INTERVISTA AL PROCURATORE SPATARO: “I SERVIZI SEGRETI NON BASTANO. PER SCONFIGGERE IL TERRORISMO GIUDICI E POLIZIA”
“NO A LEGGI SPECIALI, COOPERAZIONE GIUDIZIARIA INTERNAZIONALE”
Nella lotta al terrorismo c’è un’impostazione errata che oggi sembra cara all’Europa: volere privilegiare l’attività di intelligence, trascurando invece la questione della cooperazione giudiziaria».
Il procuratore della Repubblica di Torino Armando Spataro è uno dei pochissimi magistrati ad avere affrontato tutte le sfide criminali più pericolose: gli Anni di piombo, le mafie e quindi il terrorismo «cosiddetto islamico », secondo quella che reputa «l’unica definizione idonea a evitare ogni impropria, se non offensiva, generalizzazione».
Ha condotto in prima persona la più importante indagine in Europa sulla degenerazione della guerra globale scatenata dagli Stati Uniti dopo l’11 settembre, facendo condannare gli agenti della Cia che rapirono Abu Omar e i loro complici italiani.
E anche per questo fa subito una premessa: «Credo fortemente alla funzione delle agenzie di informazione in ogni democrazia. Ma ho più volte affermato che va potenziata la sinergia tra le tutte le istituzioni e le forze in campo, non il mero rafforzamento delle attività di intelligence. Bisogna anche operare per rendere effettiva la cooperazione giudiziaria internazionale, di cui sono protagonisti la magistratura e le forze di polizia tradizionali».
Su questo punto l’Europa sembra all’anno zero.
«Le difficoltà dipendono dalla differenze di ordinamento. Molti paesi dell’Unione europea non accettano che siano i pubblici ministeri a dirigere le indagini della polizia giudiziaria, con la conseguente sottrazione delle inchieste alle scelte politiche. E allo stesso modo nella maggioranza degli stati non esiste il principio – per noi irrinunciabile – di assoluta indipendenza del pubblico ministero rispetto al potere esecutivo».
Quando la lotta al terrorismo viene affidata agli 007 c’è il rischio che venga a cadere ogni possibilità di controllo democratico?
«Se si opera principalmente attraverso i servizi di intelligence è chiaro che la guida non potrà che essere politica. Di qui le scelte prevalenti in favore dei servizi care ai governi europei, anche a scapito dell’efficienza operativa e della qualità dei risultati. Inoltre le regole secondo le quali operano i servizi non possono che essere, per definizione, segrete, dunque diverse tra loro ed incontrollabili, tali da alimentare spesso metodi d’azione a dir poco criticabili».
Ma i problemi sono solo di natura costituzionale?
«Non solo. Spesso si manifestano enormi resistenze nel mettere in comune, a fini investigativi, le notizie e i dati davvero utili. Le banche dati esistono ma non comunicano. Evidentemente molti si ritengono proprietari esclusivi delle notizie importanti. In questi anni ho riscontrato alcune difficoltà nella collaborazione con le autorità francesi e britanniche, mentre la cooperazione ha funzionato egregiamente nei rapporti tra Italia, Germania e Spagna. Non a caso sono paesi che hanno rispettivamente conosciuto il terrorismo interno delle Brigate Rosse, della Raf e dell’Eta, riuscendo a sviluppare anticorpi efficaci – dall’analisi delle strategie e del “pensiero” di quei gruppi, alla specializzazione investigativa ed allo scambio immediato delle notizie utili – che ancora oggi servono».
Lei ritiene che l’esperienza maturata negli Anni di piombo sia ancora utile?
«La sintesi del mio pensiero sta in quella famosa frase del presidente Pertini: “Abbiamo sconfitto il terrorismo nelle aule di giustizia e non negli stadi”. Un’affermazione che allude alla correttezza dell’azione istituzionale ed alla centralità dell’azione giudiziaria».
Molti sostengono che oggi la portata della minaccia sia tale da imporre leggi speciali, paragonando la situazione creata dagli attentati di Parigi e Bruxelles a una vera guerra, da combattere con ogni mezzo.
«La nostra democrazia non può tornare indietro di un solo passo e non possono esistere, come qualcuno teorizza, zone grigie nell’affrontare il terrorismo. Non si torna indietro neppure di un millimetro, per la semplice ragione che sui diritti non si tratta. È ovvio che ci troviamo di fronte a fenomeni nuovi, che comportano l’esistenza di scenari di guerra. Ma l’Italia ha saputo dire no a misure straordinarie come quelle introdotte dagli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna e dalla Francia. Dal 2005 il nostro paese ha varato tre decreti per rispondere alla minaccia del terrorismo, tutti convertiti in legge con grandissima maggioranza parlamentare ».
Ci sono diversi esponenti politici, non solo di destra, che ritengono insufficienti le misure adottate in Italia e accusano la magistratura di eccessivo garantismo contro il terrorismo.
«Anche grazie a questi provvedimenti abbiamo conseguito eccellenti risultati nel contrasto del terrorismo internazionale, tanto che, comparando i dati dei processi celebrati in Europa, gli esiti in Italia sono tra i migliori, se consideriamo i numeri delle condanne definitive. Ciò è sicuramente frutto della grande professionalità della nostra polizia giudiziaria, ma non si deve escludere la ricaduta positiva di un sistema di leggi, che si è dimostrato efficace e rispettoso dei diritti delle persone indagate».
Un’altra delle richieste che vengono avanzate riguarda la raccolta di massa di dati sensibili, come quella sui viaggi aerei, e lo scambio nella Ue.
«A chi sostiene che sia legale e utile nella lotta al terrorismo raccogliere milioni di dati, così controllando e classificando mezza umanità , si deve rispondere ripetendo che la concentrazione di miriadi di dati indistintamente raccolti – è provato – non è mai servita a nulla. Questa raccolta, esattamente come renditions, torture e prigioni illegali, rischia solo di fornire ai terroristi storie ed immagini da usare a scopi di proselitismo: così è avvenuto con quella delle tute arancioni indossate dai prigionieri di Guantanamo, immagine sfruttata per la tragica scenografia dei crudeli “sgozzamenti” dell’Is».
Gianluca Di Feo
(da “La Repubblica”)
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