L’AVVENTURA POLITICA DELLA LEGA
IN LIBRERIA “RAZZA PADANA”, DOVE SI RACCONTA IL LUNGO VIAGGIO DELLA LEGA, TRA CRONACA E STORIA, DALLE ORIGINI AI GIORNI NOSTRI, TRA MITI, LINGUAGGI, FEDE E AFFARI… URLA ROMA LADRONA MA AMBISCE ALLE SUE POLTRONE… LA STORIA, IL FASCINO E LE CONTRADDIZIONI DEL PARTITO PIU’ VECCHIO D’ITALIA
La storia arriva sempre quando meno te lo aspetti. E’ il 1961 e un giovanotto lombardo che ricorda vagamente Nicola Di Bari, si presenta a Castrocaro, quello che allora era il festival degli sconosciuti. Il suo nome d’arte è Donato, non avrà molta fortuna, ma qualche decennio dopo entrerà a Palazzo Madama come Umberto Bossi.
E’ uno dei tanti aspetti raccontati nel libro “Razza Padana” ( Rizzoli, 11,50 euro) di Adalberto Signore e Alessandro Trocino, appena uscito nelle librerie. Gli autori, in questo saggio, raccontano la strana avventura leghista, scartabellando nella cronaca e nella storia, raccogliendo storie di raid notturni in autostrada con Bossi e Maroni che scrivono sui cavalcavia “Padania libera”. Ci sono le origini della Lega, un Bossi sessantottino che manifesta col pugno chiuso contro Pinochet. Ci sono le appropriazioni dei miti celtici, il linguaggio, la fede, l’arroganza di un leader che non ama il dissenso interno, i puri e gli intrallazzatori patentati, le idee e gli affari.
Interessante il giudizio espresso a suo tempo da Miglio che nutriva legittimi dubbi sulla cultura del capo: ” Non sono mai riuscito a capire quali letture abbia fatto il segretario: nella sua biografia sostiene di aver divorato 500 libri sul federalismo in pochi mesi e di aver letto Pareto, Weber, Adorno, Marcuse, Cattaneo, Gioberti, Hamilton. Ma nelle moltissime conversazioni che ho avuto con lui non ho mai trovato neanche la più modesta traccia di quei contatti intellettuali, fatta eccezione forse per qualche mal digerito ricordo di Marcuse. Mi ha inflitto sproloqui senza fine, in cui Hegel e Marx andavano e venivano come in un romanzo a fumetti”.
Più tardi Miglio aggiungerà : “Bossi è un ignorante sesquipedale, un mostriciattolo prodotto da un’avventura da analfabeta”. Anche il popolo leghista non è mai stato particolarmente attratto dalla cultura e dagli intellettuali.
Una ricerca dell’Aaster, fatta nelle leghistissime province di Bergamo e Lecco, individua come figura più odiata il bibliotecario comunale: ” Agli occhi del montanaro lumbard è la somma di tutte le ignominie: uno statale, un intellettuale, un parassita improduttivo” .
Secondo Paolo Rumiz “L’intellettuale per il leghista è una minaccia mortale, hanno paura che qualcuno gli smonti il mito e ne dimostri l’insussistenza. I miti, si sa, non si discutono, si difendono. Sono allergici all’analisi culturale”.
La Lega ha disegnato un’altra traiettoria rispetto alla destra italiana, alla quale non appartiene nè per storia nè per cultura. Il suo punto di riferimento principale è Carlo Cattaneo, padre del federalismo, che avrebbe voluto trasformare l’impero austriaco in una sorte di Commonwealth plurinazionale, con una Lombardia autonoma…
Scrisse impietoso Montanelli: ” Se il colto Cattaneo sentisse parlare Bossi, imbraccerebbe il fucile: ma per sparare contro di lui e i suoi squadristi”. In piccolo anche noi abbiamo sostenuto che se i Celti potessero ritornare in terra, accompagnerebbero molti leghisti a calci in culo dal Monviso alla foce del Po…
L’unica persona colta nella Lega è Mario Borghezio, anche se può sembrare una contraddizione con certe sue affermazioni e modus operandi. Di formazione evoliana e guenoniana è invece studioso della tradizione, bibliofilo, gran conoscitore dell’astrattismo e del surrealismo. Presidente della Fondazione federalista, nel giugno 2007 portò alla luce un documento che è un tentativo di elaborazione di un pantheon di riferimento per la Weltanschauung leghista.
Comprendeva ottantadue nomi che intrecciano autori di temi identitari, federalisti e cattolico-tradizionalisti ( da Miglio a Zavattini, dalla Fallaci anti-Islam a Simone Weil, da Junger a Pavese, da Hugo Pratt a Luigi Einaudi, da Carducci a Bobby Sands).
Un “cenacolo” liquidato da Calderoli con la frase: ” Mi pare una macedonia”, che ben interpreta l’anima leghista maggioritaria, che non prevede alcun retaggio culturale, ma bassa cucina politica.
E possibilmente fare affari remunerativi con la Roma ladrona, testimoniata dalla presenza ai vertici leghisti di una lobbie affaristica ben consolidata nei ruoli chiave.
Non a caso sono decine e decine gli esponenti di alto livello che hanno abbandonato disgustati via Bellerio una volta che si sono resi conto della realtà , con scissioni anche dolorose e il proliferare di piccole liste autonomiste locali.
L’ignoranza non sempre paga… e governare non vuol dire “occupare i posti di potere”. Concetto estraneo ai “duri e puri” del Carroccio.
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