“MA QUALE INVASIONE! I MIGRANTI RISVEGLIANO UN’ITALIA ORMAI DESOLANTE”
INTERVISTA A MATTEO NUCCI, SCRITTORE FINALISTA AL PREMIO STREGA: “AL NORD LA SERA STANNO CHIUSI IN CASA A CONTARE I SOLDI CHE SI PORTERANNO NELLA TOMBA”
“Agli sbarchi dei migranti si contrappone sempre l’Italia del nord, “l’Italia che produce”, l’Italia della fabbrichetta che sarebbe minacciata da una supposta invasione: ma il Nord d’Italia, salvo poche città , è morto. Il nord d’Italia è un luogo desolante, che vive di individualismo, dove alle 20 non c’è nessuno per strada e dove stanno tutti davanti alla loro televisione, chiusi in casa, protetti da qualche muro, a contare spiccioli che si porteranno nella tomba”.
Parli con Matteo Nucci di “È giusto obbedire alla notte” – il romanzo, pubblicato da Ponte delle Grazie, con cui è entrato per la seconda volta nella cinquina del Premio Strega – e ovviamente arrivi a parlare di migranti, della “supposta invasione”, della paura.
“Dà fastidio la povertà ?”, gli chiedo. “Pensa sia questa la chiave per capire quel che sta accadendo nel nostro Paese, dalla stretta sugli sbarchi ai dibattiti sul degrado urbano?”.
“In parte sì – mi risponde Nucci – ma non solo. La gente difende un’idea di benessere che gli è stata suggerita. Lo fa inconsapevole, spesso, di vivere, in realtà , vite che non sono felici ma desolanti”.
Il suo è anche un libro sull’accoglienza, giusto?
“Non nei termini in cui se ne parla in queste settimane. È un libro pieno di immigrati, di gente che viene da diversi paesi, ma è un libro su una comunità di persone che si ritrovano unite per casi vari, per rispettive necessità , e trovano un loro equilibrio senza farsi troppe domande. Sul fiume, non a caso. Si ritrovano e anche si aiutano, senza che ci sia una Ong, senza che ci sia una qualche istituzione, senza chiedersi perchè”.
A proposito di Ong. Su twitter ha criticato il codice Minniti, l’aiutiamoli a casa loro di Renzi, l’uscita della sindaca di Codigoro sulle tasse da alzare a chi ospita i migranti. Poi le ho sentito ricordare come l’Occidente sia nato dalle migrazioni…
“La difesa delle migrazioni l’ho fatta ospite di una trasmissione di La7. Lì ho detto una banalità : che i migranti portano ricchezza. E sa cosa mi ha colpito di più nelle reazioni? Ci fosse uno che ha pensato che io mi riferissi a una ricchezza non economica. Io parlavo di ricchezza culturale, della storia e del destino del nostro Paese che è aperto sul Mediterraneo, ma il pensiero di tutti è andato sui conti più elementari – che peraltro, a sentire l’Inps, confermano come l’immigrazione sia anche una risorsa economica. È incredibile”.
Capelli in disordine, un orecchino, romano, Nucci, scrittore, è però anche uno studioso del pensiero antico, di Socrate, di Platone e degli eroi omerici, al cui pianto ha dedicato un bellissimo saggio narrativo pubblicato da Einaudi – “Le lacrime degli eroi”, appunto.
Studioso è Nucci o meglio “appassionato”, come ci dice quando ci racconta di aver abbandonato l’idea di una carriera universitaria perchè lui voleva viaggiare, “mentre gli accademici devono studiare tutto il tempo e spesso viaggiano con fatica”, e con fatica dunque “vedono il mondo”.
Anche il suo ultimo romanzo, però, alla fine è un poema, in cui Nucci riversa i suoi studi. Un padre lotta contro il dolore, poi va in esilio in una piccola comunità , torna e poi riparte. Il tutto sulle rive del Tevere, sul confine umido della città , tra chiatte, baracche di lamiera, slot machine, canneti, fango, un campo rom e uno da golf.
