QUEGLI SPARI AL BARCONE DEGLI SCAFISTI CHE IMBARAZZANO LA MARINA ITALIANA
IN UN VIDEO LE RAFFICHE DI MITRA NEL CANALE DI SICILIA
Raffiche di mitragliatrice nel Canale di Sicilia. Una, due, tre sventagliate contro la poppa del peschereccio degli scafisti che fugge e non si ferma.
Dentro ci sono 16 egiziani, ma si saprà soltanto dopo.
Poi arrivano i colpi singoli, nove, sparati anch’essi dalla piattaforma della fregata Aliseo dove è sistemato il fucile Mg, azionato da tre marò.
Il barcone vira, si vedono pezzettini di legno saltare, dalla porta sulla stiva appaiono due ombre, forse due teste.
È il 9 novembre scorso e il primo ciak di questo video girato con un telefonino, su cui ora indaga la procura militare di Napoli, si chiude così.
Col Far West sul mar Mediterraneo.
Il filmato che Repubblica ha visionato, due minuti in tutto, è stato fatto dal ponte di una delle navi della Marina impegnate nell’operazione “Mare Nostrum”, l’Aliseo, durante l’inseguimento di un piccolo peschereccio in fuga, senza bandiera sullo scafo, sospettato di aver trainato e sganciato a largo di Capo Passero una chiatta con 176 profughi siriani. «L’abbordaggio è stato un successo – dirà poi il comandante Massimiliano Siragusa, una volta rientrato nel porto di Catania – l’imbarcazione degli scafisti, tutti arrestati, è affondata per le cattive condizioni del mare».
Degli spari, non una parola.
E però i quattro spezzoni di video raccolti da un uomo dell’equipaggio (saranno fatti vedere domani in una conferenza stampa alla Camera organizzata dal Partito per la tutela dei diritti di militari) raccontano di una sorta di “caccia al cinghiale” sul mare.
Il primo spezzone porta l’orario delle 16.26. Il peschereccio, cabina bianca e chiglia scura, sta navigando a una trentina di metri dalla Aliseo.
Si vedono le raffiche, tre, una indirizzata fuori obiettivo, di prova, le altre due verso la poppa dello scafo, poco dietro la linea di galleggiamento.
Spruzzi che salgono dall’acqua e, in alcuni frame, pezzetti di legno che schizzano via. Dietro il mitragliatore della Aliseo almeno due marò, più un terzo uomo.
«Sta a vede’ che entriamo in guerra… – si sente dire da qualcuno vicino a chi sta riprendendo – guarda, guarda come gira».
Un altro militare sta facendo foto col cellulare.
Il secondo spezzone dura 39 secondi: il mitra Mg è stato posizionato in modalità single shot, e spara 9 colpi sempre in direzione della poppa del barcone, che tenta una virata di fuga.
Nel terzo, di appena 7 secondi e datato 10 novembre alle 7.09, si vede il peschereccio vuoto trainato dalla fregata italiana: ha imbarcato acqua, forse dai buchi nella chiglia.
Nel quarto e ultimo, il ciak finale: la prua che affonda lentamente.
Sono le 9.23, il mare non è mosso, è una tavola, si intravede l’elipista della fregata e la scritta “F 574” sul ponte, la sigla della Aliseo.
Sono immagini che faranno discutere, soprattutto chi dell’operazione “umanitaria” Mare Nostrum lanciata dal governo italiano dopo la strage di Lampedusa del 3 ottobre ha sempre criticato il ruolo “militare” e le regole di ingaggio.
«Gli italiani giudicheranno da soli – dice Luca Comellini, del Partito dei militari, che ha interessato dell’episodio la procura di Napoli – in un paese civile qualche alto vertice si dimetterebbe ».
Si può sparare addosso a un barcone di presunti scafisti che scappano?
«No – spiega a Repubblica un marinaio che ha partecipato a decine di abbordaggi – a meno che prima non ci sia stata una violenta offesa a colpi di arma da fuoco».
Chi ha vissuto il blitz del 9 novembre non ricorda niente del genere.
Le cronache giornalistiche non parlano di sparatorie da parte degli egiziani, nè di armi trovate a bordo. E le mitragliate non vengono riportate nemmeno nel diario di un poliziotto della scientifica che ha raccontato la sua esperienza sulla Aliseo sulle pagine di Polizia Moderna.
C’è la descrizione dei vani tentativi di stabilire un contatto radio con i conducenti del peschereccio, «ma questi – scrive il poliziotto – iniziano una precipitosa fuga verso le acque libiche, facendo salire in coperta altre persone che prima erano nella stiva». Nonostante l’intervento dell’elicottero e di un gommone dei Marò «lo scafo non rallenta, cambiando sempre direzione».
Poi, «dopo diverse ore, l’imbarcazione si ferma. Si sono arresi!».
Del come si avvenuta veramente questa resa, non una parola.
Fabio Tonacci
(da “La Repubblica“)
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