JOBS ACT, RENZI METTE NEL MIRINO ANCHE GLI STATALI
LICENZIARE È POSSIBILE: L’IPOCRISIA DEL PREMIER
Sul Jobs Act il governo di Matteo Renzi ha deciso di sfoderare la formula del tridente.
Il premier al centro, i ministri Marianna Madia e Giuliano Poletti a sinistra, l’Ncd a destra.
È questa la fotografia che emerge dalle polemiche sull’estendibilità delle nuove norme agli Statali ormai nel mirino del governo.
Se, infatti, in due distinte interviste Poletti e Madia, ieri mattina, escludevano che il nuovo contratto a tutele crescente, con il corollario dell’abolizione dell’articolo 18, potesse essere esteso ai dipendenti pubblici, il presidente del Consiglio nella sua intervista a Qn è stato molto più sfuggente: “Sarà il Parlamento a pronunciarsi su questo punto, sollevato da Ichino” ha risposto Renzi al direttore del quotidiano.
“Esiste giurisprudenza nell’uno e nell’altro senso”.
Ma non sarà il governo a decidere. A febbraio, quando il provvedimento sul pubblico impiego firmato da Marianna Madia verrà discusso in Parlamento, saranno le Camere a scegliere. Non mancherà il dibattito, certo”.
Renzi assomiglia sempre di più al gatto che si diverte a giocare con il topo e quel rinvio al dibattito parlamentare assomiglia all’apertura di un nuovo fronte di guerra con il sindacato.
E assomiglia, anche, a una nuova sconfessione dei due ministri più esposti al contatto, e all’interlocuzione, con i sindacati.
Questa divaricazione tra le parole del premier e quelle del suo responsabile lavoro vengono impietosamente sottolineate dal senatore Pietro Ichino (già Pd, oggi Scelta Civica, giuslavorista tra i più noti) il quale ha pubblicato sul proprio blog una ricostruzione “segreta” del dibattito avvenuto a lato e dentro al Consiglio dei ministri che ha varato i decreti legislativi sul Jobs Act.
Secondo Ichino, infatti, “fino alla mezzanotte fra il 23 e il 24 dicembre” nel testo era presenta un comma che “ sostanzialmente escludeva l’impiego pubblico dall’applicazione della disciplina contenuta nel nuovo decreto”.
Quella esclusione è stata poi “espunta in extremis” generando quella dubbia interpretazione di cui si discute ora.
Il Pubblico impiego, infatti, è governato dal Testo unico del 2001 il quale stabilisce che gli Statali vanno equiparati ai dipendenti del settore privato, norme sull’articolo 18 comprese, anche se poi disciplina separatamente le norme sul licenziamento.
Se Renzi avesse voluto sgombrare il campo da ogni equivoco, sarebbe bastato ricordare questa realtà oppure, come ha fatto il responsabile economico del Pd, Filippo Taddei, dichiarare che la “volontà politica dell’esecutivo non è quella di estendere il Jobs Act agli Statali” .
Ma non l’ha fatto. Per la semplice ragione che il dossier resta aperto. E, come fa notare la Cgil, rimane sul tavolo in vista di ulteriori trattative con gli alleati di governo.
Pietro Ichino, ad esempio, ricorda ancora che nel testo approvato dal Consiglio dei ministri, è scomparsa all’ultimo istante una modifica dei contratti a termine, con la riduzione da 36 a 24 mesi della durata massima dei contratti precari.
Così come è scomparsa l’abolizione di contratti come l’Associazione in partecipazione o il lavoro intermittente, richieste esplicite della Cisl che Poletti aveva inserito nel testo e che, con ogni probabilità , ha dovuto sacrificare ai desiderata del Ncd di Alfano e Sacconi. Dallo stesso testo, infatti, è scomparso il riferimento allo “scarso rendimento” richiesto a gran voce da Maurizio Sacconi.
La trattativa, quindi non è ancora conclusa. Il governo dovrà varare ancora altri decreti applicativi, in particolare il “Codice semplificato” delle norme sul lavoro, l’oggetto più ambizioso di questa attività riformatrice.
Che ad oggi, come notava ieri il giuslavorista Michele Tiraboschi, non è certamente traducibile in inglese come Renzi aveva promesso circa un anno fa.
Chi non fa alcuno sconto al governo è Beppe Grillo che rilancia la difesa dei diritti del lavoro.
Sul suo blog, infatti, le nuove norme sono definite “le fregature crescenti”: “Tra qualche giorno iniziano i saldi, e il governo quest’anno propone la svendita del diritto al lavoro” scrive il leader del M5S.
“Nessuna tutela reale, ma solo un ristoro economico, vero ricatto morale che fa leva sulla fragilità di chi oggi non si può permettere di perdere il lavoro, di chi è costretto ad adeguarsi, per sopravvivere, al detto ‘pochi, maledetti e subito’”.
Salvatore Cannavò
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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