ORA BERLUSCONI E’ IN COMPAGNIA DI RIINA: ANCHE IL BOSS MAFIOSO FECE APPELLO A STRASBURGO
PURE PREVITI CI PROVO’, MA IL TRIBUNALE INTERNAZIONALE DA’ QUASI SEMPRE TORTO AI CONDANNATI ITALIANI CHE LO USANO A SPROPOSITO E SOLO PER MOTIVI INTERNI
L’ultimo fascicolo a finire sul tavolo dei giudici europei sarà lungo 33 pagine, è stato redatto in poche ore da quattro avvocati e porterà un nome illustre: Silvio Berlusconi. E troverà , a fargli compagnia, più di 14 mila altri ricorsi provenienti da ogni parte d’Italia per casi di malagiustizia, sovraffollamento carcerario e trattamenti inumani nelle celle che attendono un responso da più di dieci mesi.
L’Italia si è ufficialmente guadagnata una grottesca medaglia d’argento nel numero di ricorsi per violazioni dei diritti umani internazionali battendo ogni record raggiunto finora: secondo gli ultimissimi dati della Corte Europea – che l’Espresso ha avuto modo di consultare – quelli presentati fino ad oggi a Strasburgo sono arrivati a 14.650 e rappresentano da soli il 12 per cento di tutto il carico di lavoro del Tribunale.
Un numero in continua crescita che in questo momento è secondo solo alla Russia, che si aggiudica il primato di richieste d’aiuto.
Terza l’Ucraina, con 14.200 ricorsi.
Una mole di fascicoli enorme, che fino a una settimana fa vedeva ancora 119.750 richieste pendenti e non esaminate. E le statistiche parlano chiaro: dal 1959 fino a oggi l’Italia è stata condannata per 2.229 volte
A chiedere il giudizio delle toghe di Strasburgo appellandosi alla Convezione europea, infatti, non è solamente chi vede violati i propri diritti umani in materia di salute o di ingiusta detenzione.
Ma anche chi ritiene di non aver ottenuto un giusto processo o di aver subito violazioni di diritti civili e politici.
E’ il caso, appunto, dell’ex premier Silvio Berlusconi che contro la sua condanna a quattro anni per frode fiscale – ormai passata in giudicato – fa riferimento all’articolo 7 della Convenzione europea (“Nulla poena sine lege”, ovvero il principio di “irretroattività ” secondo cui non ci può essere una pena in assenza di una legge che identifichi un reato) motivando che la legge Severino non può essere applicata in modo retroattivo e appellandosi anche all’articolo 13 della Convenzione, secondo cui “ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella presente Convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali”.
Guardando bene nel calderone delle richieste di riesame che ogni giorno arrivano ai giudici europei da ogni parte d’Italia, in effetti, si trova di tutto.
Dai boss di Cosa Nostra (primo fra tutti Totò Riina detto “la belva”) che sperano in una detenzione più mite a richieste singolari, come quella presentata dagli animalisti di vietare “l’assassinio delle aragoste nei ristoranti”.
E a chiedere aiuto all’Europa ci sono anche molti politici o imprenditori condannati in via definitiva che lamentano trattamenti iniqui da parte della giustizia italiana.
Ricorsi che però spesso risultano essere frettolosi, incompleti o pretestuosi.
E spesso la foga di ricorrere alla Cedu fa “dimenticare” il regolamento europeo che prevede “l’esaurimento delle vie di ricorso interne”. In parole povere: prima di “scavalcare” i giudici italiani bisogna percorrere tutte le strade possibili nel proprio Paese.
Nel 2006, per esempio, la Cedu dichiarò inammissibile il ricorso presentato dall’ex braccio destro di Silvio Berlusconi, Cesare Previti, in seguito alle vicende giudiziarie relative al processo Imi-Sir in cui era stato accusato di aver corrotto un giudice.
Nel ricorso, Previti sosteneva che era stato violato il suo diritto a un equo processo e quello a non essere punito in assenza di legge.
Secondo Previti, già radiato dall’ordine degli avvocati, inoltre, era stato inoltre violato il suo diritto al rispetto della vita privata, poichè le vicende Imi-Sir unificate in un unico processo nel gennaio del 2002 si trascinarono per circa 20 anni.
In particolare, secondo l’amico di lunga data di Berlusconi, la violazione di un equo processo era legata alla mancanza di imparzialità del Tribunale di Milano.
A suo avviso, inoltre, i giudici coinvolti sia nelle indagini che nel processo, erano politicamente a lui avversi e avevano apertamente e pubblicamente criticato un disegno di legge che avrebbe avuto un effetto positivo sulla sua posizione nel caso Imi-Sir.
Insomma, un film già visto.
Arianna Giunti
(da “L’Espresso“)
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