LICENZIATI DA SILVIO, NON AVRANNO LA CASSA INTEGRAZIONE
I 43 DIPENDENTI DEL PDL DOVEVANO ACCEDERE AGLI AMMORTIZZATORI SOCIALI MA, A CAUSA DI DIMENTICANZE DEI VERTICI, NON VEDRANNO UN EURO
Erano stati licenziati con la promessa di una cassa integrazione che sarebbe durata un anno e che avrebbe comportato l’erogazione dell’80 per cento dello stipendio.
Ma i 43 ex dipendenti del Popolo delle Libertà , nonostante l’accordo firmato il 2 ottobre 2014 al ministero del Lavoro, non hanno mai visto un centesimo e rischiano anzi di non ricevere nulla.
Il motivo è paradossale.
Il Pdl non ha presentato la documentazione per sfruttare i benefici del decreto legge 149 (voluto del governo di Matteo Renzi e convertito dal Parlamento nel dicembre 2013) che abolisce il finanziamento pubblico ma consente ai partiti politici, equiparati non senza qualche forzatura alle aziende, di accedere alla cassa integrazione.
Alle forze politiche erano richiesti giusto un paio di passaggi: presentare lo statuto, certificare il bilancio e chiedere alla ‘Commissione di garanzia per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti politici’ l’iscrizione all’apposito registro.
Lo hanno fatto quasi tutti, compresa Forza Italia. Il nome del Pdl, invece, non risulta nè nell’elenco 2014 e neppure in quello del 2015.
Così il partito che Silvio Berlusconi fondò a Milano nel 2007 salendo sul predellino della propria auto si ritrova in una condizione imbarazzante: ha garantito a 43 ex dipendenti (30 nella sede di Roma, 12 in quella di Milano e 1 a Catanzaro) la cassa integrazione senza avere i titoli per farlo. Da qui l’impossibilità di dare seguito al decreto di accoglimento, firmato del direttore generale del ministero del Lavoro.
La patata bollente passa ora nelle mani all’Inps, l’ente preposto a svolgere le opportune verifiche prima di dare il via libera all’erogazione del denaro.
Secondo l’avvocato David Satta Mazzone, che tutela gli interessi di Maria Grazia Vaticano (a lungo impiegata nella sede milanese del Pdl in viale Monza), “la richiesta di cassa integrazione non potrà aver seguito, se non in palese violazione di legge. Da ricerche svolte si evince che il Popolo della Libertà non è iscritto nel registro nazionale dei partiti politici riconosciuti ai sensi del decreto legge 149/2013. Eppure la normativa è chiara: ‘L’iscrizione e la permanenza nel registro sono condizioni necessarie per l’ammissione dei partiti politici ai benefici ad essi eventualmente spettanti’. Risulta quindi che il Pdl non abbia assolutamente i requisiti per accedere alla cassa integrazione”.
In altre parole, secondo il legale dell’ex dipendente Pdl, è stato fatto un uso improprio della legge, causando un danno irreversibile a tutti i lavoratori licenziati nell’estate 2014.
Al punto che gli stessi ex dipendenti stanno valutando l’ipotesi di una class action contro i vertici del partito di Berlusconi, chiamando in causa anche il governo, dal momento che “desta grande perplessità — si legge in una nota inviata dall’avvocato Satta Mazzone al ministero del Lavoro — la disinvoltura con cui, in sede di sottoscrizione del verbale datato 2 ottobre 2014, la pubblica amministrazione abbia esplicitamente dato il proprio benestare all’accordo dichiarando ‘esperita e conclusa con esito positivo la procedura di licenziamenti collettivi’, mentre il ministero avrebbe dovuto farsi garante della legge e dei lavoratori, respingendo gli utilizzi distorti degli ammortizzatori sociali”.
Capire chi, ai vertici del Pdl, ha combinato questo pasticcio è impresa titanica.
Rocco Crimi, fiduciario di Berlusconi ed ex tesoriere nazionale del partito, fa sapere di essere all’estero e chiede di ricevere le domande via mail. Detto fatto.
La risposta giunge nel giro di qualche giorno tramite il legale di Forza Italia, Ignazio Abrignani, che in passato è stato il responsabile nazionale dell’ufficio elettorale del Pdl: “Per accedere alla cassa integrazione ordinaria occorre essere iscritti all’apposito registro, è vero. Tuttavia un norma transitoria estende questo diritto anche ai partiti che non hanno effettuato l’iscrizione ma che hanno ricevuto rimborsi elettorali fino al 2013. Riteniamo che il Pdl rientri in questa casistica”.
Però c’è solo un problema: la cassa ordinaria, se si possiedono i requisiti, è un diritto; quella straordinaria è una concessione del governo sulla base di verifiche e di valutazioni discrezionali. Perchè il Pdl, pur potendolo fare, non si è mai iscritto al registro?
Perchè correre il rischio di vedersi respingere la domanda di cassa integrazione?
