QUESTA SERA IN CENTINAIA CONTESTANO SALVINI A LAMEZIA: IL MINITOUR INIZIA MALE, PARLA APPENA 12 MINUTI, ORMAI E’ BOLLITO
PRIMA DI PARTIRE ERA STATO CONTESTATO ANCHE IN AEROPORTO A ROMA DA UN GRUPPO DI PROFESSIONISTI
Comincia malissimo l’ennesimo minitour di Matteo Salvini in Calabria. A dieci giorni dall’appuntamento con le urne per il rinnovo del governo regionale, a Lamezia Terme il leader della Lega non ha trovato folle pronte ad acclamarlo, ma un muro di gente che a suon di fischi ha fatto concorrenza al volume da disturbo della quiete pubblica degli amplificatori piazzati accanto al palco.
Ma in realtà , già da Roma, la cavalcata del “Capitano” era iniziata in modo assai meno trionfale del previsto.
Al gate in attesa di imbarcare sull’aereo, più di uno si è avvicinato per un selfie, ma non molto lontano c’è chi non ha gradito per nulla la cosa. “Ma questi non si ricordano di quando questo signore buttava fango sul Sud o si augurava eruzioni?” ha iniziato a commentare a in modo da essere sentito un gruppo di professionisti, subito guardati in cagnesco dal codazzo del leader della Lega.
Salvini ha calmato gli animi, è arrivato il momento di imbarcarsi e la cosa si è conclusa senza incidenti.
E appena atterrato la piazza di Lamezia di certo non gli migliora l’umore. In piazza, a contestarlo il leader leghista ha trovato almeno trecento persone, esattamente quante si sono assiepate sotto il palco montato per lui. Ma decisamente più rumorose e colorate.
“Salvini gennaio in Calabria è il mese del porco” si leggeva su uno dei cartelli, “Lamezia non si lega” su un altro. O ancora “Salvini non sei malato, solo figlio sano del patriarcato”.
Niente sigle, niente bandiere, un po’ di sardine, ma soprattutto gente comune. “Noi siamo venute apposta da Cortale – paesino della provincia a mezz’ora di curve da Lamezia – per dire che questo qui non ci rappresenta” dice un gruppo di arrabbiatissime signore, armate di fischietti.
Da programma, loro e gli altri contestatori non avrebbero dovuto essere lì, ma limitarsi ad un corteo nelle vie vicine.
Quando però i manifestanti hanno puntato sulla piazza, erano troppi per poterli contenere. Uno schieramento di polizia si è limitato a tenerli sufficientemente lontani dal palco, ma non è certo riuscito a silenziarli.
E loro non si sono stancati un momento di fischiare, gridare slogan o invitare Salvini ad andar via.
Lui ci ha provato ad ignorarli. Protetto dal volume da discoteca degli amplificatori ha iniziato a rivolgersi alla piazza come se i contestatori non esistessero, sciorinando il solito copione da campagna elettorale.
Strali contro “la sinistra dei banchieri” e contro “i fenomeni che vogliono rimpiazzare i calabresi che scappano con barchini e barconi”, promesse di “case popolari e contributi regionali prima per i calabresi”, di ospedali da riaprire e di modello Friuli da applicare in Calabria. Ma è un copione ormai noto anche a chi dei suoi lo ascolta.
Salvini è distratto, scarico. Gli amplificatori fanno il loro lavoro ma dal fondo della piazza arrivano i fischi, le urla, le contestazioni. E alla fine lui sbotta. “Lì ci sono i figli di mamma e papà che hanno fallito il loro progetto educativo, forse – minaccia – dovremmo reintrodurre la leva obbligatoria”. Ma la folla risponde “scemo, scemo”. “È già successo, dipende dallo spessore culturale di chi mi contesta – ribatte lui dall’altro lato della piazza -. È questione di buona educazione” dice con ironia che non riesce a nascondere l’irritazione.
Un paio di accenni alla “famiglia composta da mamma e papà ” come unica possibile e alla legge sulla legittima difesa perchè “la Calabria è aperta alle persone per bene ma di scippatori, stupratori e malfattori ne avete le palle piene”, due battute velenose su Renzi e Zingaretti ed è tutto finito. “Andate a fischiare loro”.
Dodici minuti in tutto di comizio, poi spazio ai selfie. “Chi vuole una foto si accomodi alla mia destra, sinistra non riesco a dirlo” urla Salvini, pronto al consueto rito
Dalla piazza i contestatori più volte gli urlano “te ne vai o no?”, ma lui imperterrito sorride a comando all’obiettivo. Di sottofondo, una compilation strettamente italiana. Ma oltre alla sovranista Cuccarini, gli altoparlanti rilanciano le hit più note di Vasco Rossi, Gianna Nannini ed Edoardo Bennato, che più volte hanno fatto sapere di non gradire che i propri pezzi risuonino nelle piazze leghiste. E mentre Salvini scatta selfie, si ascolta persino Lucio Dalla che canta “una famiglia vera e propria non ce l’ho e la mia casa è Piazza Grande”.
(da “La Repubblica”)
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