MESSO IN REGOLA SOLO UN PORTABORSE SU TRE
LA CASTA TIENE DURO, NONOSTANTE LE DIRETTIVE DI FINI CHE DAL 1° LUGLIO HA VIETATO L’INGRESSO ALLA CAMERA A CHI NON E’ IN REGOLA… TANTE GIUSTIFICAZIONI, MA SONO 405 I DEPUTATI LATITANTI E SOLO 225 QUELLI CHE HANNO ASSUNTO IN REGOLA
Sono 225 su 630 i deputati che hanno depositato presso gli uffici della Camera il regolare contratto stipulato con il proprio assistente parlamentare.
Che potrà pertanto continuare ad avere acceso alla segreteria del datore di lavoro senza restrizioni. Ma in realtà la notizia è un’altra: sono ancora 405 gli onorevoli che non hanno messo in regola il portaborse.
La vicenda ormai si trascina da diverse legislature: molti avevano giustamente rimarcato che era assurdo che proprio nella sede istituzionale per eccellenza si permettesse il lavoro nero e lo sfruttamento dei collaboratori parlamentari, pagati poco e in nero, con orari spesso lunghi, sempre a disposizione del deputato di riferimento.
A scandalo si sommava poi altro scandalo: quando un parlamentare non veniva più confermato si cercava in tutti i modi di assicurare un posto sicuro e magari anche fisso al suo collaboratore, tramite agganci vari e leggine ad hoc.
In parte quindi sfruttati, in parte raccomandati e favoriti, un guazzabuglio tutto italico a cui si è cercato ora di porre rimedio.
Su indicazione del presidente della Camera, Gianfranco Fini, i deputati questori hanno stabilito che dal 1° luglio può avere rinnovato il tesserino di accesso alla Camera solo il personale munito di regolare contratto di lavoro.
Gli uffici di Montecitorio hanno quindi invitato i deputati a dimostrare, carta alla mano, la regolarità del personale in forza alla propria segreteria.
Tutti i deputati, infatti, dispongono di un ufficio dentro al Palazzo e ricevono diverse migliaia di euro da destinare al personale.
I più fortunati hanno l’ufficio a Montecitorio, i peones a Palazzo Marini, complesso istituzionale che si trova a 5 minuti dal Parlamento.
Tra i 405 che non hanno ancora presentato il regolare contratto di lavoro per il collaboratore le scuse o motivazioni sono le più varie: alcuni farebbero tutto da sè, rispondono al telefono, scrivono lettere, comunicati e interrogazioni senza aiuto alcuno.
Altri avrebbero l’assistente non a Roma ma nel collegio di origine ( è permesso anche questo).
Altri ancora si appoggerebbero al personale in forza ai gruppi parlamentari.
Molti altri invece sicuramente hanno preferito continuare a tenere il proprio collaboratore in nero, anche se non potrà entrare dentro al Palazzo.
Tutti continuano a percepire però quasi 5.000 euro di rimborso per il personale, che esista o meno realmente.
Al Senato che accade invece? Se la stanno prendendo con calma, nonostante vi fosse la medesima scadenza del 30 giugno.
Pare che la scusa aggiuntiva qua sia relativa ai “dubbi esistenti sulla forma contrattuale da preferire”.
Insomma hanno trovato il modo di fare ostruzionismo anche al di fuori dell’aula… la casta non si smentisce.
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