INTERVISTA A FRANCA CIAMPI: “CARLO TEMEVA PER IL FUTURO DEI GIOVANI”
“SPOSATI PER 70 ANNI… E ADESSO COSA FARO’ SENZA DI LUI?”
«E adesso, cosa farò adesso, dopo che avremo portato Carlo a Livorno?»
Donna Franca va e viene con aria spossata, nella casa di via Anapo, e ogni tanto pronuncia questa domanda.
Intorno, tutti si sforzano di confortarla e cercano di evitarle lo stress di campanello e telefono, che suonano di continuo. C’è un piccolo assedio affettuoso, nella strada del quartiere Trieste dove abitano i Ciampi (non solo l’ex capo dello Stato, ma anche il figlio Claudio con la sua famiglia).
Tra la gente che passa, alcuni si fermano e gettano lo sguardo verso le finestre, nella speranza di distinguere dietro i vetri la moglie di uno dei capi dello Stato più amati dagli italiani. «Cosa farò adesso?», ripete ai pochi ammessi a salutarla, in un’altalena di dolore e stordimento. Poi torna subito a parlare di lui. Sempre al presente, a volte chiamandolo «papà ».
Signora Ciampi, com’è stata quest’ultima stagione del presidente? Lo abbiamo visto progressivamente segnato dall’età e dalla malattia, mantenendo però a lungo la lucidità .
«Lei lo sa bene: sono dieci anni che Carlo patisce e può immaginare come è stato l’ultimo periodo. Abbiamo avuto momenti molto duri e io, nonostante cercassero di allontanarmi dal suo capezzale – per proteggermi, lo comprendevo – non ho potuto staccarmene mai. Sono vecchia, ho quasi 96 anni anch’io… e, sì, sono molto, molto provata. Stamattina, sfogliando i giornali, ho trovato tante riflessioni che mi hanno colpita. Sono grata a tutti. Ma mi ha davvero commossa vedere citati sul Corriere, nel suo commento sulla “neutralità attiva” di Carlo, i versi delle Metamorfosi di Ovidio, che l’avevano ispirato nei passaggi critici della vita».
Allude ai versi in cui si racconta che il creatore ha fatto gli animali con il muso prono, verso il basso, ma ha voluto gli uomini con il viso rivolto in alto, verso il cielo e le stelle?
«Quelli, ed era appropriato rievocarli perchè per lui avevano un significato speciale. Carlo, il mio amatissimo Carlo, li citava spesso anche a me, in latino, fin dal giorno in cui, appena diciottenni, ci eravamo conosciuti a Pisa, all’università . Rileggerli me l’ha fatto sentire ancora così vivo e presente… Pensi che quando tra poche ore ci sarà la messa funebre e lo porteremo a Livorno, il 19 settembre, cadrà l’anniversario del nostro matrimonio. Settant’anni fa. Può comprendere quanto il cuore sia gonfio».
Riandiamo ai momenti belli. Ricorda quando chiesero a suo marito di accettare un secondo mandato al Quirinale e lei scattò obiettando che «no, pro patria mori proprio no», perchè aveva già dato alla patria tutto ciò che poteva?
«La diplomazia non è il mio forte, ne dico tante e non sono mai riuscita a frenarmi… Comunque certo che ricordo la frase, tratta da Orazio pure quella, del resto: Dulci et decorum est pro patria mori… Di lui, e lo sostengo con convinzione e senza timori di esagerare, penso che sia morto proprio per la patria».
Ma per lui valeva sul serio lo sfiduciato giudizio riassunto nel suo ultimo libro, titolato «Non è il Paese che sognavo»?
«Questi ultimi anni, deve credermi, non li ha vissuti con molta serenità … Non vorrei sembrare una persona oppressa da visioni negative a priori, come in parecchi casi diventano i miei coetanei. Abbiamo attraversato fasi belle e meno belle, mio marito ed io. Come capita a tutti. Però le delusioni di quest’ultimo periodo sono state cocenti per entrambi».
Delusioni su quali fronti?
«Non voglio fare discorsi politici, non mi competono e sarebbero di cattivo gusto. La delusione maggiore di cui parlo riguarda il futuro dei nostri giovani, costretti ad andare all’estero se vogliono costruirsi qualcosa. Volevamo qualcosa di diverso, io e papà . Siamo bisnonni, e speravamo che finalmente si realizzassero prospettive meno complicate per chi verrà dopo di noi, per i nostri bisnipoti…».
Insomma: la sua eredità , morale e di servitore dello Stato, è stata raccolta o no?
«Devo dire di sì, in fondo. E sono persuasa che l’affetto e la stima con cui oggi lo si commemora nascono forse anche dall’ansia di cancellare certe villanie e scatti d’inciviltà che ha subìto. Ma lasciamo perdere. Conta una cosa, adesso, per me: sono sicura che papà è in paradiso, perchè era molto buono e molto perbene. Non era uomo da battersi il petto e ostentare la propria fede: per lui Gesù era una cosa seria, come lo è per me. Abbiamo avuto tutti e due un’educazione cattolica e lui in particolare si è formato, fin da piccolo, dai gesuiti. Una scuola molto severa. Anche di vita, che insegna i doveri prima dei diritti».
(da “il Corriere della Sera”)
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