MELONI SPIAGGIATA: ORA CHE È ESPLOSA LA BOMBA BALNEARI, GIORGIA VA ALLA RESA DEI CONTI NEL CENTRODESTRA (E NEL SUO PARTITO)
LA PREMIER AVEVA TENTATO UNA MEDIAZIONE SUL NODO DELLE CONCESSIONI, MA LE CATEGORIE HANNO DETTO NO, APPOGGIATE DA LEGA E FORZA ITALIA, CHE PUNTANO A RIPRENDERSI I VOTI DI QUELL’UNIVERSO CORPORATIVO CHE VA DAI BALNEARI AI TASSISTI
Il primo vero incidente istituzionale con il Colle dell’era di Giorgia Meloni è un brutto colpo, ma non arriva all’improvviso. Secondo la premier lo scontro era evitabile, ma Lega e Forza Italia hanno rotto ogni possibilità di mediazione.
La presidente del Consiglio sapeva che la bomba balneari stava per esplodere. Ha provato a depotenziarla, a prendere tempo e a trattare con l’Unione europea senza fare troppo rumore. Le rivalità tra i partiti di maggioranza e le richieste massimaliste della categoria hanno vanificato il tentativo e l’arrivo della nota del Quirinale ha fatto precipitare la situazione.
Ora che le contraddizioni tra la retorica del partito di opposizione e le responsabilità di quello di governo sono diventate ingestibili si tenta di metterci una pezza, forse con un nuovo decreto, ma i tempi sono stretti.
Dietro a un richiamo pesante da digerire, ci sono, quindi, le rivalità interne alla maggioranza, con i ruoli invertiti rispetto al passato: Fratelli d’Italia chiede prudenza con l’Ue e il Quirinale, gli alleati salgono sulle barricate per difendere i titolari delle concessioni.
La premier aveva avvisato gli alleati che non era il caso di tirare la corda sul tema delle concessioni delle spiagge. I fronti erano due: esterno, la Commissione europea, e interno, il Consiglio di Stato e il Quirinale. I tavoli negoziali a Bruxelles d’altronde sono molti e non era il caso di farli saltare in nome di una battaglia, che peraltro quasi tutti ritengono pressoché disperata. E ora la posizione italiana rischia di uscire indebolita.
La richiesta di moderazione era stata avanzata in due fasi: all’inizio del percorso in Senato del decreto Milleproroghe e la settimana scorsa a seguito della moral suasion del Quirinale. Il messaggio a Lega e Forza Italia, ma anche alle associazioni di categoria era stato: proroghiamo la delega del governo Draghi, ma non la scadenza delle concessioni. Un escamotage che doveva consentire a Raffaele Fitto di trattare condizioni migliori per la partecipazione degli attuali concessionari alle gare e anche ad evitare di sfidare apertamente il Quirinale.
Ma la mediazione del ministro del Ministro degli Affari europei non è piaciuta alle categorie, anche per vecchi rancori dei tempi del Pdl. Fitto ha provato a spiegare agli imprenditori: le gare vanno fatte, è il principio cardine della direttiva Bolkestein (che l’Italia ha ratificato addirittura nel 2010), «chi vi dice il contrario non vi sta tutelando».
La posizione realista di Fitto è stata respinta dai balneari (pure molto divisi al loro interno) che a quel punto, è la ricostruzione che si fa a Palazzo Chigi, hanno raccolto il sostegno strumentale di Lega e Forza Italia, sfociato nell’emendamento sul rinvio della data di inizio delle gare che Fitto e il ministro Luca Ciriani hanno cercato senza successo di stralciare.
Meloni non ha gradito l’atteggiamento delle categorie («non si sono fidate di lei», dice una fonte di FdI) e questa distanza ora può favorire l’ala liberale del suo partito, capitanata dallo stesso Fitto, rispetto a quella più protezionista, della quale fa parte anche la ministra Daniela Santanché, ministra del Turismo e titolare di concessione.
La guerra interna alla maggioranza sui balneari d’altronde è figlia dei conflitti del passato. Quando al governo c’erano Forza Italia e Lega, Meloni gridava al tradimento per ogni apertura alla concorrenza.
Il risultato di quelle campagne è stato che i balneari, così come i tassisti, hanno appoggiato in massa FdI alle elezioni. Migliaia di voti sottratti agli alleati, i quali hanno aspettato Meloni al varco. La vendetta si è consumata sulle spiagge.
(da agenzie)
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