Abrignani è tranchant: “Iscrivere al registro sia Forza Italia sia il Pdl non sarebbe stato politicamente opportuno e neppure trasparente nei confronti dei cittadini”.
Tesi confermata da Maurizio Bianconi, ultimo tesoriere del Pdl: “A me e a Crimi fu data disposizione da Berlusconi di non procedere con l’iscrizione del partito nel registro. Non so altro, se non che il Pdl fu da me sempre ben amministrato: basta leggere i bilanci e le certificazioni della Kpmg”.
Più articolato il parere di Claudio Pennacchio, colui che firmò l’intesa coi lavoratori al ministero del Lavoro il 2 ottobre 2014: “Mi sono occupato di portare a termine l’accordo e il decreto ministeriale di approvazione del 25 marzo 2015 è la riprova del mio buon lavoro. Il Pdl non ha consegnato la documentazione per iscriversi al registro che assegna ai partiti la possibilità di accedere alla cassa integrazione ordinaria? Non so che dire, non era certo mio compito”.
Di errori e distrazione, questa vicenda, è piena zeppa.
Quello più clamoroso risale al luglio 2014, quando il partito di Berlusconi sbagliò a compilare i primi documenti per chiedere la cassa integrazione.
Le cronache narrano che al ministero del Lavoro si presentarono Giancarlo Vescovi e la deputata Maria Rosaria Rossi, l’unica ammessa a sedersi al tavolo della trattativa in qualità di rappresentante del Pdl. Ma non fu possibile siglare l’intesa per avviare i licenziamenti, perchè la documentazione presentata fu giudicata lacunosa.
Così il Pdl dovette continuare a pagare gli stipendi ai suoi 43 dipendenti per altri 3 mesi. Un lavoratore, in media, costava al partito 3 mila euro al mese.
Risultato: un esborso non previsto di quasi 390 mila euro.
Poi l’accordo del 2 ottobre fece tornare il sereno. Per poco, dal momento che i dipendenti non hanno mai beccato un soldo in 7 mesi, pur ricevendo a casa un curioso cedolino: l’indicazione dello stipendio ma nessuna cifra nella casella “netto a pagare”, proprio perchè in attesa della cassa integrazione.
Se però il Pdl non ha titolo per fruire degli ammortizzatori sociali, quelle buste paga sono illusorie.
E i 43 ex dipendenti aspetteranno invano l’attuazione degli accordi sottoscritti. Abrignani getta acqua sul fuoco: “I tempi della cassa sono sempre lunghi, ma sono convinto sia che il Pdl abbia i titoli sia che i soldi arriveranno dopo l’estate”.
Intanto gli ex lavoratori più fortunati, circa una trentina, si sono ricollocati in Forza Italia oppure, grazie alle amicizie politiche, sono finiti in Regione Lombardia con un contratto o una consulenza.
Come Ugo Fornasari, già autista dell’ex ministro Mariastella Gelmini: nel 2015 ha cominciato a lavorare al Pirellone, ma il suo incarico e il suo compenso non sono ancora stati resi pubblici.
O come Clotilde Strada, passata dal partito al Pirellone al seguito dell’ex consigliere Nicole Minetti e poi rimasta in Regione nonostante abbia patteggiato una condanna a 18 mesi per le firme false del listino dell’ex governatore Roberto Formigoni.
Poi c’è chi, lasciato il Pdl, lavora al Pirellone dal 2014, come Marco Bianchetti (25 mila euro l’anno per “tenere relazioni con i cittadini che interpellano l’assessorato alla Sanità ”) o Teresa Picerno, la quale con in tasca un diploma all’istituto tecnico da “operatrice d’ufficio” si porta a casa 38 mila euro per “curare i rapporti con gli organi del consiglio lombardo, con i soggetti sanitari del territorio e con le università ”.
Va de sè che i 43 ex dipendenti disoccupati, alcuni dei quali con curriculum di tutto rispetto, abbiano il dente avvelenato con chi, spesso senza competenza, è stato catapultati in Regione o in qualche società partecipata.
Eppure il Pdl, una soluzione signorile, ce l’avrebbe a portata di mano.
L’ex tesoriere Bianconi, infatti, rivela che il partito è ancora in vita ed è pure molto liquido: “Da miei calcoli, pagati tutti i debiti, avanzano 300 mila euro”.
Con quel denaro (anche se Abrignani ritiene che i conteggi siano troppo ottimistici) si potrebbero risarcire i dipendenti, tanto più se non riceveranno la cassa integrazione.
Ma Bianconi si è dimesso dal suo incarico, non ha aderito a Forza Italia ed è tornato ad Arezzo, dove fa l’avvocato.
E quei soldi come verranno utilizzati da un partito defunto che non ha più sedi nè dipendenti e che non svolge attività politica?
“Non ne ho la più pallida idea. So soltanto che ci sono”
Ersilio Mattioni
(da “‘L’Espresso”)
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