NOI DELLA GENERAZIONE ERASMUS, SU QUEI BUS PER SOGNARE IL FUTURO
L’IMPORTANZA DI SENTIRSI PARTE DI UN TUTTO
Per chi almeno una volta è stato su uno di quei bus Erasmus lo sgomento per la tragedia della Catalogna, se mai possibile, è ancora più forte.
Perchè sa quanta vita, quanta gioia di vivere, quante speranze, quanti progetti sono stati portati via da un pullman uscito fuori strada.
Dire che oggi se ne è andato un pezzo di futuro non è una frase retorica, ma la verità . E chi, come me, è stato in Erasmus, può capirlo alla perfezione.
Oggi la famosa generazione Erasmus, il programma di scambio europeo tra studenti di diverse università e paesi, si stringe in un abbraccio forte e doloroso che supera i confini e non bada alla nazionalità delle vittime.
Su quell’autobus in Spagna c’erano Valentina, Lucrezia, Elisa, solo per citare i nomi di alcune delle vittime italiane della strage.
E di fianco a loro c’era il mondo intero, il mondo del futuro.
Oggi la generazione Erasmus ha perso le sue figlie. E noi, i giovani di quella generazione, abbiamo perso le nostre sorelle.
Era il 2008 quando sono partito per la Finlandia, 4 mesi all’estero.
L’autobus degli Erasmus io l’ho preso per andare da Helsinki a San Pietroburgo. E poi in Lapponia: dodici ore di viaggio, notte e giorno. Eravamo in 50, solo 4 italiani.
Si parlava inglese anche tra di noi, ma io che lo masticavo poco rispetto agli altri ogni tanto mi lanciavo in espressioni azzardate.
Chi parlava meglio la lingua non mi derideva. Mi correggeva, mi aiutava: “Forse volevi dire così?”.
In un solo autobus c’era la Spagna con suoi odori, la Francia con il suo accento, la Germania e l’Austria, dall’inglese provetto.
Il viaggio era parte integrante del divertimento, il pullman risuonava di gioia, di canti, di cori. Di spensieratezza.
Sarà stato così anche in Catalogna. Perchè in fondo la generazione Erasmus, anche se passano gli anni, conserva sempre la sua peculiarità : sentirsi parte di un tutto, indefinito, ma pur sempre un tutto.
Sui pullman degli Erasmus c’è la vita: noi ci raccontavamo i progetti futuri, i nostri sogni.
Chi sarebbe voluto diventare un avvocato, chi avrebbe voluto trascorrere la vita viaggiando, chi avrebbe voluto insegnare e chi diventare un importante manager. Io volevo fare il giornalista.
A distanza di anni con molti ho perso i contatti, con alcuni ho ancora legami.
Tutti però mi hanno lasciato almeno un ricordo. C’è chi è diventato avvocato, chi manager, chi ancora viaggia.
Questa mattina, dopo aver letto la notizia della strage, ho riaperto le fotografie vecchie di 8 anni. In una siamo sul bus per la Lapponia, giochiamo a carte.
Sul tavolino tra i sedili un cubo di Rubik e un foglio per gli appunti.
“Non è giusto – riuscivo solo a pensare – non è giusto che ieri sia andata così”
Gerardo Adinolfi
(da “La Repubblica”)
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