“NOI NON MOLLIAMO”: BINDI E FIORONI RESISTONO A RENZI
VENTIDUE VELTRONIANI FIRMANO PER BERSANI
Sarà forse perchè ritiene di aver neutralizzato i due bersagli grossi che Matteo Renzi archivia la «fase uno della rottamazione» per dedicarsi ai programmi: ma sarà pure perchè conosce l’arte della guerra dei suoi amici ex democristiani, con i quali se la dovrà veder Bersani in una resa dei conti solo rinviata.
Infatti, se Veltroni si tira fuori e D’Alema decide di fare un passo indietro, al centro ce ne sono due che non si muovono di un centimetro: sono gli altri due bersagli preferiti da Renzi, la Bindi e Fioroni, che non paiono intenzionati a farsi da parte.
Come Franco Marini, che dopo aver annunciato a giugno che non si sarebbe ricandidato, dopo aver rinunciato a far esplodere una grana in assemblea sulla deroga allo statuto per Renzi, ha fatto sapere di aver cambiato idea.
La Bindi, a sentire i più fidati consiglieri politici, fatica a tenere a freno la rabbia e fino ad oggi ha preferito evitare esternazioni contro una piega che hanno preso gli eventi per lei poco tollerabile. Di sicuro non vuole sottostare al diktat della rottamazione e aspetta la nuova legge elettorale (è una delle poche sostenitrici delle preferenze), per affrontare la questione delle candidature.
Ma certo non è contenta del trattamento riservato da Bersani ai big più big, perchè quel «non chiedo a nessuno di ricandidarsi» era un evidente mancanza di riguardo pure a lei, che è pur sempre la presidente del partito, oltre che un presidio dell’area cattolico-moderata del Pd.
Approfittando della citazione regalatagli da Renzi su Repubblica, «non è che mandiamo via D’Alema e ci teniamo Fioroni», l’interessato invece gli risponde via sms: con un «grazie molte, perchè pensavo di non contare nulla e mi hai tranquillizzato, meglio tardi che mai. Buon lavoro»; un messaggino in cui a dispetto delle apparenze, il sugo sta in quel sibillino «buon lavoro», perchè l’altra postilla di Fioroni è che «le candidature si vedranno al momento opportuno e le vive male chi non ha un lavoro. Siccome io un lavoro ce l’ho questo problema non me lo pongo…».
Ma oltre alla «resistenza» dei big cattolici, il terremoto delle primarie riesce anche a far dividere la variegata area che fa capo all’ex leader Veltroni.
A differenza dei vari Gentiloni, Ichino, Morando, Tonini, Ceccanti, Vassallo, tutti a favore di Renzi, un gruppo di 22 veltroniani doc come Verini, Melandri, Minniti, Causi, Agostini, Morassut, firmano un documento pro-Bersani.
Quel Bersani però che dice in assemblea «Monti l’abbiamo voluto noi» e non quello che firma la Carta dei Valori con Vendola dove Monti non c’è, tengono a chiarire.
Perchè «le primarie possono rappresentare un’occasione per affermare il profilo che dal Lingotto era alla base della nascita del Pd, un partito coraggioso e innovatore».
Un altro segnale di quel cambio di marcia che ora si impone sulle primarie.
«Lo scontro diventa più politico, veniamo da retroterra diversi, sbaglia chi lo ha ridotto a uno scontro tra classi dirigenti, che altro finora non è stato se non un regolamento di conti a sinistra», fa notare il renziano Mario Adinolfi.
Renzi l’altra sera ha provato a rovesciare il celebre assioma maoista, «la rivoluzione non è un pranzo di gala», riunendo a Milano il gotha della finanza per spiegare la bontà del processo di rinnovamento da lui innescato.
Ma a Vendola e Bersani, questo spuntino fino a 5000 euro a coperto è piaciuto poco.
«Ne abbiamo abbastanza delle slides e delle proposte della finanza. Abbiamo già dato e consiglio molta cautela con i banchieri», lo ha avvisato Bersani.
Carlo Bertini
(da “La Stampa“)
Leave a Reply