L’OCCIDENTE DEI VILI ASSISTE INERTE ALL’ASSASSINIO DI UN MARTIRE CHE NON HA VOLUTO SVELARE DOVE AVEVA NASCOSTO I REPERTI DI PALMIRA
ONORE A KHALED AL-ASAAD, L’ARCHEOLOGO CUSTODE DECAPITATO DAI TAGLIAGOLE DELL’ISIS
Khaled al-Asaad, il direttore del sito archeologico di Palmira decapitato e appeso a un palo della luce dai jihadisti dello Stato islamico, si è rifiutato di indicare ai suoi aguzzini i luoghi in cui sono stati nascosti importanti reperti romani prima dell’occupazione della città da parte dell’Isis.
Lo ha riferito al quotidiano britannico The Guardian Chris Doyle, direttore del Council for Arab-British Understanding, citando una fonte siriana.
L’82enne Asaad, dopo essersi preso cura per circa cinquant’anni dei tesori archeologici della “Sposa del deserto”, com’è soprannominata la città patrimonio dell’Unesco, avrebbe così compiuto il sacrificio estremo: andare incontro a una morte atroce, pur di salvare i gioielli di Palmira.
Secondo quanto riferisce l’Osservatorio siriano per i diritti umani, si è trattato di un’esecuzione pubblica in piena regola, alla quale assistito decine di persone.
A dare per primo la notizia della decapitazione di Asaad, uno dei massimi esperti siriani di archeologia, era stato ieri sera il direttore delle Antichità e dei musei siriani, Maamoun Abdulkarim.
Abdulkarim ha spiegato che i miliziani dell’Isis avevano arrestato un mese fa Asaad. Da allora erano iniziati interrogatori continui nella speranza di avere informazioni su dove fossero stati nascosti reperti romani del sito prima dell’occupazione dello Stato islamico, avvenuta a maggio.
Khaled al-Asaad era stato direttore del sito archeologico di Palmira per 40 anni, fino al 2003.
Dopo il pensionamento, ha riferito la Sana, aveva continuato a lavorare come esperto per il Dipartimento dei musei e delle antichità . Era stato autore di diversi libri e testi scientifici anche in collaborazione con colleghi stranieri.
Ai tesori di Palmira l’anziano archeologo aveva dedicato mezzo secolo della sua vita: conosceva la storia di ogni colonna, ogni statua, ogni centimetro di questa città che un tempo fu un vitale centro carovaniero.
Un amore immenso finito nel più tragico dei modi, reciso da quegli stessi fanatici pronti a distruggere a martellate i simboli di una cultura.
Il corpo del povero Asaad è stato ritrovato così, decapitato e appeso a un palo della luce e non, come era trapelato inizialmente, a una colonna della sua amata Palmira.
La macabra immagine dell’ennesima vittima dell’Isis è stata diffusa in rete dai jihadisti su Twitter.
Al corpo decapitato è stato appeso un cartello con su scritto il nome della vittima con l’aggiunta “apostata e partigiano del regime sciita” del presidente Bashar al-Assad. Sotto il nome vengono elencati cinque capi d’imputazione che hanno convinto i terroristi a sgozzare la loro vittima: “rappresentante della Siria nelle conferenze della blasfemia”; “direttore delle statue archeologiche di Palmira”; “ha visitato l’Iran partecipando alla festa per la vittoria della rivoluzione di Khomeini”, fondatore della Repubblica islamica iraniana di confessione sciita; infine altre due accuse che riguardano “legami” della vittima con esponenti del regime di Damasco.
“La costante presenza di questi criminali nella città è una vergogna e un cattivo presagio per ogni colonna e per ogni frammento archeologico lì preservato”, ha commentato Abdulkarim, il direttore delle Antichità e dei musei siriani.
Palmira rappresenta uno dei principali siti archeologici nel Medio Oriente.
I jihadisti dell’Isis hanno già distrutto diversi insediamenti storici nel territorio da loro controllato. L’Unesco ha detto che l’eventuale distruzione della città sarebbe “una perdita enorme per l’umanità “.
Purtroppo, Khaled al-Asaad non è l’unico archeologo finito nelle grinfie dell’Isis.