Nucci, c’è un che di provocatorio, visti i tempi, nello scrivere un libro la cui protagonista indiscussa è una Roma fatta di baracche sul Tevere, immigrati, prostitute e nutrie – che alla fine sono grossi topi. Non trova?
“Non nelle mie intenzioni, lo giuro. Ma siccome dalla storia esce la mia idea di Roma e delle città in generale, non mi posso sottrarre alla discussione. Il romanzo nasce però per raccontare vicende universali”.
Potrebbe esser ambientata altrove, la storia di Ippolito, detto Il Dottore?
“Potrebbe, astrattamente”.
Ma siamo a Roma, e diciamo che su una foto dell’Anaconda – l’osteria attorno a cui ruota la storia, rimediata su una chiatta che galleggia sul Tevere – molti giornali camperebbero tutta l’estate, cavalcando l’emergenza degrado…
“Questo è sicuro. Ma tutto nasce da un fraintendimento. Perchè – a Roma e non solo – il degrado è in realtà è al centro, e non nelle zone che definiamo periferiche, “ai margini”. L’Anaconda – e ci si può andare, esiste – non è degradata: lo sembra a noi, forse, che non conosciamo quei luoghi, a noi a cui sembrano periferici i luoghi di chi si arrabbatta. Ma se andate sotto al ponte di Mezzocammino, seguendo il Tevere quasi fino al mare, trovate una realtà di rispetto, di cura, di pulizia. Non trovi i protagonisti della mia storia – non per come li ho raccontati io – ma trovi gli anguillari, trovi chi sul fiume vive, con poco, magari, ma non per forza nel degrado. E sai perchè? Perchè lì, su fango del Tevere, c’è una piccola comunità e solo le comunità hanno cura del posto in cui vivono, dei loro territori, delle loro patrie: lì ce ne è una, al centro delle città , spesso, no”.
Questa Roma umida a lei sembra piacere. Ma ai più, una città come quella che racconta lei, infastidisce. Si è chiesto perchè?
“Il punto è sempre lo stesso: abbiamo paura dei mondi diversi dal nostro, che ci rassicura nel suo pensiero unico, globale, con la sua precisa idea di igiene, di pulizia, di sanità . Ci rassicura solo il nostro mondo, che invece avrebbe proprio bisogno di esser messo in crisi. Noi, ad esempio, usiamo “benestante” per definire chi ha i soldi. Per me non è così, e per questo racconto dell’Anaconda, una delle realtà che sono marginali solo perchè minoritarie, ma mostrano un futuro dove conta più il tempo del denaro. Che poi è la cosa più logica, mi pare, visto che le vite che viviamo, per quanto lunghe, sono comunque brevissime”.
“È giusto obbedire alla notte” è allora un libro sul dolore?
“È un libro sul dolore più grande che possa capitare a un uomo. Quella che ho scritto è fondamentalmente una storia su come il dolore si può e deve affrontare – ed è questa un’altra delle questioni che più mi stanno a cuore, un’urgenza in tempi in cui si tende ad aggirare l’ostacolo. Oggi non si soffre, non si muore, non si invecchia, oggi c’è solo l’eterna giovinezza, l’eterna felicità : è questo il delirio occidentale”.
È un eroe – uno di quelli che lei studia – Ippolito, detto Il Dottore, che arriva nella piccola comunità del Tevere, dopo aver combattuto la sua battaglia privata?
“È un eroe lui e sono eroi altri dei personaggi del libro, e non tanto perchè compiono azioni memorabili o straordinarie. Anche perchè i veri eroi – quelli di cui ho raccontato il pianto – non sono imbattibili, non sono straordinari: Achille, Ulisse, Agamennone sono tutti perdenti, che hanno forza morale, capacità di scegliere, di prendere una strada, ma che vivono la propria fragilità . Gli eroi omerici sono eroi che piangono, tutti e senza vergogna. L’unico che non piange mai, anzi, è l’unico che non è un eroe, è il seduttore, quello che il padre chiama “ballerino”: è Paride. E Paride, che non piange, è considerato per questo una femminuccia. Il ribaltamento dovrebbe dirci qualcosa”.
(da “La Stampa”)
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