare, devono capire che noi siamo un salmone controcorrente. Ci faccia caso: il Pd è l’unico a chiamarsi “partito”. Tutti gli altri, compreso Vendola, rifiutano quella parola. Berlusconi vuole trasformare il Pdl in un’azienda di soli managers. Noi dobbiamo tutti essere consapevoli della drammaticità della scelta di chiamarci partito democratico».
Quanto dura il governo Letta?
«Il governo non deve legare la sua vita solo al compimento delle riforme istituzionali. Deve durare fino a quando la democrazia non si prende un presidio, fino a quando non si vedano risultati di una riforma della politica e dei partiti di cui il Pd con il suo congresso deve essere il battistrada».
Secondo lei è davvero impossibile evitare l’aumento dell’Iva?
«La penso come Fassina: non possiamo togliere l’Imu a zio Paperone e scaricare l’aumento dell’Iva sul piccolo commerciante e sul consumatore. Noi dobbiamo rendere visibile il nostro punto di vista. Sta al governo trovare la mediazione. La priorità è il lavoro. L’Italia deve chiarire di essere disposta a stringere ancora di più il controllo politico sui bilanci, per superare le perplessità tedesche, in cambio di investimenti sul lavoro, subito. I benefici della fine della procedura di infrazione devono arrivare adesso, non a babbo morto. Aggiungerei anche il tema dei diritti, come le unioni civili, la cittadinanza. Trovo sconvolgenti le parole rivolte al ministro Kyenge. Mi aspetto che su un fatto del genere si faccia giustizia».
Perchè lei è contrario all’elezione diretta del capo dello Stato?
«Io non sono pregiudizialmente contrario al semipresidenzialismo. La mia preoccupazione è evitare derive plebiscitarie, che però esistono anche nell’altra ipotesi di riforma, il cancellierato. Discutiamo di entrambe, ma partendo dai contrappesi».
Aldo Cazzullo
(da “il Corriere della Sera”)
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