INTERVISTA AL RESPONSABILE DI SEA WATCH: “A LAMPEDUSA ARRIVANO NEONATI MORTI E IL VIMINALE PARLA DEI MIGRANTI COME PERICOLO PER LA SICUREZZA”
“COMUNICHIAMO SEMPRE CON LE AUTORITA’, MENTE CHI DICE IL CONTRARIO”
Della stagione dei porti chiusi e della guerra alle ong, Sea Watch è stata il simbolo. E adesso che la direttiva Piantedosi sembra paventare il blocco navale per Ocean Viking e Humanity, le navi della flotta civile attualmente in missione nel Mediterraneo, “non possiamo che essere preoccupati – dice Alberto Mallardo, responsabile di Sea Watch Italia – anche perché bisogna partire da un assunto che troppo spesso si dimentica: sono le persone che attraversano il mare a essere in pericolo, non sono certo loro un pericolo”.
Chi le considera tali?
“Nella direttiva viene identificato chi arriva dal mare come potenziale minaccia per la pace e la sicurezza dell’Italia. E questo avviene nello stesso giorno in cui a Lampedusa si accolgono i cadaveri di due neonati, a pochi giorni dalla morte di altri due bambini di neanche un anno, mentre si cerca il cadavere di una neonata. È assurdo”.
Che valutazione fate della direttiva Piantedosi?
“Siamo preoccupati perché non sappiamo come influirà sulle nostre operazioni, come su quelle delle altre ong. Ma i nostri principali timori hanno a che fare con l’incolumità di chi continuerà ad attraversare il mare. Pensare di bloccare i flussi migratori è folle, migliaia di persone continueranno a partire e a rischiare la vita”.
Con il rischio che non ci siano le ong a prestare soccorso?
“Servirebbe un dispositivo di salvataggio e ricerca europeo, ma allo stato di fatto non c’è. La Guardia costiera italiana interviene solo entro le venti miglia da Lampedusa. Per anni abbiamo invocato risposte dall’Europa, che sono sempre state insufficienti. Suppliamo a quello che si dovrebbe fare e non si fa”.
Nella direttiva le ong vengono accusate di non aver informato le autorità competenti sulle attività in corso.
“E questo mi stupisce. Le ong hanno un’interlocuzione continua con i centri di coordinamento e soccorso di La Valletta, Tripoli e Roma”.
Come funziona il sistema di comunicazione?
“Appena riceviamo una richiesta di soccorso da aerei civili o di Frontex, informiamo i centri di coordinamento via email, comunicando la rotta necessaria per raggiungere l’imbarcazione in difficoltà. Una seconda comunicazione parte appena viene avvistata, una ulteriore sulle condizioni di difficoltà”.
Su cosa si basa la valutazione?
“Non è certo affidata all’intuito personale, ci sono parametri precisi, previsti dalle norme: presenza di giubbotti di salvataggio, numero di persone a bordo, stato del natante, disponibilità di cibo e acqua a bordo, giusto per fare qualche esempio. Ecco, è assai raro che qualcuno a queste comunicazioni risponda. Ma se la condizione di difficoltà è confermata, si procede al soccorso”.
Anche questo viene comunicato?
“Certo. Una prima email viene inviata a intervento appena effettuato, quindi un report dettagliato con tanto di precisa timeline dell’intervento”.
Un’altra delle accuse contenute nella direttiva è di non aver atteso istruzioni.
“Affermazione, anche questa, assai sorprendente. A fronte di una mole di informazioni che arrivano dalle ong, le risposte sono poche e molto rare. Per altro, di fronte a una situazione di emergenza ed evidente difficoltà, non si può certo attendere all’infinito”.
Ci sono interlocuzioni anche con la Libia?
“Noi comunichiamo con tutti. Poi si dovrebbe chiarire cosa Tripoli faccia davvero. A inizio ottobre un nostro equipaggio ha incrociato una motovedetta, di quelle finanziate dall’Italia, con a bordo un gruppo di migranti e al traino un barchino in vetroresina. Lo stesso barchino che abbiamo intercettato nel Mediterraneo centrale qualche settimana dopo. Forse sarebbe anche ora di fare luce su connivenze tra una forza che l’Italia finanzia e i trafficanti”.
Le ong sono spesso accusate di essere un fattore di attrazione per le partenze dei migranti.
“Basta guardare i dati per smentire tale affermazioni. Solo il 14 per cento dei migranti arrivati quest’anno in Italia sono entrati a bordo di una nave delle ong”.
Le nuove direttive vi fermeranno o contate di tornare in missione?
“Continueremo a salvare vite come abbiamo sempre fatto. Torneremo in mare fra qualche mese con una nuova nave, migliore e più grande delle precedenti”.
Perché questo impegno nel Mediterraneo?
“Nella mia ultima missione è stato salvato un gruppo di siriani in fuga dalla guerra, tutti provenienti dallo stesso villaggio. Una comunità intera che avrebbe avuto diritto all’asilo. Sono passati sette anni dall’inizio della nostra missione e persone come queste sono ancora obbligate a rischiare la vita attraversando il mare. Siamo là anche per loro”.
(da agenzie)
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