NIENTE FLESSIBILITÀ, I TEDESCHI ATTACCANO RENZI A STRASBURGO
TRAUMATICO DEBUTTO DEL SEMESTRE EUROPEO…. MR. SPOCCHIA:“NON PRENDO LEZIONI”
Il semestre di presidenza dell’Unione europea da parte dell’Italia non poteva cominciare peggio, con il premier Matteo Renzi sotto attacco dei tedeschi e la grande coalizione europea tra socialisti e popolari che vacilla, mettendo a rischio la conferma di Jean Claude Juncker alla guida della nuova Commissione europea.
Il premier Matteo Renzi arriva a Strasburgo per la seduta inaugurale della legislatura e per presentare il programma dell’Italia dei prossimi sei mesi.
Dodici minuti di intervento che saranno ricordati per l’espressione “generazione Telemaco”, quella dei figli (il padre di Telemaco era Ulisse) che deve “meritarsi il peso dell’eredità ”.
Un discorso che ottiene applausi, ma prudente: nessun riferimento esplicito alla necessità di rivedere i trattati sul rigore, nessuna rivendicazione del (presunto) successo ottenuto al Consiglio europeo della settimana scorsa, riforme in cambio di flessibilità , nessuna denuncia delle inadempienze europee nelle tragedie dei migranti. L’attacco di Manfred Weber arriva a freddo: il capogruppo del Partito popolare europeo (i conservatori) colpisce proprio sulla flessibilità : “Abbiamo imparato due lezioni dalla crisi: dobbiamo rimanere fedeli alle regole e applicarle, il debito non è la soluzione”.
E per essere più esplicito: “La flessibilità di bilancio è la strada sbagliata”.
Weber è un ingegnere tedesco di 42 anni che da dieci è europarlamentare, uomo forte della Csu in Baviera, è considerato il leader emergente della Germania in Europa, l’uomo su cui Angela Merkel si appoggia per controllare il Parlamento, oltre alle altre istituzioni europee.
A Strasburgo i dibattiti sono sempre tosti, i parlamentari sono più preparati dei loro omologhi nazionali e pronti a dare battaglia nel merito dei dossier più che sulla comunicazione (le tv contano meno).
Ma un attacco come quello di Weber non era atteso.
Renzi non la prende bene. Il premier sperava in una partenza più tranquilla, tanto che si era prenotato la puntata speciale di Porta a Porta per celebrare il suo lancio europeo. E invece Weber trasforma l’inizio della presidenza italiana in quella che potrebbe essere la prima crisi della grande coalizione europea tra popolari, socialisti e liberali. Interpretazione minimalista: Weber è appena diventato capogruppo, deve ancora prendere le misure, nella sua foga di parlare al suo elettorato tedesco ha scavalcato in intransigenza anche la posizione ufficiale di Berlino (la flessibilità si può avere ma solo nel limite fissato dai trattati attuali).
Interpretazione più seria: lo scontro è profondo e porterà alla bocciatura di Juncker come presidente della Commissione europea, il voto è il 16 luglio.
“Se cade il punto della flessibilità non c’è il compromesso e cade l’accordo su Juncker” , dice Gianni Pittella, l’eurodeputato del Pd che è appena diventato capogruppo dei socialisti.
L’intervento di Weber, secondo Pittella, è “un passo falso” che “se fosse confermato metterebbe a rischio la collaborazione” tra Ppe e S&D” (il Pse ora si chiama Socialisti & democratici).
Martin Schulz invece prova a raffreddare: “Le parole di Weber non mettono in discussione l’accordo su Juncker”. E Renzi: “Non accettiamo lezioni”.
La questione è su due livelli.
Primo: la grande coalizione è più complessa da gestire del previsto, come dimostra il fatto che Schulz ha ottenuto 70 voti in meno del previsto nell’elezione alla presidenza. Dai socialisti spagnoli insidiati da Podemos (il partito degli indignati) alla destra francese dell’Ump assediata dal Front National, sono tante le componenti fuori controllo della maggioranza.
Il Parlamento in questa legislatura avrà più poteri, ma sarà anche molto più politico, quindi difficile da controllare.
Seconda questione: Ppe, Pse, e tutto il Parlamento hanno vinto la loro battaglia costringendo il Consiglio — cioè i governi nazionali — a indicare come presidente della Commissione il capofila del partito che ha preso più voti alle elezioni, Juncker del Ppe.
Una rivoluzione che ha fatto indignare la Gran Bretagna di David Cameron, è la prima volta che i leader si piegano al volere degli elettori, in una interpretazione estesa del trattato di Lisbona che dice solo di “tenere conto” del risultato del voto.
Juncker come simbolo della democrazia elettorale. Ma nessuno ama l’ex premier lussemburghese, nei giri brussellesi da vent’anni.
E ora che è stato affermato il principio, fissando il precedente, si potrebbe anche cambiare nome scegliendo qualcuno più gradito a destra e sinistra se il lussemburghese non prendesse la fiducia quando si presenterà all’Europarlamento il 16 luglio.
Mentre Renzi ha un paio di mesi per tradurre in risultati concreti questo chiacchiericcio sulla flessibilità : con una crescita del Pil per il 2014 stimata a +0,2 per cento invece che lo 0,8 con i tagli alla spesa pubblica molto difficili da fare e con le coperture strutturali degli 80 euro ancora da trovare, al premier servono margini di manovra per evitare di dover fare tagli e tasse alla vigilia del 2015.
L’anno in cui potrebbe essere costretto a chiamare le elezioni anticipate, sia che le riforme istituzionali falliscano sia che vengano completate.
Stefano Feltri
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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