NELLA NOTTE LA DITTA SI E’ FRANTUMATA
CON BERSANI E LETTA NE RESTANO SOLO 36
Lo spettro del 38 (i parlamentari che non votano la fiducia) si materializza a notte fonda.
Quando, nella sala Berlinguer della Camera, unico nome che evoca antichi riti unitari, Roberto Speranza replica: “La verità è che se, dopo la lettera che abbiamo mandato a Renzi con ottanta firme, per dire no alla fiducia e tratta, fossimo stati compatti, non saremmo arrivati fino a qui”.
È l’unico accenno polemico di fronte a un fuoco di fila del grosso dei bersaniani di Area riformista.
Dopo quattro ore di riunione, alle due di notte si incrinano rapporti che sembravano inscalfibili, antiche amicizie.
È lì che, di fatto, nasce il documento dei “50 responsabili” per Renzi che sarà reso pubblico in mattinata.
Quello con cui Matteo Mauri, Cesare Damiano, la Campana e altri mettono nero su bianco la decisione di votare sì alla fiducia: “Una scelta politica, non dei singoli”.
Alla base, spiega Mauri, bersaniano doc e uomo forte del Pd milanese si Filippo Penati, c’è la consapevolezza di essere “determinanti”.
Parole dolci rispetto alla linea di “violenza al Parlamento” scandita dall’ex capogruppo.
È un confronto duro, quello nella sala Berlinguer: “Hai sbagliato a dimetterti. E poi hai sbagliato a dire che non avremmo votato la fiducia. Una cosa del genere andava quantomeno discussa, invece hai scelto da solo” dicono i “milanesi” Martina e Mauri, ma anche Damiano e la sottosegretaria al Lavoro Bellanova.
Una trentina, su una cinquantina di presenti, rompono con la Ditta.
Stumpo, Zoggia, Leva e Epifani, tra i big, restano con Bersani. A cui vanno aggiunti, tra gli altri big, Cuperlo, Fassina, D’Attorre, Bindi, Civati, i lettiani come Meloni e Vaccaro oltre allo stesso Letta.
In tutto trentotto, di un’area che, sulla carta, ne contava oltre cento.
Uno di loro dice: “Di fronte all’accelerazione di Renzi, non si poteva rimanere fermi. Perchè l’idea con cui si era partiti era di votare la fiducia e differenziarsi sul voto finale. Però il responso sulle pregiudiziali ha mostrato che Renzi, nello scrutinio segreto, ha preso 389 voti, mentre in quello palese 360. Quindi nel voto segreto aumenta e non votare la fiducia era l’unico sistema per differenziarsi e non morire renziani”.
“La corrente è sciolta” sussurrano i partecipanti dell’una e dell’altra parte.
E nel documento firmato dai 40 bersaniani dialoganti c’è già la nascita di una nuova componente. Come in tutte le separazioni, circolano i veleni.
Su quelli che stanno in segreteria come Amendola, la Campana e il cuperliano (o ex tale) Andrea De Maria.
Un bersaniano rimasto fuori dice: “Ognuno ha aperto una trattativa con Renzi in queste ore, con lui o con Lotti e la Boschi. Si sono fatte le liste”.
In Puglia, con lo smarcamento di Dario Ginefra, Bellanova e Cassano ormai con Bersani, di fatto, non ci sono più parlamentari.
Tra i Lombardi e i Campani pure.
Ed è una frattura destinata ad acuirsi sul voto finale, martedì prossimo, perchè è sottinteso che Speranza&Co voteranno contro.
Mentre tra gli altri è in atto una discussione sul se votare a favore o posizionarsi sull’astensione.
I capannelli in Transatlantico disegnano una nuova geografia del Pd.
Dice Fassina. “I 50 responsabili di Area riformista? Sì, me li aspettavo. La minoranza si definisce sulle posizioni che si prendono nei passaggi salienti della vita parlamentare, il congresso è chiuso: adesso la minoranza è quella che vota in modo diverso”.
Ecco, ora nella minoranza di discute di come preparare gruppi autonomi.
Per ora lo dicono senza tanti giri di parole Fassina, Civati mentre il grosso continua a ripetere “dal Pd non ce ne andiamo. Ma, da oggi, si è aperta una nuova fase.
Per tutti.
(da “Huffingtonpost”)
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