LEGA, TREGUA ARMATA NEL CONSIGLIO FEDERALE, SALVINI DETTA LA LINEA, GIORGETTI (PER ORA) SI ADEGUA
TANTO CI PENSERANNO GLI ELETTORI A MANDARE A CASA SALVINI, ORMAI LA LEGA E’ IL TERZO PARTITO … QUANDO SALTERA’ UN PARLAMENTARE SU TRE LO INSEGUIRANNO CON I FORCONI
Nella Lega scocca l’ora della tregua armata. Salvini-Bud Spencer non fa volare cazzotti, gli basta mostrare il pugno di ferro.
Il duello all’Ok Corral di cui c’erano tutte le premesse si squaglia nel corso del lungo consiglio federale, che finisce a sera inoltrata.
Sotto 50 minuti di discorso a braccio di Salvini, che impone la sua linea e soprattutto la collocazione in Europa “alternativa alla sinistra, di cui il Ppe è subalterno, avanti per un grande gruppo identitario e conservatore”.
Scelta antitetica alla prospettiva di Giorgetti, che però si allinea. Seguono infatti una serie di interventi – a partire proprio dal ministro dello Sviluppo Economico – che, secondo fonti vicine al segretario, “ribadiscono totale fiducia nell’attività, visione e strategia” salviniana. Tra questi il governatore veneto Zaia: “Siamo qui grazie a Matteo, i voti li prende lui”. Mentre Fedriga si tiene sul tecnico, alla larga dalla politica.
L’operazione muscolare ha funzionato. Del resto, la convocazione urgente del “parlamentino” era nata con quell’obiettivo: contarsi, isolare il dissenso, definire il perimetro. Sfruttando l’irritazione di molti per il “picconamento nel momento sbagliato” e contando sul sostegno, quantomeno in chiave attendista, dei governatori. Salvini si aggiudica questo round: “Ascolto tutti e poi decido io, come sempre. Credo che questa linea della Lega sia vincente”.
Pochi però credono alla pace, lo scontro è rimandato. A data però da destinarsi. Giorgetti gioca un’altra partita su tempi più lunghi: si sfila dall’agone, non offre il fianco alle lame. Che “comanda Matteo” l’ha sempre detto, e gli rinnova la “fiducia”.
Nel palazzo dei gruppi di Montecitorio, ci sono quasi 40 partecipanti tra presenti e video-collegati per tre ore. I “duellanti” arrivano separatamente. Salvini accompagnato dai vice Crippa e Lorenzo Fontana entra dall’ingresso principale. Giorgetti arriva poco dopo, alla fine del consiglio dei ministri, dall’ingresso secondario collegato a Palazzo Chigi. La divisione dei ruoli è (anche) plastica.
Il leader insiste sull’unità del centrodestra nella fase che tra poco porterà al voto per il Quirinale, con la coalizione stavolta in grado di prevalere numericamente. Fa un appello per serrare i ranghi: “Non gettiamo benzina sul fuoco”.
Chiede “massimo impegno” in vista della Legge di Stabilità, sarà battaglia per la proroga del forfettario per le Partite Iva e contro il reddito di cittadinanza.
Annuncia le date della conferenza programmatica – 12 e 12 dicembre a Roma – per “decidere su quali binari viaggiare”. Ma l’antipasto è corposo, il congresso depotenziato.
Il clou riguarda l’Europa, il grande punto di frizione con Giorgetti, la svolta “incompiuta” che rischia di far deragliare il convoglio leghista sul “binario morto”.
E’ evidente che il numero due di via Bellerio non è riuscito – come si proponeva – a “far ragionare” il suo capo: “Avanti per un grande gruppo, identitario, conservatore e di centrodestra, alternativo ai socialisti con cui il Ppe governa insieme da anni”. Salvini pattina in equilibrio, non pronuncia i nomi degli alleati.
Gli aggettivi – identitario e conservatore – richiamano i nomi delle due formazioni di cui fanno parte Lega e Fdi a Strasburgo.
Tutti capiscono che il cantiere con Fidesz e il Pis polacco è la stella polare, la rotta è tracciata, la tela tessuta da Giorgetti con i Popolari soprattutto tedeschi, con Bruxelles, da ultimo con Washington, è irrimediabilmente strappata.
Oggi applaudono in coro, i conti si faranno più avanti.
L’ex deputato leghista Gianluca Pini twitta al vetriolo: “Piena fiducia” è un po’ come “stai sereno”.
(da Huffingtonpost)
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