PROCESSI LUMACA IN ITALIA: 1210 GIORNI DI ATTESA E COSTI DI 20 MILIONI DI EURO L’ANNO
ITALIA MAGLIA NERA, STIAMO PEGGIO DI ANGOLA E GABON… 118 MILIONI I COSTI IN ECCESSO IN SEI ANNI A CAUSA DELLA LENTEZZA DELLA GIUSTIZIA… CELEBRATI 40.000 PROCESSI SOLO PER DENUNCIARE IL RITARDO DI ALTRI PROCESSI
Il recupero di una somma di denaro per via giudiziaria è più veloce in Egitto, Angola, Guinea, Gabon e Sao Tomè che in Italia.
Da noi la durata media di un procedimento è di 1.210 giorni, nei Paesi citati oscilla tra i 1.010 e i 1.185 giorni.
Siamo al 156esimo posto nella graduatoria mondiale. Per l’Italia i tempi di Giappone ( 316 giorni), Francia (331), Germania (394) e Spagna (515) appaiono inarrivabili.
I processi lumaca sono già costati da noi 118 milioni di euro negli ultimi sei anni. Alla fine del 2006 i costi erano 41,5 milioni e in due anni sono 81,3 i milioni di euro già sborsati, più almeno altri 36,6 dovuti ma non ancora pagati, per un totale di 118 milioni, dal 2002 al 2008.
Siamo all’assurdo che in Italia sono stati celebrati 40mila processi solo per denunciare il ritardo di altri processi, un fenomeno unico al mondo.
Abbiamo il risarcimento per il ritardo della definizione della prima causa e persino anche quello della causa del ritardo.
Vi sono poi profonde differenze nel funzionamento della giustizia civile tra le diverse aree del paese. Significativamente superiore nei tribunali del mezzogiorno, rispetto alle altre zone del Paese, anche se non mancano clamorose eccezioni. E’ stimato in 985 giorni la durata media di un processo civile di primo grado, in 861 giorni la durata media delle controversie in materia di lavoro.
Da un distretto all’altro un processo può durare anche tre volte di più. Se nei distretti del Mezzogiorno i procedimenti durano mediamente 1.209 giorni per la cognizione ordinaria e 1.031 per le controversie in materia di lavoro, al Centro Nord i valori si assestano, rispettivamente, a 842 e 521.
Secondo l’Unione delle Camere Penali “l’irragionevole durata dei tempi morti dei processi non si affronta nè con rituali e confusi appelli, nè con semplificazioni autoritarie che riducano le garanzie, ma aumentando il numero dei magistrati, stanziando risorse, riformulando il sistema delle notifiche”.
Alla luce dei dati indicati in diverse inaugurazioni dell’Anno giudiziario, nel comune cittadino rimane la sgradevole sensazione di vivere in un Paese con una giustizia da terzo mondo, spesso condizionata anche dalla politica, con magistrati che si giudicano e quasi sempre assolvono tra di loro.
Non a caso il gradimento verso la magistratura è sempre più in calo, in quanto vista come mondo a se stante, burocratizzato, inefficiente, lontano dai cittadini.
Quando, infatti, uno deve avere a che fare con la giustizia civile, i tempi si allungano a dismisura, cause vengono aggiornate di anni, basta un cavillo e si ritorna alla partenza.
Una riforma della giustizia non può certo prescindere dal suo corretto funzionamento, non è solo questione politica, ma di mettere in atto modifiche sostanziali che incidano realmente nello sveltimento dei giudizi.
La politica dovrebbe avere questo indirizzo come linea maestra: l’interesse dei semplici cittadini che impiegano anni per vedere riconosciuto un loro diritto.
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