A lanciare l’allarme, in un’intervista alla televisione panaraba Al Jazeera, è Amr al-Azm, ex dirigente del Dipartimento generale dei musei e delle antichità della Siria. Secondo Azm, diversi archeologi sono stati fatti prigionieri dall’Isis in Siria negli ultimi anni, mentre altri sono stati sottoposti a pressioni perchè “ritenuti in possesso di informazioni su antichità nascoste di cui i jihadisti vogliono impadronirsi”.
Azm ha detto di ritenere che anche Asaad, tenuto prigioniero per almeno un mese dallo Stato islamico prima di essere ucciso, fosse stato arrestato perchè ritenuto responsabile dell’evacuazione di molti reperti dal museo di Palmira prima dell’arrivo dei jihadisti, nel maggio scorso, e quindi a conoscenza delle località dove potrebbero essere stati nascosti.
“Personalmente – ha aggiunto Azm – conosco un archeologo che a Raqqa (nel Nord della Siria, ndr) è stato perseguitato dall’Isis per diverso tempo con l’intento di estorcergli informazioni su presunti tesori nascosti”.
Oggi il mondo dell’archeologia e della cultura in generale saluta Khaled al-Asaad, rendendogli onore per il suo coraggio.
“Povero Khaled, dev’essere rimasto nella sua Palmira come il capitano di una nave che affonda”, ha detto all’Ansa Maria Teresa Grassi, ultima archeologa italiana ad aver lavorato nel sito siriano dove fino al 2010 guidava la missione dell’Università di Milano.
“Questa non me l’aspettavo proprio, mi ero convinta che dopo aver contribuito, come so che ha fatto, a mettere in salvo le cose più preziose del museo, fosse fuggito. E invece…”.
Secondo Grassi, la scelta di restare lì può essere capita solo tenendo presente il rapporto strettissimo, anche affettivo, che legava l’anziano direttore e insieme a lui tutta la sua grande famiglia ai resti della celeberrima città antica dal 1980 patrimonio dell’Umanità .
“Ne era stato direttore per decenni, in pratica una vita intera. Si deve a lui la creazione o comunque l’organizzazione del piccolo prezioso museo. E a lui si deve tutto il lavoro di organizzazione e anche di valorizzazione degli scavi”.
Grande conoscitore della lingua antica e brillante epigrafista, Khaled al Asaad, racconta la studiosa, aveva fatto anche un gran lavoro sulle iscrizioni.
Una passione, la sua, nella quale aveva coinvolto l’intero clan familiare e che aveva trasmesso ai due figli maschi, entrambi archeologi, uno dei quali ne aveva poi raccolto il testimone assumendo a sua volta l’incarico di direttore.
Definirlo semplicemente direttore è riduttivo, avverte la studiosa. “Asaad era molto di più, di fatto una figura fondamentale per gli ultimi 50 anni della scuola degli scavi, la memoria storica del sito. Di Palmira conosceva ogni angolo, ogni vicenda, ogni pietra. Aveva visto tutto, collaborato con tutti, una specie di archivio vivente”.
Un personaggio, insomma.
Anche dal punto di vista umano, carismatico e imponente, circondato dalla sua grande famiglia.
“Di lui colpiva l’aria sempre seria e direi un po’ severa – racconta Maria Teresa Grassi – un aspetto che nascondeva però una persona incredibilmente attenta e gentile, capace di gesti di grande sensibilità . Era un signore, un uomo all’antica, come si diceva una volta”.
In questi mesi, racconta Grassi, “siamo stati in grande, grandissima ansia per lui e per tutte le persone che lavoravano nel sito. Difficilissimo avere rapporti, abbiamo sempre avuto paura di mettere in difficoltà persone già in pericolo. Qualche contatto sono riuscita ad averlo solo con una ragazza restauratrice che mi ha scritto dalla Turchia, dove forse si era rifugiata. Evidentemente Asaad non è riuscito a lasciare Palmira che era tutta la sua vita. Ora l’apprensione è alle stelle. Ero in angoscia per il patrimonio d’arte di Palmira, temevo che facessero saltare i monumenti. È successo di peggio”.
(da “Huffingtonpost“)
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