L’ATTIVISMO DEL VICEPREMIER CHE IRRITA MELONI E TAJANI
A PALAZZO CHIGI OGGI SUMMIT DI MAGGIORANZA: SUL TAVOLO ANCHE IL TERZO MANDATO E, SOPRATTUTTO, L’ATTIVISMO INTERNAZIONALE DEL LEADER LEGHISTA, UNA MINA VAGANTE NELLA MAGGIORANZA
Nessuno, finora, aveva mai avuto il coraggio di ammetterlo con tanta chiarezza: «Non riusciremo ad approvare il premierato entro la fine della legislatura».
Sarà che si sentiva al riparo da occhi indiscreti o dai taccuini dei cronisti, tra le mura amiche della segreteria nazionale di Forza Italia, ma il vicepremier Antonio Tajani ha usato parole nette. Il suo – come confermato a La Stampa da diverse fonti presenti all’incontro – è un passaggio rapido all’interno di un più ampio intervento.
Tutti però colgono immediatamente la portata di quella frase, nel centrodestra, mai sentita prima.
Che il percorso della “madre di tutte le riforme” fosse rallentato non è un mistero. Nel Palazzo se ne discuteva.
Solo un mese fa, però, la premier di fronte alle telecamere puntava i piedi: «Vorrei arrivare alle prossime elezioni con la riforma del premierato approvata e questo – spiegava nel corso della conferenza stampa di inizio anno – comporta una legge elettorale tarata sul premierato». Un desiderio, nessuna certezza. E infatti aggiungeva: «Se il premierato non dovesse arrivare in tempo, cosa che io non auspico, allora ci si interrogherà sull’attuale legge elettorale, se sia la migliore oppure no». Ora Tajani può solo esplicitare quel che è evidente: la riforma è finita su un binario morto. E con l’Autonomia ancora in alto mare, in piedi resta solo la sua bandiera, la separazione delle carriere.
Per il vicepremier e ministro degli Esteri, morta la riforma, non deve morire anche l’idea di modificare la legge elettorale. Nel suo partito ne stanno discutendo. «Se il centrosinistra andrà unito alle prossime elezioni – dice uno dei colonnelli di Forza Italia –, dobbiamo ridurre la parte maggioritaria della legge e rafforzare quella proporzionale, altrimenti rischiamo di perdere troppi collegi». La preoccupazione maggiore riguarda i territori meridionali, fortino del consenso azzurro. Tanto che i forzisti stanno organizzando gli “Stati generali per il Sud”, evento che dovrebbe tenersi in primavera.
Sulle modifiche da apportare alla legge elettorale non è detto che i Fratelli d’Italia e la Lega di Matteo Salvini siano d’accordo. Per parlarne però ci sarà tempo. Prima si devono sciogliere altri nodi. Già questa mattina i tre si vedranno. L’agenda, ufficialmente, recita “Sanità”. A Palazzo Chigi, Meloni incontrerà Tajani, Salvini e il ministro della Salute, Orazio Schillaci, assieme al titolare dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. Ma sul tavolo non c’è solo la riforma con cui diverse Regioni (specie quelle autonomiste) chiedono di stravolgere il sistema sanitario nazionale. Il confronto avverrà sull’intera gamma delle fibrillazioni che da giorni agitano gli alleati di governo.
La pace fiscale salviniana e il redivivo ius scholae azzurro, ad esempio. Ma pure il pressing sul terzo mandato e, soprattutto, l’attivismo internazionale del leader leghista.
La visita di Salvini in Israele ha suscitato un certo fastidio alla Farnesina, perché il leader leghista sembrava atteggiarsi da ministro degli Esteri e, più in generale, per il trumpismo ostinato con cui sta inaugurando il suo personalissimo nuovo corso.
«Dobbiamo stopparlo subito, prima che inizi a fare casino davvero» è il mantra attribuito alla premier che si intercetta a via della Scrofa.
Se i fantasmi del Papeete sembrano popolare le riflessioni a lunga gittata della prima linea dell’esecutivo, i riverberi della tensione impattano su una riforma – quella della sanità, appunto – su cui Meloni punta molto per strappare un’arma dalle mani di Elly Schlein.
(da La Stampa)
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