LO SCAZZO CON LA FRANCIA? UN’ITALIA DEBOLE A BRUXELLES È FACILMENTE AGGREDIBILE DAI MERCATI FINANZIARI
CI SONO DOSSIER DELICATI CHE L’EUROPA DOVRÀ ESAMINARE NEL 2023: GLI AIUTI ALLE IMPRESE SARANNO SUL TAVOLO DEL CONSIGLIO EUROPEO DEL PROSSIMO MESE… LITIGARE CON FRANCIA E GERMANIA SIGNIFICA ANCHE NON RICEVERE AIUTO SU QUEL FRONTE DECISIVO PER IL NOSTRO DEBITO PUBBLICO. I TASSI SONO GIÀ IN CRESCITA, SERVONO PIÙ SOLDI PER FINANZIARE I TITOLI DI STATO
Il giorno dopo il Consiglio europeo le Cancellerie di mezza Ue iniziano a interrogarsi su quale sia il vero volto di Giorgia Meloni. Un autorevole esponente diplomatico di un Paese nordico ripete : «Litigare con Francia e Germania non porta mai risultati. Solo isolamento e irrilevanza». E lei deve decidere se entrare nel gruppo dei “grandi” o in quello dei “piccoli”.
Il punto è che la leader di FdI si trova sempre su quel crinale sottilissimo tra affidabilità e inaffidabilità. E consegnarsi ad un giudizio negativo è il modo peggiore per tutelare l’interesse nazionale. Lo è semplicemente perché l’Italia per una serie di condizioni oggettive – a cominciare dal debito pubblico – non ha abbastanza forza per contrapporsi agli alleati più strutturati.
La stessa Meloni ha spiegato esplicitamente che il suo raccordo principale è con i capi di governo di questo gruppo: il polacco Morawiecki e il ceco Fiala. L’opzione “Visegrad” automaticamente la inserisce nel novero dei “piccoli”. Conseguenza: l’irrilevanza. Incapacità di incidere nei momenti più delicati. Un vero e proprio “downgrading” per un Paese che comunque è tra i fondatori dell’Unione, è la seconda manifattura europea e ha un numero di abitanti pari alla Francia.
«Se lei pensa di mettersi alla testa di questo gruppo – osserva il rappresentante di un paese “frugale” storicamente vicino alla Germania – senza nemmeno creare un’intesa con i Popolari, allora sbaglierà di grosso».
Anche perché con Varsavia e Praga non ci sono interessi convergenti ad eccezione della linea sulla guerra in Ucraina. Dal punto di vista delle convenienze nazionali, l’Italia ha bisogno di confrontarsi e dialogare con la Francia e la Germania. La via preferenziale con i capi Conservatori crea un cortocircuito rispetto all’immagine che Palazzo Chigi aveva tentato di costruire a Bruxelles in questi mesi
Anche la distanza che costantemente viene messa rispetto al suo predecessore Mario Draghi è orientata in primo luogo a rassicurare il suo elettorato e la sua opinione pubblica più che a coltivare l’interesse nazionale. Tutto questo rischia di riflettersi su alcuni dei dossier più delicati che l’Europa dovrà esaminare nel 2023. Gli aiuti alle imprese saranno sul tavolo del consiglio europeo del prossimo mese. L’estensione del ricorso agli aiuti di Stato è però già una sconfitta per l’Italia. Che non potrà pareggiare le risorse che Berlino e Parigi sono in grado di immettere nel tessuto imprenditoriale.
E poi c’è la gigantesca partita della riforma del Patto di Stabilità. Litigare con Francia e Germania significa anche non ricevere aiuto su quel fronte decisivo per il nostro debito pubblico. Anzi, proprio le casse dello Stato rappresentano il nervo scoperto che tutti gli “avversari” dell’Italia o del premier di turno vanno a sollecitare. I tassi sono già in crescita, servono più soldi per finanziare i titoli di Stato.
E ancora di più nei prossimi mesi visto che gli acquisti della Bce sono in via di esaurimento. Il programma App – iniziato nel 2014 – ha già sospeso i nuovi acquisti netti. Il Peep lo farà il prossimo anno. Un problema in più per il nostro Paese. E una possibilità in più per la speculazione. Soprattutto se la lite in Europa fosse permanente. Un’Italia debole politicamente a Bruxelles è anche un’Italia facilmente aggredibile dai mercati finanziari.
(da La Repubblica)
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