LE DOMENICHE DEL RAGAZZINO TREDICENNE DENTRO I CASSONETTI
“BAMBINO” CERCA CIBO E OGGETTI NEI CASSONETTI E SOGNA DI DIVENTARE POLIZIOTTO
Che cosa vuoi fare da grande Bambino? «Il poliziotto. Sì il poliziotto. Mi piace. È bello, sai, fare il poliziotto».
Perchè? «Perchè aiuta la gente e poi arresta i cattivi».
In questa storia non ci sono nomi di persona, perchè Bambino ha soltanto 13 anni.
E tutti i fine settimana fa una cosa che nessun altro suo coetaneo fa.
Se ne va in giro per la città con un vecchio portaspesa di tela blu e una zia dall’età indefinita a frugare nei cassonetti dell’immondizia a caccia di qualcosa che abbia un valore.
Come queste tortine ricoperte di crema al cocco, scadute da qualche giorno, che lui tira fuori dal cassonetto dell’immondizia davanti ad un bar di via Nizza.
Le aggancia con un ferro piegato a forma di «L», le afferra e le infila nel borsone a rotelle blu. E se sono scadute poco importa: «Credimi, sono ancora buone: la data è solo quella di una settimana fa».
Bambino è fatto così, non ha paura di parlare e di raccontare la sua miseria.
Bambino è rom. Figlio di rom. Fuggito da quella bidonville che le ruspe hanno cancellato quasi due anni fa in lungo Stura Lazio.
Portato via da una mamma saggia che non voleva crescesse lì, in mezzo ai topi e alla miseria. Con un destino segnato.
Papà coinvolto in un incidente. Tre fratelli più piccini. Una storia come tante. In una città dove i rom sono più di mille. Dove c’è un campo-vergogna in via Germagnano nel quale topi e umani condividono gli stessi spazi, all’aperto e al chiuso.
E i bimbi rom a scuola ci vanno se – e quando – capita. Nonostante i controlli, le insistenze, la pazienza infinita di maestre e professori.
Bambino no. Lui è differente.
Bambino vive in un paese a quaranta chilometri da quell’inferno. Va a scuola tutti i giorni. E ha un sogno: «Voglio fare il poliziotto».
Ti piace studiare? «Sì, tanto. E mi piace la matematica. E pure scienze. Sai che la professoressa mi ha messo 9 di matematica?» E in Italiano come vai? «Bene, ma un po’ meno. Tra il sette e l’otto. Ma studio. E faccio tutti i compiti, sempre».
Giocare? Se c’è tempo e se ci sono giochi si può fare. Magari con i fratelli, magari con gli altri compagni di scuola dietro un pallone o giù per una strada nel paese che lo ha accolto senza sapere nulla di lui, del suo passato, dei suoi fine settimana al campo dove vivono i parenti. Ogni weekend: dal venerdì alla domenica sera.
Poi via, verso l’altra vita, dopo aver passato la giornata a infilarsi nei cassonetti a caccia di qualcosa che abbia un valore.
Bambino è così. Più forte delle sue origini. Più determinato di questa zia che adesso si accende l’ennesima sigaretta e sorseggia un caffè spillato dalle macchinette automatiche nei «negozi frigo» di via Nizza.
«Lo vedi questo peluche? L’ho trovato prima. È ancora bello. Possiamo anche andare a rivenderlo».
A chi, Bambino? Lui alza le spalle: «Ovvio, al Balon». Dove adesso c’è sua madre che vende gli stracci. Ce l’hai una fidanzatina? «No, dai. Non ancora. È presto».
Ma non così presto per essere già grande da aver capito che, senza quella caccia – che non è un gioco, e lui lo sa – i sui fratellini non mangiano.
Perchè i soldi che sua mamma mette insieme facendo le pulizie non bastano mai.
Perchè quelli che il nuovo papà porta a casa facendo l’elettricista sono pochi.
E allora meglio infilarsi nei bidoni dell’Amiat, sfidare le facce schifate di chi gli sfila accanto, e rompere con le dita piccine le borse di plastica per vedere se dentro c’è un tesoro o solo bucce di patate e resti di pranzi.
Bambino sei felice? «Sì, perchè?»
Tra quindici giorni è Natale, lo festeggi? «Certo, sono di religione ortodossa, io. E prego anche».
Si aggiusta il cappellino nero. Si passa le mani sui pantaloni ormai lerci.
Stende la destra: «Ciao, ora vado. Ho da fare». Cosa vorresti come regalo di Natale? Spalanca gli occhi: «Non so». Realizzare il tuo sogno? «Sì, fare il poliziotto».
Lodovico Poletto
(da “La Stampa”)
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