LO STRAPPO DI SALVINI COSTA 23 MILIARDI DI AUMENTI IVA
A RISCHIO QUOTA 100 E REDDITO DI CITTADINANZA
Al Quirinale l’alternativa è chiara da ore: tornare al voto farebbe scattare l’aumento dell’Iva e porterebbe per la prima volta l’Italia all’esercizio provvisorio.
Uno spettro che Sergio Mattarella cercherà di evitare in ogni modo, consapevole che i margini di manovra sono ridotti al minimo.
Al di là delle dichiarazioni di facciata e della Tav utilizzata come casus belli ad hoc, a far cadere il governo è l’impossibilità di realizzare la legge di Bilancio promessa da Lega e 5 Stelle.
Per mantenere “quota 100” e il reddito di cittadinanza, nel Def si legge che servono oltre 113 miliardi in tre anni, quasi 38 miliardi solo per l’anno prossimo. Soldi che non ci sono come ha fatto chiaramente capire il ministro dell’Economia, Giovanni Tria.
A meno di non voler andare alla scontro frontale con l’Unione europea portando il deficit oltre il 3%, riducendo l’avanzo primario e spingendo alla stelle il debito. Aprendo la strada a una procedura d’infrazione.
Tradotto: Matteo Salvini non ha alcuna intenzione di prendersi davanti ai suoi elettori la responsabilità non essere riuscito a portare a casa la flat tax, di non aver sterilizzato l’aumento dell’Iva e di non aver ridotto la pressione fiscale.
Insomma, per non doversi rimangiare la parola, il ministro dell’Interno ha deciso di lasciare la barca con la segreta speranza che qualcuno abbia il coraggio di fare una legge di Bilancio “lacrime e sangue” per approfittarne in chiave elettorale.
A dettare i tempi sarà comunque il Quirinale che non ha alcuna intenzione di forzare i tempi del Parlamento. Motivo per cui difficilmente si voterà prima del 27 ottobre: nelle migliore delle ipotesi il nuovo governo — se ci fosse una maggioranza chiara — potrebbe giurare a inizio dicembre, fuori tempo massimo per approvare la legge di Bilancio (è escluso che il governo in carica decida di vararla prima dello scioglimento delle camere).
Di conseguenza bisognerà fare i conti con tutte le scadenze di fine anno. Per sterilizzare l’Iva servono 23 miliardi di euro: il ministro dell’Economia sarebbe in realtà favorevole a un aumento selettivo dell’imposta per finanziare un taglio dell’Irpef, ma non è mai riuscito a convincere Salvini e Di Maio.
E così nel Def ha lasciato aperte tutte le porte: un governo in carica per l’ordinaria amministrazione non potrebbe disinnescare le clausole mettendo in crisi i già deboli consumi.
Ma non c’è solo l’Iva a turbare i sogni del Quirinale. Dal punto di vista industriale rischia di saltare il salvataggio di Alitalia, mentre Atlantia può tirare un sospiro di sollievo perchè con ogni probabilità non rischierà di perdere la licenza sulle autostrade. Il vero nodo riguarda i mercati: “Per gli investitori internazionali non è più una questione di se l’Italia ristrutturerà il debito, ma di come e quando questo accadrà . Si diffonde il comune sentire che il Paese sia spacciato” aveva detto al Festival dell’Economia di Trento l’ex ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan.
Lo spread è tornato a salire anche perchè a tenerlo sotto controllo, oltre alla Bce, erano le rassicurazioni di Tria che nella lettera alla Ue scrisse: “L’avanzo va migliorato gradualmente” tracciando così un sentiero gradito a Bruxelles. Con circa 150 miliardi di titoli di Stato da rifinanziare entro fine anno, l’aumento dello spread è destinato a tradursi in un nuovo salasso per le casse dello Stato.
La fine del governo oltre a rinviare sine die il taglio delle tasse mette — per l’ennesima volta — in pausa “l’opera di revisione della spesa pubblica con l’obiettivo di ridurre il rapporto fra spesa corrente e PIL e di aumentare la spesa per investimenti” come scritto nel Def. Per gli addetti ai lavori, la legge di Bilancio è un “provvedimento decisivo per il futuro del Paese”, ma nessuno sembra volersene assumere la paternità .
(da agenzie)
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