NUMERI DA DOPOGUERRA: DISOCCUPATI A QUOTA 3,3 MILIONI
I GIOVANI FERMI SONO 678 MILA… UN TASSO COSàŒ ALTO NON HA PRECEDENTI… IL PARADOSSO: PER BRUXELLES SONO ACCETTABILI FINO A 2,8 MILIONI DI DISPERATI
Quello che segue è una parte del comunicato Istat sulla disoccupazione.
In realtà sarebbe più propriamente definibile un bollettino di guerra: “A febbraio 2014 gli occupati sono 22 milioni 216 mila, in diminuzione dello 0,2% rispetto al mese precedente (-39 mila) e dell’1,6% su base annua (-365 mila)”; “il numero di disoccupati, pari a 3 milioni 307 mila, aumenta dello 0,2% rispetto al mese precedente (+8 mila) e del 9,0% su base annua (+272 mila)”; “Il tasso di disoccupazione è pari al 13,0%, sostanzialmente stabile in termini congiunturali ma in aumento di 1,1 punti percentuali nei dodici mesi”; “il tasso di disoccupazione dei 15-24enni, ovvero la quota dei disoccupati sul totale di quelli occupati o in cerca, è pari al 42,3%” (in persone, fanno 678mila giovani disoccupati).
Sui siti, nei Tg e forse oggi sui giornali si leggerà “il dato più alto dal 1977”: è una frase vera solo nel senso che prima di quella data non esistono serie storiche paragonabili.
In realtà , immediato dopoguerra a parte, l’Italia non ha mai avuto un tasso di disocuppazione pari al 13% (che, com’è noto, si calcola al netto di quelli che il lavoro nemmeno lo cercano).
In realtà nel 1977 il tasso di disoccupazione era inferiore al 7 per cento: prima di questa crisi, quel dato è stato superiore al 10 per cento solo tra il 1994 e il 2000, spinto probabilmente anche dalle manovre di austerity sopportate dall’Italia per restare nel Sistema monetario europeo (da cui uscimmo nel 1992) e poi per entrare nell’euro. Come detto, questo dato è senza precedenti. Punto
L’andamento della domanda interna, come sostengono tutti gli studiosi, non lascia nemmeno prevedere che il fenomeno si attenui: l’eventuale, anemica ripresa è tutta affidata alle esportazioni e quindi produce poca occupazione all’interno, mentre le aziende non orientate all’export continuano a morire perchè gli italiani non hanno più i soldi per comprare i loro prodotti.
È una tragedia che coinvolge milioni di persone ed è contestualmente l’esito previsto, fors’anche auspicato, delle politiche comunitarie.
Basti pensare al calcolo dei cosiddetti output gap — la differenza tra i fondamentali di un’economia e quelli che la renderebbero più efficiente — fatto dalla Commissione europea guidata dal portoghese Josè Manuel Barroso (il suo Paese ha un tasso di disoccupazione ben oltre il 16 per cento, per i curiosi).
Quello che riguarda la disoccupazione, per dire, era al 10,4% l’anno scorso e sarà all’11 il prossimo: “In altri termini, secondo questi calcoli, il policy maker italiano potrebbe ritenersi soddisfatto se a partire dal prossimo anno riuscirà a lasciare a casa ‘solo’ 2,8 milioni di lavoratori (anzichè gli attuali 3,3, ndr), in quanto è questo il livello di equilibrio dei disoccupati stimato dalla Commissione”, ha scritto lavoce.info
Il livello di disoccupazione “accettabile” per la Commissione non deve sorprendere nessuno: come dicono gli economisti, e anche politici come Stefano Fassina, “se non si svaluta la moneta, si svaluta il lavoro”.
La disoccupazione è un modo — il più violento — per abbassare i salari e ridare competitività all’industria dei vari Paesi.
Nell’Eurozona ha anche un effetto secondario: diminuendo le importazioni (sempre per il fatto che nessuno ha un euro in tasca) si mette mano con successo agli endemici squilibri di bilancia dei pagamenti che hanno innescato la crisi che stiamo vivendo.
Marco Palombi
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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