LO STORICO FRANCO CARDINI: “TELEMELONI E’ LA VARIABILE DI DESTRA DELLA DERIVA DEL POLITICAMENTE CORRETTO”
“GLORIFICARE LA TOLLERANZA PORTA A QUESTO”
Lo storico Franco Cardini è un cultore della provocazione, nulla, guardato in controluce, è come sembra. Sulla censura, però, è netto. «Se davvero basta evocare Matteotti per essere silenziati, altro che 1924» dice a La Stampa. Che ci sia dietro Giorgia Meloni però, non lo convince. Pensa piuttosto al bavaglio come deriva del politicamente corretto e come iniziativa degli «ipermeloniani, collaboratori senza cultura».
Dopo Saviano, le polemiche post Sanremo, il caos sulla par condicio. Adesso il caso Scurati. Era davvero così pericoloso il suo monologo?
«Non trovo spiegazioni alla censura, sono in disaccordo con Scurati su molte cose ma il punto grave oggi è la censura. Si sta verificando purtroppo quel che prevedevo da tempo. Temevo che la via del politically correct avrebbe fatalmente portato ad azioni censorie. Quando si glorifica la tolleranza, quando si punta alla perfezione e a una società irreprensibile, quando si crea un sistema in cui, com’è da alcuni anni da noi, diventa impossibile mancare di rispetto a qualcuno si finisce automaticamente con la censura. È il tragico destino delle utopie, basti pensare che con le migliori intenzioni gli illuministi hanno combinato la rivoluzione francese…».
La responsabilità insomma non è di Telemeloni ma del politicamente corretto?
«Telemeloni è la variabile di destra della deriva del politicamente corretto. Come si è badato finora a evitare le posizioni troppo filopalestinesi, quelle troppo filoputiniane, ora magari c’è chi vuole evitare quelle troppo antifasciste per non offendere chi, secondo loro, cadde per ideali sbagliati ma con onestà. Comunque non credo che Telemeloni sia attribuibile a Meloni ma agli ipermeloniani che sfortunatamente le stanno intorno, e collaboratori senza alcuna cultura».
Chi li ha scelti, se non lei
«È possibile che non abbia neppure scelto i peggiori, la qualità media della politica è finita così. Ormai, con l’eccezione del tema fascismo, sinistra e destra dicono le stesse cose, dall’Ucraina che è aggredita a Israele che non si può definire aggressore, il pensiero unico galoppa. La sola vera distinzione è tra alto e basso. Allora provocatoriamente dico viva il fascismo, l’unica occasione in cui ci si può ancora differenziare politicamente e discutere».
Gli atenei sono in piazza contro quella che definiscono l’aggressione israeliana e il 25 Aprile sarà dedicato alla Palestina. Non proprio il pensiero unico di cui parla.
«Sì ma anche lì, a fronte della strage dei palestinesi, si chiede continuamente di riaffermare il diritto di Israele a esistere e a difendersi. Io non credo che a Gaza sia in corso un genocidio, perché conosco il significato delle parole, ma è un’autentica strage di cui i media faticano a additare il responsabile».
I media, ossia i politici di cui sono ostaggio?
«I media sono ostaggio dei politici, è vero. E mi meraviglia che la sinistra, che fino a ieri ne ha tenuto le redini, non sappia che la tv di Stato è da sempre “lottizzata” e che in questa fase, in virtù del successo del partito di Meloni, pende da una parte non consueta. Su questo, la ridicola censura di Scurati non ha elementi di novità».
Il monologo di Scurati partiva da Matteotti, assassinato dai fascisti cento anni fa. La Rai si è tirata indietro. Riuscirà Giorgia Meloni a pronunciare la parola antifascista?
«Penso che l’antifascismo non sia un concetto chiaro perché ce ne sono tanti e incompatibili fra loro: il fascismo per esempio, aveva cose in comune con il socialismo che era però antifascista. Detto ciò, bisogna chiedere a Meloni e ai suoi. Non ho visto da parte di questo governo grandi progetti di revisione del fascismo o moti di interesse che non siano il richiamo a farne oggetto di studio storico. Dopodiché se il caso Scurati non fosse appunto un caso ci sarebbe da preoccuparsi, se davvero basta evocare Matteotti per essere silenziati altro che 1924…» .
Torniamo al 25 aprile: molti lo dedicheranno alla Palestina, gli ucraini sfileranno con la brigata ebraica, i radicali marceranno per le iraniane. Di chi è la festa quest’anno? Degli italiani, di tutti i popoli in lotta per la propria autodeterminazione, di qualche popolo e qualche altro no?
«Nonostante le apparenze, il 25 Aprile è una fenomenologia che si adatta a tutte le manifestazioni delle libertà postmoderne che iniziano dal complesso della cultura woke (il risveglio contro le discrimimazioni razziali, ndr) e finiscono con il distruggere i monumenti dedicati a Colombo e denunciare qualsiasi allusione sessista. È la modernità al capolinea, la vittoria assoluta e progressiva dell’individualismo certo che quanto pensa, sebbene spesso senza argomenti, sia giusto. L’esito è la legge della giungla, con tanto di situazioni contraddittorie come gli ucraini che vogliono sfilare il 25 Aprile con gli ebrei che hanno contribuito a sterminare».
Se è per questo, anche il mufti di Gerusalemme stava con l’asse nazifascista
«Certo. Ma a Gaza oggi hanno più in mente il presente che la storia e, al presente, qualsiasi palestinese sopra i dodici anni portato a Tel Aviv ammazzerebbe tutti. Sono inviperiti, altro che buoni. Ed è il risultato della politica del governo israeliano, responsabile anche del nuovo antisemitismo».
Ha ragione la comunità ebraica: torna l’antisemitismo?
«Assolutamente sì. Ma non è basato sull’ideologia delle svastiche, al netto di pochi imbecilli criminali antisemiti sul serio. In gran parte è sdegno nei confronti di un Paese che passa per essere una democrazia e è guidato da un mascalzone».
C’è un po’ di antiamericanismo negli atenei che, prima ancora del 25 Aprile, si sono votati alla causa di Gaza?
«Da ex sessantottino guardo le proteste degli universitari come un ’68 venuto male. Allora c’era un’elaborazione, si discuteva. Oggi gli atenei, pur partendo dallo sdegno per la sorte dei palestinesi che sul piano ideologico posso anche condividere, producono solo atti di violenza. E il teppismo, su questo sono d’accordo con Meloni, non va tollerato. Quanto all’antiamericanismo c’è una letteratura infinita e ormai da decenni è più patrimonio della sinistra che della destra».
(da lastampa.it)
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